FOGLIO LAPIS - OTTOBRE- 2020

 

Senso del pubblico servizio, la scuola vista come patrimonio comune da proteggere - Sono queste le motivazioni con cui la maggior parte dei capi d'istituto francesi spiega l'attaccamento a una professione ingrata – Presidi come interfaccia fra scuola e famiglie

 

Alla ripresa dell'attività scolastica mancavano all'appello in Francia circa duecento dei 45 mila capi d'istituto. Eppure, nonostante le ben note difficoltà connesse con la direzione di una scuola e il costante deterioramento che si registra da qualche anno, nonostante il fatto che si tratta di un'attività “cronofaga” cioè divoratrice di tempo, infine nonostante la triste e non secondaria realtà che non è particolarmente gratificante dal punto di vista del reddito né del prestigio sociale, nonostante tutto questo la maggior parte dei dirigenti scolastici francesi ama il proprio lavoro e non ha alcuna intenzione di lasciarlo.

É passato poco più di un anno da quando Christine Renon, direttrice della scuola primaria Méhul a Pantin, una località non distante da Parigi, mise fine ai suoi giorni. Oberata dal lavoro, alle prese con mille difficoltà legate fra l'altro alla complicata composizione etnica della zona e dunque della popolazione scolastica, la direttrice arrivò al tragico punto di rottura del suicidio, innescando una serie di manifestazioni in cui i suoi colleghi chiedevano riforme in grado di ricondurre la scuola sui binari di una gestione corretta, efficace, capace di utilizzare al meglio l'impegno di chi insegna e di chi studia.

Ma solo in alcuni rarissimi casi la protesta è arrivata al punto cruciale delle dimissioni. La maggior parte dei dirigenti d'istituto è legato al proprio lavoro da vincoli particolarmente tenaci. Alcuni spiegano l'attaccamento a questo mestiere difficile e ingrato parlando di senso del servizio pubblico, altri dicono di considerare la scuola un patrimonio comune che va difeso, altri infine osservano che proprio la criticità del momento storico, problemi di convivenza fra etnie diverse, bullismo, criminalità, e non ultima la pandemia, impone a chi lavora nel sistema educativo di non mollare.

Intervistata dal quotidiano Le Monde Emilie Garcia, che da cinque anni dirige una scuola materna a Aulnay-sous-Bois, ancora un'area disagiata nella regione parigina, spiega di considerare essenziale trasmettere il senso della scuola a famiglie che se ne sono allontanate, visto che nel quartiere la scuola è rimasto l'ultimo servizio pubblico realmente attivo. La direttrice Garcia ama confrontarsi con le famiglie, registrare le loro aspettative, che sono molto forti, fa notare, proprio negli ambienti popolari. Questa attività, conclude, mi dà la certezza di servire a qualche cosa.

In quella società in miniatura che è la scuola, dice Ladja Mahadmi, che dirige una scuola primaria nel diciannovesimo arrondissement di Parigi, il capo d'istituto è come un direttore d'orchestra che coordina l'insieme degli attori scolastici: gli alunni, i genitori, gli insegnanti. Ci sono tanti problemi da risolvere, tante questioni da appianare, aggiunge: per esempio in questo momento dobbiamo farci carico dello stress dei genitori a causa della pandemia, li dobbiamo rassicurare, garantire che i loro figli sono in buone mani.

Anche un altro preside sentito da Le Monde sottolinea che la funzione di agire da interfaccia fra la scuola e le famiglie è il ruolo essenziale dei dirigenti scolastici. É un contatto costante e proficuo, aggiunge, che se lasciassi questa professione mi mancherebbe molto.

 

 

                                                                 r. f. l.  

 

 


                                                  

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