Fenomenologia delle Olimpiadi: da Roma a Pechino a Londra – Tanta retorica, l'ossessione dei cerchi, giorni di fuoco e poi che cosa resta dell'essere stati per due settimane al centro del mondo? - Per questo ci s'impegna tanto per avere assegnati i Giochi: che diamine, non si tratta mica soltanto di appalti, traffico, speculazioni, polemiche! - Il dopo è carico di malinconici, a volte imbarazzanti residui: eppure i cinesi sono riusciti a riscattarsi con un po' di bellezza

 

Sul frinir del giorno
quando l'uomo va a C cala…
Quando un
giorno / A un certo
punto / E poi… / Un
giovane principe / Di
colpo / Quando
all'improvviso / In
lontananza / Una
rana / La porta
cigolò / Una lucina /
Il galoppo di molti
cavalli / La regina /
Prendetelo! / Un
anello / Tutti
piangevano / I
capelli d'oro / Un
mendicante / Venne
la notte / Incontrò
un gallo / Il drago /
Una vecchina / Il
forziere era pieno
di perle / Sentì una
vocina / Uno
gnomo / Il vento / Il
fuoco nel camino si
era spento /
Nessuno è vissuto
mai felice e
contento…
C puoi scommettere!

"C" come casa; in ebraico, Bet, come Betlemme, dove nacque il "Figlio dell'uomo", che è venuto a dirci: «Tutte le cose e i giorni (il sabato, le domenica) sono fatte per l'uomo, non l'uomo per le cose»…

– Anche le Olimpiadi?

– Sicuramente! precipitevolissimevolmente!

– Altrimenti… Cosa succede?

– Guardate, o miseri! Il bambino guarda e vede un carcere. Vede una chiesa. Vede una palestra. Vede un relitto di cemento divorato da termiti umane, insozzato da graffitari ossessionati, chissà perché, dai cerchi. Vede niente. Una spianata, polvere, manco più i detriti. L'eco di un'esplosione che non è nelle sue orecchie: è accaduta prima che nascesse, pure quella. Non capisce cosa stia guardando, incantato, suo padre. L'uomo ha occhi retrovisivi, la memoria come uno schermo. Vede una pista, otto frecce che frusciano fra i flash. Vede un parquet, una squadra che è apparsa solo in sogno. Vede uno stadio, una processione laica tendente all'infinito, officiata in un bilinguismo ostinato e secondo una geografia opinabile, fuochi artificiosi, musica pop & stop, colombe e parole, retorica alzo zero, accettata come l'avventura di una notte, facciamo due settimane… dai! Poi ognuno per la sua strada. Quel che resta dell'Olimpiade di Londra: nostalgia e architettura da (stra)pazzo, favole e quartierini residenziali, record e trampolini di periferia, tufffìiii nel passato, un presente da buttare. È una regola con poche eccezioni, sindrome post-olimpica che colpisce in maniera quasi inesorabile. Il decorso della malattia è pre-scritto. Prendi una città, trovale tre maneggioni, di solito la triade è composta da:

un politico in scadenza
un ex atleta
una signora molto bionda:

falle assegnare i Giochi. Vai con la prima festa: avremo le Olimpiadi, qui, a casa nostra!

– Che cosa significa, esattamente?

– Lavori in corso, appalti misteriosi, traffico, speculazioni, polemiche. Ma ne vale la pena: per quindici giorni anche Palermo o Seul possono diventare la capitale del mondo, in scena con il belletto e le impalcature. Una popolarità senza precedenti e senza futuro. Perfino le eterne Atene e Roma avranno, dopo, qualche rimpianto.

Al quarto giorno di Olimpiade, implacabile, esce il pezzo sulle migliaia di preservativi trovati nel villaggio olimpico. A Roma ci abitano, inconsapevoli, scampati alla contraccezione. A Sarajevo la guerra civile ha evitato di radere al suolo parte degli impianti. A Pechino, rara eccezione, il Nido d'Uccello e l'Acquario Lucente sono il contrappasso di bellezza alla bruttezza della città, la cui lontananza era una dannazione allora e una fortuna oggi.

                                                         Filippo Nibbi 
                                         

    


                                                  

 
 

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