L'emergenza
sanitaria ha innescato un acceso dibattito nel Paese,
e molte vivaci proteste – Una buona parte della
polemica s'incentra sulle misure decise per la scuola,
da molti considerate inutili, eccessive e persino nocive
– Ecco le testimonianze duramente critiche di una
dirigente d'istituto e di una maestra
“Il
distanziamento sociale è un concetto disumano”.
Così Solange Hutter, dirigente ad Amalfi di un istituto
secondario superiore. Si riferisce, ovviamente, a una delle
misure che sono state introdotte nelle scuole dai decreti
governativi nel quadro di una lotta contro la pandemia che
lei considera inutile, vessatoria e autoritaria. Partecipando
lo scorso 3 settembre a una conferenza stampa sulla “Scuola
che accoglie” svoltasi alla Camera dei Deputati, la
Hutter si è scagliata anche contro l'imposizione
ai bambini della mascherina, più in generale contro
tutte le limitazioni di quella libertà personale
che considera non soltanto inutili dal punto di vista della
prevenzione, ma anche estremamente nocive dal punto di vista
fisiologico e da quello psicologico. La sua critica al sistema
educativo è radicale e investe la gestione della
scuola ben oltre l'attuale crisi sanitaria. “Hanno
creato una scuola mostruosa!”, dice, una “scuola
riformatorio” che mortifica le personalità
individuali di alunni e docenti: ma “la scuola non
è un carcere!”. E ancora, tornando all'attualità
pandemica: “lo Stato agisce come un nemico”,
organizzando “un genocidio psicologico a danno dei
ragazzi”.
Qualche
settimana prima del suo intervento alla Camera Solange Hutter
aveva protestato con l'arma dello sciopero della fame contro
una prospettiva che si andava delineando, qualcuno aveva
proposto che si punisse abbassando il voto in condotta l'inosservanza
di quelle che ufficialmente vengono chiamate “misure
di protezione individuale”, le mascherine in primis.
Del resto la battagliera dirigente d'istituto allarga la
sua critica alle restrizioni imposte al Paese anche al di
là dell'ambito scolastico: “siamo di fronte
a un delirio collettivo”, “non siamo malati
e l'Italia non è un ospedale a cielo aperto”,
“perché tu, Stato, adesso sei un nostro nemico”.
Non solo: “neanche per un istante abbiamo creduto
che tutto ciò riguardasse la difesa della salute”,
“ciò che è stato concepito porterà
soltanto malessere, malattia e morte”.
La
polemica più estrema si dirige contro la gestione
della scuola: “volete trasformare la vita dei nostri
studenti in un incubo”. “Vorreste entrare nelle
nostre scuole e trasformarle in lager e lazzaretti senza
malati”. Poi la Hutter attacca la mole di responsabilità
connesse con la pandemia che viene scaricata sui docenti
e sui dirigenti d'istituto; “tu, Stato, non puoi assegnarmi
responsabilità che non afferiscono al mio profilo
professionale di dirigente scolastico”. Sostiene che
al personale della scuola non si possono affidare mansioni
medico legali: “noi non siamo direttori sanitari”.
Poi invita gli ordini professionali dei medici e dei giornalisti
a verificare il rispetto della deontologia di quei professionisti
che si sono resi complici della “strategia del terrore”
imputata al governo. Alcune settimane dopo questo discorso,
prendendo la parola alla “Marcia della Liberazione”
del 10 ottobre a Roma, Solange Hutter ha denunciato alcuni
gravi episodi, un bambino che per uno starnuto è
stato spedito in quarantena, alunni maltrattati da insegnanti
e bidelli perché non portavano la mascherina.
Un
altro caso di severa critica alle misure restrittive anti-pandemia
che hanno accompagnato l'avvio del nuovo anno scolastico
è quello di Rossella Ortolani, maestra in una primaria
toscana, che per protesta si è posta in aspettativa.
“Sono docente da venticinque anni”, dice, “e
sono abituata a preparare i miei alunni in modo che possano
affrontare il mondo senza paura”. Lascio la scuola,
aggiunge, perché “non voglio rendermi complice
di chi semina proprio la paura”, come accade con l'imposizione
ai bambini, che hanno bisogno di libertà di movimento
e di espressione, di maschere, distanze, cautele fuori luogo
o almeno fuori misura.
La
maestra Rossella intravvede una possibile alternativa nella
cosiddetta “scuola parentale” che d'altra parte,
come commenta un'osservatrice qualificata, finisce con il
riproporre la differenziazione sociale fra i figli di chi
può insegnare o organizzare l'insegnamento e i bambini
che al contrario, provenendo da famiglie disagiate, ne sono
esclusi in partenza contraddicendo al “mito”
della scuola per tutti.
r. f. l.
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