“Non
ho paura di nessuno”, dice la ragazzina pakistana che
sfida il furore oscurantista battendosi contro
l'esclusione femminile dall'istruzione – A sedici anni,
è candidata al Nobel per la pace – Dietro il suo
straordinario impegno civile c'è una promessa della
comunità internazionale che non sarà possibile mantenere
– Si era fissata al 2015 la data in cui l'istruzione
primaria sarebbe stata assicurata a tutti – Non sarà
così, ma qualche passo avanti è stato fatto
“I
terroristi
credevano di fermarmi ma nulla è cambiato nella mia vita se
non il fatto che sono morte la debolezza e la paura,
sostituite dalla forza e dal coraggio... Io non ce l'ho con
nessuno, non cerco una personale vendetta contro i talebani...
Sono qui per difendere il diritto all'istruzione per tutti i
bambini. Voglio l'istruzione anche per i figli e le figlie
dei talebani...” Così parlava lo scorso 12 luglio, nel
palazzo delle Nazioni Unite a New York, una ragazza che
proprio quel giorno compiva sedici anni. Poco più di un
anno prima Malala Yousafzai era stata gravemente ferita in
un attentato sul bus che la riportava a casa da scuola:
colpita dai terroristi talebani ostili all'istruzione
femminile. Sopravvissuta dopo un difficile intervento
chirurgico al capo, è rapidamente diventata l'icona del
diritto all'istruzione per tutti, il partito laburista
norvegese l'ha candidata al Premio Nobel per la pace.
Il
messaggio di Malala scuote una realtà intollerabile, anche
se da qualche anno in movimento. Ci sono nel mondo una
sessantina di milioni di bambini che non ricevono
l'istruzione elementare. É vero, tredici anni or sono erano
molti di più, oltre cento milioni, ma proprio nel 2000 la
comunità internazionale aveva preso un impegno solenne:
questa ferita sarà sanata entro il 2015, per quella data
nessun bambino sarà fuori dalle aule scolastiche. Ormai a
ridosso della scadenza l'obiettivo appare irraggiungibile,
come ammette Irina Bokova, direttore generale dell'Unesco.
Dopo un avvio promettente che ha sensibilmente ridotto le
dimensioni del problema, si è determinata una sorta di
stallo, complice la grave crisi finanziaria internazionale.
Tuttavia,
fa notare la Bokova, non si può passare sotto silenzio il
fatto che in Afghanistan, per esempio, le ragazze che
frequentano le scuole sono passate dal quattro per cento del
2000 a circa il 70 di oggi. Inoltre alla valutazione
quantitativa del problema si sono progressivamente
affiancati criteri di giudizio sulla qualità
dell'istruzione, in considerazione del fatto che si sono
registrate forti carenze, e che non tutti i bambini usciti
dalle aule scolastiche hanno acquisito a sufficienza le
necessarie capacità di lettura-scrittura. Infine sempre più
si fa strada la persuasione che l'alfabetizzazione, in un
mondo precario come l'attuale, va vista “anche” come un
problema di sicurezza. La mancanza d'istruzione aggrava
infatti la piaga della disoccupazione giovanile, mentre
facilita il reclutamento fra i giovani da parte dei gruppi
terroristici. L'enfasi sulla sicurezza dovrebbe portare,
nella visione dell'Unicef, a più sostanziosi stanziamenti
da parte dei governi, che temono il terrorismo più di ogni
altra cosa.
Le ragioni per cui tanti bambini non possono frequentare
la scuola sono di varia natura. Si va dai conflitti armati
alla carenza di personale docente, dalla corruzione che
distrae fondi alla disorganizzazione di molte
amministrazioni, dai costi dell'istruzione ai pregiudizi
ideologici, come quello ostile all'istruzione femminile
contro il quale si batte Malala Yousafzai. L'Unicef fa
notare che oltre la metà del problema si concentra in otto
paesi: Bangladesh, Repubblica Democratica del Congo,
Etiopia, Haiti, India, Nigeria, Sudan meridionale, Yemen.
India ed Etiopia, si fa notare, hanno compiuto sostanziali
passi in avanti, mentre in Nigeria infuria un terrorismo a
matrice religiosa che troppo spesso prende di mira proprio
le scuole.
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a. v.
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