Uno
studio della Uil-Scuola rivela una situazione del sistema
scolastico italiano ben diversa dalla percezione comune
– Non è vero, secondo il confronto internazionale, che
i nostri insegnanti lavorano poco, né che il rapporto
docenti-alunni è particolarmente basso – Una sola fra
le realtà correnti è statisticamente confermata: maestri
e professori italiani guadagnano meno della media europea
– Il nodo degli investimenti in rapporto alla ricchezza
nazionale
Troppi
i docenti in cattedra, troppo poche le ore di lavoro: questo
il quadro della scuola italiana che viene comunemente
tracciato. Per cui certi drastici tagli di spesa vengono
giustificati non soltanto con la necessità del rigore di
bilancio, ma anche con la presunzione che il sistema assorbe
già abbastanza risorse, e considerate le condizioni di
lavoro nessuno dovrebbe lamentarsi. Invece gli insegnanti si
lamentano, eccome: lavoriamo tanto e guadagniamo troppo
poco. Ebbene, uno studio della Uil-Scuola dà ragione al
corpo docente. Si dirà: è un sindacato, ovviamente
appoggia le ricendicazioni della categoria che rappresenta.
É vero, ma lo fa comparando statistiche internazionali, più
precisamente relative ai ventisette paesi dell'Unione
Europea o ai diciassette della zona euro. E si tratta di
cifre inoppugnabili.
Il
primo dato smentito dallo studio in questione riguarda
l'orario di lavoro. I docenti italiani trascorrono
mediamente in aula ventidue ore la settimana nella scuola
primaria, diciotto nella secondaria. Troppo poco? Ma siamo
al di sopra della media dell'Unione Europea, che parla di
19,6 ore settimanali nelle primarie, 18,1 nelle secondarie
di primo grado, 16,3 nelle superiori.
Per
quanto riguarda il rapporto insegnanti-studenti, i
ricercatori della Uil fanno notare che andrebbe valutato
considerando il fatto che in Italia l'integrazione dei
disabili è di fatto generalizzata, e dunque bisognerebbe
tener conto della presenza degli insegnanti di sostegno, che
sono il nove per cento del corpo docente nella primaria, il
12,6 nella secondaria di primo grado, il 4,8 nella
superiore. Non prendendo in considerazione questo importante
dettaglio, la statistica europea conferma effettivamente che
in Italia c'è un numero di alunni per insegnante inferiore
alla media europea. Ma soltanto nella scuola primaria: 11,3
contro 14,1. Ma poi òa differenza scompare nei livelli
successivi d'istruzione: 11,9 contro 11,8 nella secondaria
di primo grado, 12,1 contro 12,5 nella superiore.
Un
altro elemento che bisognerebbe prendere in considerazione
è il carico orario complessivo dell'istruzione. Fra i sette
e i quattordici anni un ragazzo italiano trascorre in classe
8316 ore, la media europea è di 6652 ore. Aule
particolarmente affollate? Anche qui c'è un luogo comune da
sfatare: la media italiana è di 21,3 studenti per classe,
21,1 la media europea. Interessante notare che la media
tedesca è di 24,7 studenti mentre in Finlandia, un paese
che primeggia nella statistiche comparate sul rendimento
scolastico, l'aula media ospita appena 16,8 studenti.
E
veniamo al nodo delle retribuzioni, autentico punctum
dolens della condizione scolastica italiana. Fra gli
stipendi lordi annui dei nostri docenti e quelli medi dei
loro colleghi nell'eurozona c'è effettivamente una
differenza di circa quattromila euro iniziali, che arriva a
diecimila a fine carriera. Addirittura abissale lo spread
con la Germania: se un maestro italiano della scuola
primaria guadagna 22903 euro all'inizio e 33740 a fine
carriera, il suo collega tedesco spazia fra 38214 e 51371
euro. Un professore di liceo riceve da noi, dal minimo
iniziale al massimo alla vigilia delle pensione,
rispettivamente 24669 e 38745 euro. Le cifre corrispondenti
in Germania sono 45412 e 63985 euro.
Si
è detto più volte che le basse remunerazioni dei docenti
italiani sono un indice della scarsa considerazione di cui
immeritatamente godono nella società. Questo elemento è
eloquentemente sottolineato da un'altra statistica, quella
relativa al rapporto fra retribuzioni e prodotto interno
lordo pro capite. Questo rapporto è inferiore a uno a
inizio carriera: precisamente 0,91 nella primaria, 0.98
nella secondaria. A fine carriera abbiamo 1,34 per la
primaria, 1,47 per la secondaria di primo bngrado, 1,54 per
le superiori. Questi ultimi tre dati corrispondono quasi
esattamente a quelli di inizio carriera in Germania: 1,30
per cento, 1,44 e 1,55. Mentre al termine del loro impegno
la retribuzione dei docenti tedeschi raggiunge l'1,75 per
cento per la primaria, l'1,98 per la secondaria di primo
grado, il 2,18 per le superiori. Da notare, per valutare
correttamente queste cifre, che l'un per cento rappresenta
una sorta di crinale: al di sotto e al di sopra di quella
soglia si misura efficacemente il prestigio sociale
implicito nella retribuzione.
Un
altro dato interessante riguarda l'età del nostro corpo
docente. É piuttosto avanzata, a causa di un ricambio
insufficiente, del blocco delle assunzioni, dei giovani che
faticano a uscire dal precariato. La nostra è una scuola
dai capelli grigi: il 59,3 per cento degli insegnanti ha più
di cinquant'anni, il 30,8 per cento è compreso fra i
quaranta e i quarantanove. In Francia, tanto per
confrontarci con un paese per altri versi affine, gli
ultracinquantenni sono solo il 32,3 per cento, i docenti
sulla quarantina il 29 per cento.
Infine,
quanta parte delle risorse nazionali vengono investite
nell'istruzione? Anche qui andiamo piuttosto male: la cosa
è ben nota e stavbolta non si tratta di un luogo comune.
L'Italia dedica alla scuola il 4,70 per cento del suo
prodotto interno lordo, contro una media europea del 5,44.
É una differenza di un bel pacchetto di miliardi. Il paese
dell'Unione che investe di più nell'istruzione è la
Danimarca, con l'8,7 del pil, quello che mobilita meno
risorse la Slovacchia, che si limita al quattro per cento.
La Freancia è al di sopra nella media UE: 5,89 per cento,
la Germania al di sotto con il 5,06.
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a. v.
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