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Interventi al Forum>Dott.ssa Elena Marescotti

Intervento del 15/12/2000

Dott.ssa Elena Marescotti dell'Università di Ferrara, titolare di un corso integrativo di Istituzioni di Pedagogia.

 

 

 

La dispersione scolastica

 

Alcune riflessioni su modelli teorici,

metodo­logie di ricerca,

ipotesi di intervento

 

 

di Elena Marescotti

 

Premessa

     Il contributo che segue riprende un articolo scritto per il n. 2/2000 della rivista "PRISMA", Organo dell'Istituto Nazio­nale di Documentazione per la Ricerca e l'Innovazione Educative, edita dalla casa editrice Le Monnier di Firenze.

Esso intende offrire una interpretazione del fenomeno dispersione scola­stica, che l'Associazione LAPIS da anni si propone di comprendere e di far conoscere nelle sue svariate sfaccettature a livello di manifestazione e nei suoi complessi meccanismi causali, allo scopo di trasfor­mare in senso migliorativo l'universo scolastico e, con esso, la co­munità tutta.

Il presente scritto si propone di tracciare un quadro generale della que­stione, avvalendosi dei risultati di alcune tra le più recenti ricerche in pro­posito, nonché di indicare, tramite i riferimenti bibliografici, alcune piste di approfondimento a coloro che intendono affrontare un aspetto, tutt'al­tro che trascurabile e contrassegnato da alte cifre di urgenza d'intervento, della situazione scolastica italiana.

In particolare, insistendo sulla necessità di porsi di fronte al fe­nomeno dispersione scolastica in ottica ecosistemica, si vogliono suggerire al­cune strategie operative, a partire, in primo luogo, dal rafforzamento della centralità formativa della scuola in virtù dell'imprescindibile ruolo che essa ricopre per un autentico miglioramento della qualità della vita a livello col­lettivo. Ma, affinché la scuola possa essere avvertita come necessaria da quella stessa comunità, non può che essere chiamata in causa la fondamen­talità del supporto politico, cui spetta la costruzione ed il potenziamento di tutte quelle condizioni di base, a livello economico e sociale, che permet­tono alla scuola stessa di essere efficace.

Non mi resta che ringraziare il direttore della rivista "PRISMA", Prof. Giovanni Genovesi, ordinario di Pedagogia generale all'Università degli Studi di Ferrara, per avermi consentito di presentare tali riflessioni anche in questa sede ed il dott. Alfredo Venturi, direttore della rivista "Foglio Lapis", con il quale da qualche mese ho instaurato un'interessante con­fronto su queste tematiche, per l'ospitalità accordatami.

 

Complessità e rilevanza del feno­meno

Con l'espressione dispersione scolastica, riferibile sia all'istruzione obbligatoria sia a quella del post-obbligo sia, infine, all'Università[1], si in­tende fare riferimento ad un fenomeno complesso e variegato, che riunisce in sé e si identifica con abbandoni, bocciature, interruzioni di frequenza, evasione dall'obbligo, ritardo nel portare a termine il corso degli studi do­vuto a ripetenze o a trasferimenti. Esso rappresenta una disper­sione non solo dell'utenza, ma anche delle risorse della scuola, te­stimoniando l'esi­stenza di tutta una serie di fattori che si frappongono ad uno svolgimento regolare e positivo e ad un auspicabile prolungamento della carriera sco­lastica per ciascun individuo, nonché ad uno spreco degli investimenti, a livello politico-finanziario-culturale (sussidi didattici, strut­ture edilizie, ri­forme legislative, formazione docente, ecc.), a favore del­l'istituzione sco­lastica stessa.

I dati provenienti dalle più recenti ricerche[2] attestano la consistenza del fenomeno e, al tempo stesso, l'impatto positivo dei diversi provvedimenti che, soprattutto nell'ultimo decennio, sono stati approntati al fine di incre­mentare l'efficienza e l'efficacia del sistema for­mativo nel suo complesso. Infatti, seppure con le debite precisazioni e dif­ferenziazioni di aree geo­gra­fiche e di ordine e grado di scuola, alcuni indi­catori - quali ad esempio le percentuali relative alle bocciature, alle ripe­tenze e agli abbandoni - mo­strano come il problema della dispersione sco­lastica abbia una rilevanza tutt'altro che trascurabile.

D'altro canto, un'ana­lisi diacronica di tali dati può risultare per certi versi incoraggiante, laddove mostra un sensibile de­cremento del fenomeno in relazione ad interventi che coinvolgono, in un’ottica sistemica, politica, scuola, territorio, famiglia e in­dividuo[3].

Il presente contributo si propone di indagare il fenomeno della disper­sione scolastica focalizzando l'attenzione al sistema di concause, di ordine soggettivo, culturale, istituzionale, ecc., che concorrono alla sua determi­nazione e di individuare alcune ipotesi di intervento.

In particolare, l'ana­lisi di alcune significative esperienze, alcune con­dotte a livello nazionale, altre a livello locale ma inserite in progetti di più ampio respiro, ci ha con­sentito di rilevare non solo le eterogenee sfaccetta­ture mediante le quali la disper­sione scolastica si manifesta, ma anche e so­prattutto la necessità di affron­tare la questione, sia a livello teorico sia ope­rativo, adottando un ap­proccio ecosistemico che tenga conto dell'azione si­nergica di diverse va­riabili in un'ottica di complessità più che di lineare determinismo causa-ef­fetto.

Questo risulta tanto più opportuno laddove si è animati dalla volontà di sfatare quei luoghi comuni che addossano le responsabilità della disper­sione scolastica ai singoli allievi, perché a vari livelli svantaggiati social­mente, culturalmente o economicamente, e che portano a ritenere la di­spersione stessa un fenomeno fisiologico - in un certo senso atteso e inevi­tabile - del mondo scolastico.

Ciò porterebbe, in primo luogo, a sol­levare il sistema-scuola da qual­siasi responsabilità e, quindi, a miscono­scere il ruolo che giocano al riguardo la professionalità docente, la pro­gramma­zione e la valutazione, l'at­tività didattica, le modalità di rapporto con il terri­torio e con la famiglia, ecc. In secondo luogo, e di conseguenza, ver­rebbe a generarsi una sorta di rassegnazione di fronte al problema che im­pedi­rebbe alla scuola stessa di agire efficacemente, di farsi sentire come neces­saria, di affermare piena­mente il suo ruolo sociale.

Crediamo infatti che solo un ripensamento della scuola su se stessa, sulle proprie funzioni e modalità di azione, possa portare ad interventi utili ed incisivi, proprio perché pensati sulla base di un ideale pedagogico ed educativo che coinvolge la formazione di tutti gli individui della comunità, senza discriminanzione alcuna.

Il problema della dispersione scolastica è, pertanto, in primis, un pro­blema della scuola, la quale, di principio, non può ammettere l'estromis­sione di nessuno. Spetta quindi alla scuola, con il supporto e l'imprescin­dibile collabora­zione delle risorse territoriali  e, so­prattutto, di un'azione politica volta a crearne le pre-condizioni necessarie, garantire a tutti l'in­sostituibile per­corso formativo di cui si fa portatrice[4].

Non solo. Essa ha altresì il compito di lavorare per la qualità di tale per­corso, mediante l'individuazione e l'atti­vazione di tutta una serie di strate­gie - istituzionali, didattiche, relazionali, ecc. - volte ad ovviare alle diffi­coltà e alle carenze individuali che i soggetti presentano al momento di in­gresso nella scuola.

Inoltre, la responsabilità della scuola di fronte alla di­spersione scola­stica si configura come responsabilità diretta quando è la scuola stessa a gene­rare il fenomeno, perché incapace di offrire un servizio formativo qualitati­vamente valido a causa dell'insufficienza o dell'impro­duttiva utiliz­zazione delle sue risorse umane e finanziarie, che finiscono appunto per disperdersi laddove non sono in grado di garantire percorsi scolastici posi­tivi, regolari e completi a tutti i membri della comunità[5].

 

Le molteplici concause della dispersione scolastica

Il problema della dispersione scolastica, come accennato più sopra, si esprime mediante una serie di sottofenomeni, a loro volta generati da una o più cause, dirette e/o indirette, spesso intrecciate tra loro, riconducibili ad aspetti psicologici, sociali, sanitari, giuridici, informativi, educativo-sco­lastici, educativi-extrascolastici, dell'educazione degli adulti, economici, abitativi e amministrativi[6].

Gli orientamenti più attuali, per ciò che con­cerne sia la ricerca educativa sia la progettualità politica, trovano in tale vi­sione sistemica un punto di forza per una più approfondita comprensione del problema e, di conse­guenza, per l'attuazione di adeguati interventi di prevenzione e recupero. Diversamente da quanto accadeva in passato, lad­dove l'insuccesso sco­la­stico veniva considerato un insuccesso dell'allievo e non della scuola, si viene affermando con più forza un modello interpre­tativo che chiama in causa il sistema scolastico nel suo complesso, eviden­ziando le responsa­bilità di tutta una serie di variabili proprie dell'offerta formativa, quali "la centralizzazione burocratica delle politiche e della ge­stione del sistema sco­lastico, la sua rigidità, l'assenza di innovazione strutturale e organizzativa, la mancata differenziazione dei percorsi e delle opportunità di formazione, la conseguente carenza di alternative formative, la scarsità di risorse eco­nomiche, le lacune nella formazione iniziale e in servizio dei dirigenti e degli insegnanti, l'assenza di uno sviluppo profes­sionale e di carriera ade­guatamente incentivato, i deboli e occasionali rap­porti tra scuole e risorse territoriali delle comunità locali"[7].

Ciò non signi­fica assolutamente sottovalutare l'incidenza dei fattori soggettivi che ri­mandano al backstage di ogni singolo alunno. Al contrario: un approccio sistemico di analisi, condotto a livello "interistituzionale" consente non solo di "risalire alle vere cause dei comportamenti dei sog­getti che rien­trano nei fenomeni di dispersione scolastica per identificarne i bisogni so­stanziali"[8], ma anche, conseguentemente, di predisporre una politica di in­tervento ad ampio raggio che sappia compensare gli svan­taggi e le ca­renze di ordine personale, siano esse di tipo psicologico, sani­tario, eco­nomico, culturale, ecc.

A questo proposito, è da rimarcare l'utilità, teorica e operativa, delle ri­cerche condotte in ambito locale o riferite ai singoli ordini e gradi di scuola, in quanto suscettibili di rappresentare metodologicamente una lente di in­grandimento volta non solo ad evidenziare casi specifici, ma soprat­tutto a disvelare con più precisione i meccanismi causali che sottostanno alla di­spersione scolastica.

Infatti, la restrizione del campo di indagine consente di sondare la di­namica correlazione politica-scuola-famiglia-indi­viduo-so­cietà ad un livello che si inserisce a pieno titolo nell'ottica globale e siste­mica cui abbiamo ac­cennato[9]. La prospettiva territoriale si configura quindi come una proficua strate­gia sia per analizzare le cause e le manife­stazioni della dispersione scola­stica sia per verificare l'efficacia dei prov­vedimenti adottati per farvi fronte.

 

Contro la dispersione scolastica: il "successo formativo"

Con l'avvio da parte del Ministero della Pub­blica Istruzione, nel 1988, del "Piano nazionale di intervento per la lotta al fenomeno della dispersione scolastica", comincia ad affermarsi il concetto di "successo formativo" quale "risultato di un lungo percorso che ha portato il sistema scuola a su­perare la logica compensativa ed esclusiva delle azioni di recupero e pre­venzione della dispersione scolastica, la logica emergenziale degli inter­venti che prendevano in carico soltanto gli 'svantaggiati', per intraprendere una strategia che nell'ordinarietà del fare scuola assume tutti gli studenti con le loro diversità, integrandosi con altri enti e parti della società civile che influiscono nei processi di crescita dei giovani"[10].

I provvedimenti adottati, dalle esperienze pilota al progetto SP.OR.A alla ricerca TESPI (questi ultimi attualmente in corso), evidenziano come l'efficacia delle azioni di promozione del successo formativo sia favorita dal coinvolgi­mento di due ambiti di intervento: quello scolastico e forma­tivo e quello interistituzionale[11].

In effetti, il potenziamento della scuola non avrebbe nessuna possibilità di attecchire e di produrre esiti soddisfacenti laddove la politica nel suo complesso non agisse in modo tale da contrastare quelle situazioni di de­grado sociale ed economico che tanto incidono nel determi­nare il fenomeno della dispersione scolastica.

Il Riordino dei cicli, il prolungamento dell'obbligo, l'adozione del POF quale strategia per la formazione, ad esempio, offrono notevoli rinforzi per il perseguimento del successo formativo, contrastando il fenomeno della dispersione scolastica mediante la riqualificazione della professionalità do­cente[12], il rinnovamento didattico e curricolare, il raccordo con il territo­rio, l'aumento della permanenza di ogni individuo all'interno di un sistema scolastico le cui 'cesure' si presentano meno marcate a tutto vantaggio della dimensione orientativa[13].

Ma, come si diceva, calandosi in un conte­sto socio-economico ben connotato - e reso ancora più complesso dal cre­scente diffondersi di feno­meni per certi versi inediti, quali la massiccia immigrazione[14], l'espan­sione di nuove tecnologie informatiche e mass-mediatiche, ecc. - necessi­tano di trovarvi quelle corrispondenze necessarie affinché non ne vengano vanificate le potenzialità.

Inoltre, la dispersione scolastica assume il volto di un problema so­ciale anche per via del suo correlarsi, come causa ed effetto allo stesso tempo, a tutta una serie di fenomeni legati alla marginalità, alla devianza e alla cri­mi­nalità minorile, nonché alle sorti economico-politiche del Paese, sempre più intrecciate al livello culturale dei suoi cittadini[15].

 

Per concludere: "Non uno di meno"

"Non uno di meno" è il titolo di un film del regista cinese Zhang Yi­mou, vincitore di un Leone d'Oro alla 56¡ Mostra Internazionale d'Arte Ci­nematografica di Venezia nel 1999, che denuncia e condanna il fenomeno della dispersione scolastica.

Si tratta di un titolo emblematico per via dell'universo di significati cui rimanda, postulando un'idea di scuola per tutti, che, di conseguenza, non può di principio accettare i fenomeni di abbandono, evasione, ecc., nep­pure laddove siano a livello numerico estremamente contenuti.

A poco varrebbe puntare sulla qualità della scuola laddove mancasse un'azione politica volta a creare tutta quella serie di condizioni, a livello sociale, economico, ecc., necessarie perché la scuola stessa, agenzia di coltivazione del superfluo per eccellenza, venga avvertita dalla comunità come necessaria[16].

Tale apparente paradosso, infatti, può sciogliersi sol­tanto in un contesto storico in cui la politica agisca in modo tale da solle­vare tutti gli individui dai problemi della pura sopravvivenza. In altri ter­mini, la scuola non può essere avvertita come necessaria, se non viene assi­curato il soddisfacimento delle esigenze primarie attraverso un'azione poli­tica che operi efficace­mente garantendo lavoro, benessere, sicurezza, pace, ugua­glianza, assi­stenza, ecc.

In un clima di precarietà e di deprivazione eco­nomico-sociale è fatale che la scuola venga disertata o abbandonata, poi­ché il tempo, le energie e le risorse che richiede risultano già assorbite in attività considerate - e non potrebbe essere diversamente - prioritarie. Inol­tre, essa risulterebbe inutile proprio nella sua peculiare tensione a for­nire saperi e strumenti non im­mediatamente spendibili sul piano pratico, che consistono in strategie mentali di interpretazione della realtà, di deco­difica dei suoi paesaggi sim­bolici, ecc. e di trasformazione di quella stessa realtà.

I bisogni di sopravvivenza, legando l'individuo al presente, ancoran­dolo ad esigenze pressanti, precludendogli tutto ciò che travalica l'hic et nunc, inevitabilmente finiscono con l'adombrare la funzione socio-cultu­rale propria della formazione scolastica. Anche laddove quest'ultima risul­tasse connotata da alte cifre di qualità, a livello di risorse materiali e umane, non solo non risulterebbe avvertita come necessaria, ma addirittura come dannosa nel suo rubare tempo ed energie ad attività altre considerate basi­lari, nonché più remunerative.

E in quest'ottica si colloca il perverso circolo vizioso instauratosi fra la dispersione scolastica e la questione della marginalità, della devianza e della criminalità minorile[17]. Più che cercare di distinguere, di fronte a tale correlazione, quale sia la causa e quale l'effetto, crediamo debba essere sottolineato il fatto che i due fattori si rinforzano l'un l'altro all'interno di un contesto fortemente disagiato, incrementandone ulteriormente il de­grado, richiedendo un intervento attivo su più versanti: ancora una volta, da quello generale socio-economico a quello prettamente scolastico.

La scuola non può attrarre né trattenere presso di sé i suoi allievi se questi devono far fronte ad esigenze elementari, integrando il reddito fami­liare nei modi più svariati, o se riconoscono nell'adesione alla malavita l'unica chance di riscatto economico e sociale.

Allo stesso modo, la scuola non può essere che abbandonata, o fre­quentata con difficoltà e irregolar­mente, laddove la sua offerta formativa risulta debole, la sua capacità di orientamento e di raccordo con il territorio viene meno, i suoi insegnanti sono impreparati o abbandonati a loro stessi, le strutture (dai locali ai sus­sidi didattici) inadeguate e insufficienti.

Trasformazione migliorativa delle condizioni di vita e trasformazione migliorativa della scuola non possono che andare di pari passo, costruendo congiuntamente le reciproche garanzie di una loro proficua attuazione.



[1]. Circa la dispersione universitaria, che spesso assume una rilevante consistenza, ri­mandiamo, a titolo di esempio, al contributo di G. Cacioppo, Ricerche sulla disper­sione uni­versitaria. Psicologia e Scienze dell'educazione a Palermo, in "Scuola  e città", n. 8/1999, pp. 341-343.

[2]. Cfr. il volume La dispersione scolastica: una lente sulla scuola, redatto nel giu­gno 2000 dal Ministero della Pubblica Istruzione - Direzione Generale del Personale e degli AA. GG. e Amm.vi - Div. XII - Sistema Informativo - Servizio di Consulenza al­l'Attività Pro­grammatoria - Coordinamento e Gestione delle Attività per gli Studenti - Ispettorato Educa­zione Fisica e Sportiva, consultato al sito internet www. istruzione. it /mpi /pubblicazioni/2000/dispersione.htm in data 11 ottobre 2000. Esso fornisce una lettura del problema che "accanto ai dati tradizionali di ripetenze, ritardi, respinti, abban­doni, mette in relazione gli indicatori di insuccesso scolastico con altre variabili interne alla scuola: dimen­sione delle scuole, organizzazione scolastica, stabilità del personale do­cente, ecc. La metodo­logia adottata tende a mettere in luce l'interdipendenza delle varia­bili in esame all'interno dei singoli istituti e ad individuare la concentrazione delle situa­zioni critiche nei vari ambiti ter­ritoriali" (p. I).

[3]. Si riportano, a titolo di esempio, alcuni dati che si riferiscono alle bocciature e alle ri­petenze. Per ciò che riguarda la scuola elementare, nell'a. s. 1961/62 l'11,4% dei bambini era ripetente; nell'a. s. 1971/72 la percentuale scende al 5,9%; nell'a. s. 1991/92 è pari allo 0,6% e, infine, attualmente si è assestata allo 0,3%. Meno marcato è il miglioramento della situazione relativa alla scuola media inferiore: si passa dal 12,3% degli anni sessanta al 6,7% degli anni novanta, al 4,3% dell'a. s. 1998/99. Circa le scuole medie superiori, invece, la ri­duzione del fenomeno si presenta ancora più con­tenuta nel corso degli anni, per giungere nell'a. s. 1998/99 al 7,3% (cfr. Ibidem, p. 21). Riguardo alla bocciatura come causa determinante dell'abbandono scolastico, appaiono interessanti quanto allarmanti i dati riportati nella rubrica "Lavagna blu" della rivista "Tuttoscuola" (n. 406/novembre 2000), emersi da una ricerca promossa dalla provincia di Roma e condotta dal Centro Elis su un campione di 1500 studenti negli anni scola­stici 1998/1999 e 1999/2000. Vi si legge: "Il 43% del campione è costituito da 'drop out', gli studenti che hanno gettato la spugna. Di questi, oltre la metà si orienta verso il mondo del lavoro, il 17% non sa bene cosa fare, il 16% parte per il servizio militare, solo il 14% si iscrive a un corso professionale. Tra le cause dell'abbandono c'è la delu­sione per la bocciatura (26,3%), il cattivo rapporto con gli insegnanti (19,1%) e con i compagni (43%), ma soprattutto i ragazzi lamentano la mancanza di aiuto e di sostegno (75,4%). Un terzo dei 'drop out' inoltre dopo un po' si pente e sarebbe disposto a prose­guire se ci fossero le condizioni adatte". Sulla dispersione scolastica si veda Istat, Rap­porto sull'Italia. Edizione 1999, Bologna, Il Mulino, 1999, cap. III ("Scuola, forma­zione, mercato del lavoro").

[4]. Numerose, tra l'altro, sono le testimonianze di coloro che, trovandosi quotidiana­mente a stretto contatto con la realtà del fenomeno, evidenziano la necessità di affrontare la situa­zione mediante l'azione simultanea su più fronti. Riportiamo, a titolo di esem­pio, le parole del Prof. Nino Rocca, Presidente del Centro Sociale Francesco Saverio di Palermo: "Credo che il problema della dispersione scolastica deve essere in qualche modo inserito in un conte­sto più ampio. Deve essere inserito nel contesto della realtà socioeconomica di una società... La scommessa della evasione scolastica e della disper­sione scolastica non può essere vinta soltanto attraverso la pedagogia, ci vuole anche un progetto politico nuovo. Un progetto po­litico che tenga conto anche dell'economia. Una scuola che non si fa carico dell'inserimento lavorativo dei ragazzi è una scuola già per­dente in partenza, che non può attrarre e convincere i ragazzini... In una città che campa di lavoro nero, di lavoro minorile sfruttato, ecc., un ra­gazzino... capisce che è molto più conveniente fare lo scippatore o rubacchiare o addirittura se ne ha la possibilità vendere droga, piuttosto che essere sfruttato dal barista o dal commer­ciante per due soldi. Quindi è la facile conclusione di un certo percorso" (N. Rocca, Ma non basta mandarli a scuola, in L'evasione scolastica, una sfida per la società. Atti del Convegno di Studi, Arezzo, 25-26 ottobre 1997, pubblicato in "Foglio Lapis" - Periodico mensile della Libera As­sociazione per il Progresso dell'Istruzione, n. 6/1998, p. 4, passim).

[5]. Rilevava Bottani una quindicina di anni fa, commentando alcuni dati statistici, che "se è vero che i progressi sono stati sensibili e gli allievi dei ceti popolari accedono ora più fa­cilmente agli studi, occorre pure riconoscere che sussistono ancora differenze nella partecipa­zione delle varie classi sociali ai diversi cicli di studio. I figli delle classi medie e superiori continuano a costituire il gruppo nettamente più numeroso all'univer­sità, mentre fra gli ado­lescenti che abbandonano precocemente la scuola la stragrande maggioranza proviene dai ceti popolari. La democratizzazione e la generalizzazione dell'i­struzione non hanno sostanzial­mente modificato la ridistribuzione delle opportunità d'i­struzione fra le classi sociali... La scuola non riesce a dare a tutti uguali possibilità, ri­ducendo l'incidenza dell'origine sociale, culturale ed economica sui risultati scolastici e professionali" (N. Bottani, La ricreazione finita. Dibattito sulla qualità dell'istruzione, Bologna, Il Mulino, 1986, pp. 118-119, pas­sim).

[6]. Cfr. P. Orefice, Progettualità interistituzionale, in  A. M. Cetorelli, R.Tignanelli - Uf­ficio Studi e Programmazione del Ministero della Pubblica istruzione (a cura di), La disper­sione scolastica. Coordinamento delle esperienze pilota. Atti del Seminario nazio­nale di Ag­giornamento. Punta Ala (Gr), 11-14 dicembre 1989, Roma, Istituto della En­ciclopedia Ita­liana fondata da Giovanni Treccani - Servizio Attività Culturali, 1992, vol. I, pp. 67-93.

[7]. E. Morgagni, La dispersione scolastica in Italia: tendenze e interpretazioni, in E. Morgagni (a cura di), Adolescenti e dispersione scolastica. Possibilità di pre­ven­zione e recupero, Roma, Carocci, 1998, p. 18.

[8]. P. Orefice, Op. cit., p. 65.

[9]. Rimandiamo, a titolo di esempio, al volume di M. Merelli, La scuola incerta. In­dagine sulla dispersione scolastica nel biennio superiore, Modena, Centro Studi e Do­cumentazione del Servizio Politiche Giovanili del Comune di Modena, 1994, che ri­porta i risultati di una ri­cerca condotta su un campione di studenti relativo all'a. s. 1988/89 delle scuole secondarie superiori della provincia emiliana. Focalizzando l'atten­zione sul problema dell'abbandono scolastico, l'Autrice mette in luce alcuni fattori de­terminanti, quali la motivazione, l'impor­tante ruolo svolto dall'autostima, le peculiarità della condi­zione adolescenziale. Inoltre, sot­tolinea ed approfondisce la questione legata al momento della scelta quale nodo cruciale del fenomeno che si inserisce nel complicato intrec­cio di capacità soggettive, risorse orienta­tive, influenze familiari, ecc. Infine, è da rile­vare al­tresì, soprattutto in un'ottica di recupero, la pregnanza dell'individuazione della "fase di latenza", ovvero di quella fase in cui "emer­gono e si ripetono le difficoltà, ... in cui il soggetto si barcamena fra un arco di risposte pos­sibili, ... in cui l'eventualità di abban­donare non è ancora opzione consapevole", riscontra­bile attraverso l'osservazione di sin­tomatici comportamenti assunti dagli studenti: "Utilizzo di risorse aggiuntive: le­zioni private, sostegno affettivo della famiglia; alternanza dei com­portamenti positivi e nega­tivi, ma desiderio di 'farcela da soli' come sfida; intensificazione del conflitto e pro­gres­siva presa di distanza dalla scuola. Rinforzo di comportamenti scola­stici demotivati ed extrascolastici devianti" (pp. 102-103).

[10]. La dispersione scolastica: una lente sulla scuola, cit., p. 30.

[11]. Cfr. Ibidem, p. 35 e segg.

[12]. Per un approfondimento cfr. M. G. Contini, Dispersione scolastica e professio­nalità docente, in E. Morgagni (a cura di), op. cit., pp. 101-104.

[13]. Al riguardo, commentando il progetto originario del ministro Berlinguer, Mar­cello Dei so­stiene che esso "mira a dare uno spazio non illusorio all'uguaglianza delle opportunità. Risponde ai condizionamenti ambientali precoci facendo iniziare la scuola a 5 anni. Ri­duce a due i cicli scolastici per contenere la dispersione i cui picchi, come sappiamo, si riscontrano nel pas­saggio da un ciclo all'altro (massimamente dalla media alle superiori). Istituisce un sistema di orientamento per contrastare il fenomeno della dispersione uni­versitaria che in Italia rag­giunge livelli preoccupanti (M. Dei, La scuola in Italia. Ma­terna, elementare, media, supe­riore. Come è fatta e come funziona l'istitu­zione che ci ac­compagna nella crescita, Bologna, Il Mulino, 1998, pp. 121-122).

[14]. "Aumentano gli stranieri residenti in Italia... con un incremento del 13,8% ri­spetto all'anno passato... Ma c'è un altro dato emergente: a crescere è, soprattutto, il numero dei mi­norenni stranieri, aumentati ben del 23%, grazie sia alle nascite sia ai ri­congiungimenti fami­liari" (Crescono gli stranieri in Italia. ƒ boom di minori, in "la Repubblica", 11 luglio 2000). Del resto non si può non considerare che la presenza di immigrati, di cui spesso non siamo in grado di accertare il numero e, di conseguenza, neppure di controllare l'alfabetizzazione culturale, dà origine ad una ulteriore forma sui generis, ma comunque di tutto rilievo, di dispersione scolastica. Per un approfondimento della questione, cfr. G. Genovesi, Pedagogia. Dall'empiria verso la scienza, Bologna, Pi­tagora, 1999, p. 134.

[15]. Annota D'Alessandro che "sono tuttora trentotto ragazzi su mille a lasciare la scuola senza conseguire la licenza media. Il rischio a cui questi soggetti vanno incontro non è solo la marginalizzazione che li aspetta nel momento in cui si collocheranno nel mercato del la­voro, ma anche quello di cadere in un analfabetismo di ritorno" (V. D'A­lessandro, La sfida dell'istruzione. Modernizzazione e formazione nella società italiana, Roma, La Nuova Italia Scientifica, 1996, p. 29). Circa il rapporto criminalità mino­rile-dispersione scolastica, si vedano i numerosi contributi apparsi sulla rivista "Foglio La­pis", tra i quali segnaliamo, a ti­tolo di esempio, i seguenti: G. Scidà, Il dramma gio­va­nile di Catania, n. 2/1998, p. 3; M. Nasone, I ragazzi malati di 'ndrangheta, n. 1/1998, p. 3; Napoli: in prima linea nei quartieri spagnoli, n. 4/1998, p. 2. Si cerca di combat­tere il fenomeno della dispersione scolastica anche con il potenziamento 'ufficiale' delle esperienze dei maestri di strada. In effetti, secondo quanto si legge nella citata rubrica della rivista "Tuttoscuola", "il ministro De Mauro ed il ministro della Solidarietà So­ciale Livia Turco hanno firmato un protocollo d'intesa per favorire sviluppo e diffusione di interventi scolastici mirati a colpire il fenomeno della dispersione scolastica in conte­sti di estremo disagio socio-ambientale e che si sviluppano anche secondo i modelli for­niti dalle esperienze dei 'Maestri di strada' di Napoli, Padova, Torino ed altri. Il proto­collo propone a regioni ed enti locali una progettazione integrata di interventi mirati in aree a forte processo immigratorio ed alle scuole a rischio di dispersione scolastica, de­vianza sociale e criminalità minorile". Per un approfondi­mento della questione della marginalità e della devianza minorile, anche in prospettiva sto­rica, si veda il saggio di A. Gramigna, Storia della malaeducazione. I bambini cattivi nel secolo XIX, Bologna, Clueb, 1998.

[16]. "Una scuola funziona come tale solo se stimola e alimenta tutte le potenzialità cultu­rali di un territorio e se, a sua volta, ne è stimolata e alimentata in un costante pro­cesso di in­terazione. la scuola nasce perché le forze culturali del territorio esigono che nasca e diviene centrale nel sistema formativo proprio perché esse le assegnano questo posto e questo ruolo, controllando al contempo che li mantenga. Si tratta, quindi, di un problema prettamente poli­tico che impegna direttamente tutta la comunità. Senza questo impegno etico-politico, la scuola e il sistema formativo non esistono che in una forma prevaricata, pertanto la proget­tualità politica è la condizione necessaria, se non suffi­ciente, per una effettiva valorizzazione della scuola intesa come uno dei fondamentali strumenti per assicurare a una società non sol­tanto la continuità ma il miglioramento della cultura che la caratterizza" (G. Genovesi, Storia della scuola in Italia dal Settecento a oggi, Roma-Bari, Laterza, 1999, p. 6).

[17]. Per un approfondimento del rapporto tra uso di droghe ed esperienza scolastica si veda il saggio di M. Ravenna, L'esperienza scolastica nei percorsi di tossicodipendenza, in E. Morgagni (a cura di), op. cit., pp. 179-182.