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Interventi al Forum>Dott.ssa Elena Marescotti Intervento del 15/12/2000 Dott.ssa Elena Marescotti dell'Università di Ferrara, titolare di un corso integrativo di Istituzioni di Pedagogia.
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La dispersione scolastica Alcune riflessioni su modelli teorici, metodologie di ricerca, ipotesi di intervento di
Elena Marescotti Premessa
Il contributo che segue riprende un articolo scritto per il n.
2/2000 della rivista "PRISMA", Organo dell'Istituto Nazionale
di Documentazione per la Ricerca e l'Innovazione Educative, edita dalla
casa editrice Le Monnier di Firenze. Esso
intende offrire una interpretazione del fenomeno dispersione
scolastica, che l'Associazione LAPIS da anni si propone di
comprendere e di far conoscere nelle sue svariate sfaccettature a
livello di manifestazione e nei suoi complessi meccanismi causali, allo
scopo di trasformare in senso migliorativo l'universo scolastico e,
con esso, la comunità tutta. Il
presente scritto si propone di tracciare un quadro generale della questione,
avvalendosi dei risultati di alcune tra le più recenti ricerche in proposito,
nonché di indicare, tramite i riferimenti bibliografici, alcune piste
di approfondimento a coloro che intendono affrontare un aspetto, tutt'altro
che trascurabile e contrassegnato da alte cifre di urgenza d'intervento,
della situazione scolastica italiana. In
particolare, insistendo sulla necessità di porsi di fronte al fenomeno
dispersione scolastica in
ottica ecosistemica, si vogliono suggerire alcune strategie operative,
a partire, in primo luogo, dal rafforzamento della centralità formativa
della scuola in virtù dell'imprescindibile ruolo che essa ricopre per
un autentico miglioramento della qualità della vita a livello collettivo.
Ma, affinché la scuola possa essere avvertita come necessaria da quella
stessa comunità, non può che essere chiamata in causa la fondamentalità
del supporto politico, cui spetta la costruzione ed il potenziamento di
tutte quelle condizioni di base, a livello economico e sociale, che
permettono alla scuola stessa di essere efficace. Non
mi resta che ringraziare il direttore della rivista "PRISMA",
Prof. Giovanni Genovesi, ordinario di Pedagogia generale all'Università
degli Studi di Ferrara, per avermi consentito di presentare tali
riflessioni anche in questa sede ed il dott. Alfredo Venturi, direttore
della rivista "Foglio Lapis", con il quale da qualche mese ho
instaurato un'interessante confronto su queste tematiche, per
l'ospitalità accordatami. Complessità
e rilevanza del fenomeno Con l'espressione dispersione
scolastica, riferibile sia all'istruzione obbligatoria sia a quella
del post-obbligo sia, infine, all'Università[1],
si intende fare riferimento ad un fenomeno complesso e variegato, che
riunisce in sé e si identifica con abbandoni, bocciature, interruzioni
di frequenza, evasione dall'obbligo, ritardo nel portare a termine il
corso degli studi dovuto a ripetenze o a trasferimenti. Esso
rappresenta una dispersione non solo dell'utenza, ma anche delle
risorse della scuola, testimoniando l'esistenza di tutta una serie
di fattori che si frappongono ad uno svolgimento regolare e positivo e
ad un auspicabile prolungamento della carriera scolastica per ciascun
individuo, nonché ad uno spreco degli investimenti, a livello
politico-finanziario-culturale (sussidi didattici, strutture edilizie,
riforme legislative, formazione docente, ecc.), a favore dell'istituzione
scolastica stessa. I dati provenienti dalle più recenti ricerche[2]
attestano la consistenza del fenomeno e, al tempo stesso, l'impatto
positivo dei diversi provvedimenti che, soprattutto nell'ultimo
decennio, sono stati approntati al fine di incrementare l'efficienza e
l'efficacia del sistema formativo nel suo complesso. Infatti, seppure
con le debite precisazioni e differenziazioni di aree geografiche
e di ordine e grado di scuola, alcuni indicatori - quali ad esempio le
percentuali relative alle bocciature, alle ripetenze e agli abbandoni
- mostrano come il problema della dispersione scolastica abbia una
rilevanza tutt'altro che trascurabile. D'altro canto, un'analisi diacronica di tali dati può risultare per
certi versi incoraggiante, laddove mostra un sensibile decremento del
fenomeno in relazione ad interventi che coinvolgono, in un’ottica
sistemica, politica, scuola, territorio, famiglia e individuo[3]. Il presente contributo si propone di indagare il fenomeno della dispersione
scolastica focalizzando l'attenzione al sistema di concause, di ordine
soggettivo, culturale, istituzionale, ecc., che concorrono alla sua
determinazione e di individuare alcune ipotesi di intervento. In particolare, l'analisi di alcune significative esperienze, alcune
condotte a livello nazionale, altre a livello locale ma inserite in
progetti di più ampio respiro, ci ha consentito di rilevare non solo
le eterogenee sfaccettature mediante le quali la dispersione
scolastica si manifesta, ma anche e soprattutto la necessità di
affrontare la questione, sia a livello teorico sia operativo,
adottando un approccio ecosistemico che tenga conto dell'azione sinergica
di diverse variabili in un'ottica di complessità più che di lineare
determinismo causa-effetto. Questo risulta tanto più opportuno laddove si è animati dalla volontà
di sfatare quei luoghi comuni che addossano le responsabilità della
dispersione scolastica ai singoli allievi, perché a vari livelli
svantaggiati socialmente, culturalmente o economicamente, e che
portano a ritenere la dispersione stessa un fenomeno fisiologico - in
un certo senso atteso e inevitabile - del mondo scolastico. Ciò porterebbe, in primo luogo, a sollevare il sistema-scuola da qualsiasi
responsabilità e, quindi, a misconoscere il ruolo che giocano al
riguardo la professionalità docente, la programmazione e la
valutazione, l'attività didattica, le modalità di rapporto con il
territorio e con la famiglia, ecc. In secondo luogo, e di conseguenza,
verrebbe a generarsi una sorta di rassegnazione di fronte al problema
che impedirebbe alla scuola stessa di agire efficacemente, di farsi
sentire come necessaria, di affermare pienamente il suo ruolo
sociale. Crediamo infatti che solo un ripensamento della scuola su se stessa,
sulle proprie funzioni e modalità di azione, possa portare ad
interventi utili ed incisivi, proprio perché pensati sulla base di un
ideale pedagogico ed educativo che coinvolge la formazione di tutti gli
individui della comunità, senza discriminanzione alcuna. Il problema della dispersione scolastica è, pertanto, in
primis, un problema della scuola, la quale, di principio, non può
ammettere l'estromissione di nessuno. Spetta quindi alla scuola, con
il supporto e l'imprescindibile collaborazione delle risorse
territoriali e, soprattutto,
di un'azione politica volta a crearne le pre-condizioni necessarie,
garantire a tutti l'insostituibile percorso formativo di cui si fa
portatrice[4].
Non solo. Essa ha altresì il compito di lavorare per la qualità
di tale percorso, mediante l'individuazione e l'attivazione di tutta
una serie di strategie - istituzionali, didattiche, relazionali, ecc.
- volte ad ovviare alle difficoltà e alle carenze individuali che i
soggetti presentano al momento di ingresso nella scuola. Inoltre, la responsabilità della scuola di fronte alla dispersione
scolastica si configura come responsabilità diretta quando è la
scuola stessa a generare il fenomeno, perché incapace di offrire un
servizio formativo qualitativamente valido a causa dell'insufficienza
o dell'improduttiva utilizzazione delle sue risorse umane e
finanziarie, che finiscono appunto per disperdersi laddove non sono in
grado di garantire percorsi scolastici positivi, regolari e completi a
tutti i membri della comunità[5]. Le
molteplici concause della dispersione scolastica Il problema della dispersione scolastica, come accennato più sopra, si
esprime mediante una serie di sottofenomeni, a loro volta generati da
una o più cause, dirette e/o indirette, spesso intrecciate tra loro,
riconducibili ad aspetti psicologici, sociali, sanitari, giuridici,
informativi, educativo-scolastici, educativi-extrascolastici,
dell'educazione degli adulti, economici, abitativi e amministrativi[6].
Gli orientamenti più attuali, per ciò che concerne sia la ricerca
educativa sia la progettualità politica, trovano in tale visione
sistemica un punto di forza per una più approfondita comprensione del
problema e, di conseguenza, per l'attuazione di adeguati interventi di
prevenzione e recupero. Diversamente da quanto accadeva in passato, laddove
l'insuccesso scolastico veniva considerato un insuccesso
dell'allievo e non della scuola, si viene affermando con più forza un
modello interpretativo che chiama in causa il sistema scolastico nel
suo complesso, evidenziando le responsabilità di tutta una serie di
variabili proprie dell'offerta formativa, quali "la
centralizzazione burocratica delle politiche e della gestione del
sistema scolastico, la sua rigidità, l'assenza di innovazione
strutturale e organizzativa, la mancata differenziazione dei percorsi e
delle opportunità di formazione, la conseguente carenza di alternative
formative, la scarsità di risorse economiche, le lacune nella
formazione iniziale e in servizio dei dirigenti e degli insegnanti,
l'assenza di uno sviluppo professionale e di carriera adeguatamente
incentivato, i deboli e occasionali rapporti tra scuole e risorse
territoriali delle comunità locali"[7].
Ciò non significa assolutamente sottovalutare l'incidenza dei fattori
soggettivi che rimandano al backstage
di ogni singolo alunno. Al contrario: un approccio sistemico di analisi,
condotto a livello "interistituzionale" consente non solo di
"risalire alle vere cause dei comportamenti dei soggetti che rientrano
nei fenomeni di dispersione scolastica per identificarne i bisogni sostanziali"[8],
ma anche, conseguentemente, di predisporre una politica di intervento
ad ampio raggio che sappia compensare gli svantaggi e le carenze di
ordine personale, siano esse di tipo psicologico, sanitario, economico,
culturale, ecc. A questo proposito, è da rimarcare l'utilità, teorica e operativa,
delle ricerche condotte in ambito locale o riferite ai singoli ordini
e gradi di scuola, in quanto suscettibili di rappresentare
metodologicamente una lente di ingrandimento volta non solo ad
evidenziare casi specifici, ma soprattutto a disvelare con più
precisione i meccanismi causali che sottostanno alla dispersione
scolastica. Infatti, la restrizione del campo di indagine consente di sondare la dinamica
correlazione politica-scuola-famiglia-individuo-società ad un
livello che si inserisce a pieno titolo nell'ottica globale e sistemica
cui abbiamo accennato[9].
La prospettiva territoriale si configura quindi come una proficua strategia
sia per analizzare le cause e le manifestazioni della dispersione
scolastica sia per verificare l'efficacia dei provvedimenti adottati
per farvi fronte. Contro
la dispersione scolastica: il "successo formativo" Con l'avvio da parte del Ministero della Pubblica Istruzione, nel 1988,
del "Piano nazionale di intervento per la lotta al fenomeno della
dispersione scolastica", comincia ad affermarsi il concetto di
"successo formativo" quale "risultato di un lungo
percorso che ha portato il sistema scuola a superare la logica
compensativa ed esclusiva delle azioni di recupero e prevenzione della
dispersione scolastica, la logica emergenziale degli interventi che
prendevano in carico soltanto gli 'svantaggiati', per intraprendere una
strategia che nell'ordinarietà del fare scuola assume tutti gli
studenti con le loro diversità, integrandosi con altri enti e parti
della società civile che influiscono nei processi di crescita dei
giovani"[10].
I provvedimenti adottati, dalle esperienze pilota al progetto SP.OR.A
alla ricerca TESPI (questi ultimi attualmente in corso), evidenziano
come l'efficacia delle azioni di promozione del successo formativo sia
favorita dal coinvolgimento di due ambiti di intervento: quello
scolastico e formativo e quello interistituzionale[11].
In effetti, il potenziamento della scuola non avrebbe nessuna possibilità
di attecchire e di produrre esiti soddisfacenti laddove la politica nel
suo complesso non agisse in modo tale da contrastare quelle situazioni
di degrado sociale ed economico che tanto incidono nel determinare
il fenomeno della dispersione scolastica. Il Riordino dei cicli, il prolungamento dell'obbligo, l'adozione del POF
quale strategia per la formazione, ad esempio, offrono notevoli rinforzi
per il perseguimento del successo formativo, contrastando il fenomeno
della dispersione scolastica mediante la riqualificazione della
professionalità docente[12],
il rinnovamento didattico e curricolare, il raccordo con il territorio,
l'aumento della permanenza di ogni individuo all'interno di un sistema
scolastico le cui 'cesure' si presentano meno marcate a tutto vantaggio
della dimensione orientativa[13].
Ma, come si diceva, calandosi in un contesto socio-economico ben
connotato - e reso ancora più complesso dal crescente diffondersi di
fenomeni per certi versi inediti, quali la massiccia immigrazione[14],
l'espansione di nuove tecnologie informatiche e mass-mediatiche, ecc.
- necessitano di trovarvi quelle corrispondenze necessarie affinché
non ne vengano vanificate le potenzialità. Inoltre, la dispersione scolastica assume il volto di un problema sociale
anche per via del suo correlarsi, come causa ed effetto allo stesso
tempo, a tutta una serie di fenomeni legati alla marginalità, alla
devianza e alla criminalità minorile, nonché alle sorti
economico-politiche del Paese, sempre più intrecciate al livello
culturale dei suoi cittadini[15]. Per
concludere: "Non uno di meno" "Non uno di meno" è il titolo di un film del regista cinese
Zhang Yimou, vincitore di un Leone d'Oro alla 56¡ Mostra
Internazionale d'Arte Cinematografica di Venezia nel 1999, che
denuncia e condanna il fenomeno della dispersione scolastica. Si tratta di un titolo emblematico per via dell'universo di significati
cui rimanda, postulando un'idea di scuola per tutti, che, di
conseguenza, non può di principio accettare i fenomeni di abbandono,
evasione, ecc., neppure laddove siano a livello numerico estremamente
contenuti. A poco varrebbe puntare sulla qualità della scuola laddove mancasse
un'azione politica volta a creare tutta quella serie di condizioni, a
livello sociale, economico, ecc., necessarie perché la scuola stessa,
agenzia di coltivazione del superfluo per eccellenza, venga avvertita
dalla comunità come necessaria[16].
Tale apparente paradosso, infatti, può sciogliersi soltanto in un
contesto storico in cui la politica agisca in modo tale da sollevare
tutti gli individui dai problemi della pura sopravvivenza. In altri termini,
la scuola non può essere avvertita come necessaria, se non viene assicurato
il soddisfacimento delle esigenze primarie attraverso un'azione politica
che operi efficacemente garantendo lavoro, benessere, sicurezza, pace,
uguaglianza, assistenza, ecc. In un clima di precarietà e di deprivazione economico-sociale è
fatale che la scuola venga disertata o abbandonata, poiché il tempo,
le energie e le risorse che richiede risultano già assorbite in attività
considerate - e non potrebbe essere diversamente - prioritarie. Inoltre,
essa risulterebbe inutile proprio nella sua peculiare tensione a fornire
saperi e strumenti non immediatamente spendibili sul piano pratico,
che consistono in strategie mentali di interpretazione della realtà, di
decodifica dei suoi paesaggi simbolici, ecc. e di trasformazione di
quella stessa realtà. I bisogni di sopravvivenza, legando l'individuo al presente, ancorandolo
ad esigenze pressanti, precludendogli tutto ciò che travalica l'hic
et nunc, inevitabilmente finiscono con l'adombrare la funzione
socio-culturale propria della formazione scolastica. Anche laddove
quest'ultima risultasse connotata da alte cifre di qualità, a livello
di risorse materiali e umane, non solo non risulterebbe avvertita come
necessaria, ma addirittura come dannosa nel suo rubare tempo ed energie
ad attività altre considerate basilari, nonché più remunerative. E in quest'ottica si colloca il perverso circolo vizioso instauratosi fra
la dispersione scolastica e la questione della marginalità, della
devianza e della criminalità minorile[17].
Più che cercare di distinguere, di fronte a tale correlazione, quale
sia la causa e quale l'effetto, crediamo debba essere sottolineato il
fatto che i due fattori si rinforzano l'un l'altro all'interno di un
contesto fortemente disagiato, incrementandone ulteriormente il degrado,
richiedendo un intervento attivo su più versanti: ancora una volta, da
quello generale socio-economico a quello prettamente scolastico. La scuola non può attrarre né trattenere presso di sé i suoi allievi
se questi devono far fronte ad esigenze elementari, integrando il
reddito familiare nei modi più svariati, o se riconoscono
nell'adesione alla malavita l'unica chance
di riscatto economico e sociale. Allo stesso modo, la scuola non può essere che abbandonata, o frequentata
con difficoltà e irregolarmente, laddove la sua offerta formativa
risulta debole, la sua capacità di orientamento e di raccordo con il
territorio viene meno, i suoi insegnanti sono impreparati o abbandonati
a loro stessi, le strutture (dai locali ai sussidi didattici)
inadeguate e insufficienti. Trasformazione migliorativa delle condizioni di vita e trasformazione
migliorativa della scuola non possono che andare di pari passo,
costruendo congiuntamente le reciproche garanzie di una loro proficua
attuazione. [1]. Circa la dispersione universitaria, che spesso assume una rilevante consistenza, rimandiamo, a titolo di esempio, al contributo di G. Cacioppo, Ricerche sulla dispersione universitaria. Psicologia e Scienze dell'educazione a Palermo, in "Scuola e città", n. 8/1999, pp. 341-343. [2]. Cfr. il volume La dispersione scolastica: una lente sulla scuola, redatto nel giugno 2000 dal Ministero della Pubblica Istruzione - Direzione Generale del Personale e degli AA. GG. e Amm.vi - Div. XII - Sistema Informativo - Servizio di Consulenza all'Attività Programmatoria - Coordinamento e Gestione delle Attività per gli Studenti - Ispettorato Educazione Fisica e Sportiva, consultato al sito internet www. istruzione. it /mpi /pubblicazioni/2000/dispersione.htm in data 11 ottobre 2000. Esso fornisce una lettura del problema che "accanto ai dati tradizionali di ripetenze, ritardi, respinti, abbandoni, mette in relazione gli indicatori di insuccesso scolastico con altre variabili interne alla scuola: dimensione delle scuole, organizzazione scolastica, stabilità del personale docente, ecc. La metodologia adottata tende a mettere in luce l'interdipendenza delle variabili in esame all'interno dei singoli istituti e ad individuare la concentrazione delle situazioni critiche nei vari ambiti territoriali" (p. I). [3]. Si riportano, a titolo di esempio, alcuni dati che si riferiscono alle bocciature e alle ripetenze. Per ciò che riguarda la scuola elementare, nell'a. s. 1961/62 l'11,4% dei bambini era ripetente; nell'a. s. 1971/72 la percentuale scende al 5,9%; nell'a. s. 1991/92 è pari allo 0,6% e, infine, attualmente si è assestata allo 0,3%. Meno marcato è il miglioramento della situazione relativa alla scuola media inferiore: si passa dal 12,3% degli anni sessanta al 6,7% degli anni novanta, al 4,3% dell'a. s. 1998/99. Circa le scuole medie superiori, invece, la riduzione del fenomeno si presenta ancora più contenuta nel corso degli anni, per giungere nell'a. s. 1998/99 al 7,3% (cfr. Ibidem, p. 21). Riguardo alla bocciatura come causa determinante dell'abbandono scolastico, appaiono interessanti quanto allarmanti i dati riportati nella rubrica "Lavagna blu" della rivista "Tuttoscuola" (n. 406/novembre 2000), emersi da una ricerca promossa dalla provincia di Roma e condotta dal Centro Elis su un campione di 1500 studenti negli anni scolastici 1998/1999 e 1999/2000. Vi si legge: "Il 43% del campione è costituito da 'drop out', gli studenti che hanno gettato la spugna. Di questi, oltre la metà si orienta verso il mondo del lavoro, il 17% non sa bene cosa fare, il 16% parte per il servizio militare, solo il 14% si iscrive a un corso professionale. Tra le cause dell'abbandono c'è la delusione per la bocciatura (26,3%), il cattivo rapporto con gli insegnanti (19,1%) e con i compagni (43%), ma soprattutto i ragazzi lamentano la mancanza di aiuto e di sostegno (75,4%). Un terzo dei 'drop out' inoltre dopo un po' si pente e sarebbe disposto a proseguire se ci fossero le condizioni adatte". Sulla dispersione scolastica si veda Istat, Rapporto sull'Italia. Edizione 1999, Bologna, Il Mulino, 1999, cap. III ("Scuola, formazione, mercato del lavoro"). [4]. Numerose, tra l'altro, sono le testimonianze di coloro che, trovandosi quotidianamente a stretto contatto con la realtà del fenomeno, evidenziano la necessità di affrontare la situazione mediante l'azione simultanea su più fronti. Riportiamo, a titolo di esempio, le parole del Prof. Nino Rocca, Presidente del Centro Sociale Francesco Saverio di Palermo: "Credo che il problema della dispersione scolastica deve essere in qualche modo inserito in un contesto più ampio. Deve essere inserito nel contesto della realtà socioeconomica di una società... La scommessa della evasione scolastica e della dispersione scolastica non può essere vinta soltanto attraverso la pedagogia, ci vuole anche un progetto politico nuovo. Un progetto politico che tenga conto anche dell'economia. Una scuola che non si fa carico dell'inserimento lavorativo dei ragazzi è una scuola già perdente in partenza, che non può attrarre e convincere i ragazzini... In una città che campa di lavoro nero, di lavoro minorile sfruttato, ecc., un ragazzino... capisce che è molto più conveniente fare lo scippatore o rubacchiare o addirittura se ne ha la possibilità vendere droga, piuttosto che essere sfruttato dal barista o dal commerciante per due soldi. Quindi è la facile conclusione di un certo percorso" (N. Rocca, Ma non basta mandarli a scuola, in L'evasione scolastica, una sfida per la società. Atti del Convegno di Studi, Arezzo, 25-26 ottobre 1997, pubblicato in "Foglio Lapis" - Periodico mensile della Libera Associazione per il Progresso dell'Istruzione, n. 6/1998, p. 4, passim). [5]. Rilevava Bottani una quindicina di anni fa, commentando alcuni dati statistici, che "se è vero che i progressi sono stati sensibili e gli allievi dei ceti popolari accedono ora più facilmente agli studi, occorre pure riconoscere che sussistono ancora differenze nella partecipazione delle varie classi sociali ai diversi cicli di studio. I figli delle classi medie e superiori continuano a costituire il gruppo nettamente più numeroso all'università, mentre fra gli adolescenti che abbandonano precocemente la scuola la stragrande maggioranza proviene dai ceti popolari. La democratizzazione e la generalizzazione dell'istruzione non hanno sostanzialmente modificato la ridistribuzione delle opportunità d'istruzione fra le classi sociali... La scuola non riesce a dare a tutti uguali possibilità, riducendo l'incidenza dell'origine sociale, culturale ed economica sui risultati scolastici e professionali" (N. Bottani, La ricreazione finita. Dibattito sulla qualità dell'istruzione, Bologna, Il Mulino, 1986, pp. 118-119, passim). [6]. Cfr. P. Orefice, Progettualità interistituzionale, in A. M. Cetorelli, R.Tignanelli - Ufficio Studi e Programmazione del Ministero della Pubblica istruzione (a cura di), La dispersione scolastica. Coordinamento delle esperienze pilota. Atti del Seminario nazionale di Aggiornamento. Punta Ala (Gr), 11-14 dicembre 1989, Roma, Istituto della Enciclopedia Italiana fondata da Giovanni Treccani - Servizio Attività Culturali, 1992, vol. I, pp. 67-93. [7]. E. Morgagni, La dispersione scolastica in Italia: tendenze e interpretazioni, in E. Morgagni (a cura di), Adolescenti e dispersione scolastica. Possibilità di prevenzione e recupero, Roma, Carocci, 1998, p. 18. [8]. P. Orefice, Op. cit., p. 65. [9]. Rimandiamo, a titolo di esempio, al volume di M. Merelli, La scuola incerta. Indagine sulla dispersione scolastica nel biennio superiore, Modena, Centro Studi e Documentazione del Servizio Politiche Giovanili del Comune di Modena, 1994, che riporta i risultati di una ricerca condotta su un campione di studenti relativo all'a. s. 1988/89 delle scuole secondarie superiori della provincia emiliana. Focalizzando l'attenzione sul problema dell'abbandono scolastico, l'Autrice mette in luce alcuni fattori determinanti, quali la motivazione, l'importante ruolo svolto dall'autostima, le peculiarità della condizione adolescenziale. Inoltre, sottolinea ed approfondisce la questione legata al momento della scelta quale nodo cruciale del fenomeno che si inserisce nel complicato intreccio di capacità soggettive, risorse orientative, influenze familiari, ecc. Infine, è da rilevare altresì, soprattutto in un'ottica di recupero, la pregnanza dell'individuazione della "fase di latenza", ovvero di quella fase in cui "emergono e si ripetono le difficoltà, ... in cui il soggetto si barcamena fra un arco di risposte possibili, ... in cui l'eventualità di abbandonare non è ancora opzione consapevole", riscontrabile attraverso l'osservazione di sintomatici comportamenti assunti dagli studenti: "Utilizzo di risorse aggiuntive: lezioni private, sostegno affettivo della famiglia; alternanza dei comportamenti positivi e negativi, ma desiderio di 'farcela da soli' come sfida; intensificazione del conflitto e progressiva presa di distanza dalla scuola. Rinforzo di comportamenti scolastici demotivati ed extrascolastici devianti" (pp. 102-103). [10]. La dispersione scolastica: una lente sulla scuola, cit., p. 30. [11]. Cfr. Ibidem, p. 35 e segg. [12]. Per un approfondimento cfr. M. G. Contini, Dispersione scolastica e professionalità docente, in E. Morgagni (a cura di), op. cit., pp. 101-104. [13]. Al riguardo, commentando il progetto originario del ministro Berlinguer, Marcello Dei sostiene che esso "mira a dare uno spazio non illusorio all'uguaglianza delle opportunità. Risponde ai condizionamenti ambientali precoci facendo iniziare la scuola a 5 anni. Riduce a due i cicli scolastici per contenere la dispersione i cui picchi, come sappiamo, si riscontrano nel passaggio da un ciclo all'altro (massimamente dalla media alle superiori). Istituisce un sistema di orientamento per contrastare il fenomeno della dispersione universitaria che in Italia raggiunge livelli preoccupanti (M. Dei, La scuola in Italia. Materna, elementare, media, superiore. Come è fatta e come funziona l'istituzione che ci accompagna nella crescita, Bologna, Il Mulino, 1998, pp. 121-122). [14]. "Aumentano gli stranieri residenti in Italia... con un incremento del 13,8% rispetto all'anno passato... Ma c'è un altro dato emergente: a crescere è, soprattutto, il numero dei minorenni stranieri, aumentati ben del 23%, grazie sia alle nascite sia ai ricongiungimenti familiari" (Crescono gli stranieri in Italia. ƒ boom di minori, in "la Repubblica", 11 luglio 2000). Del resto non si può non considerare che la presenza di immigrati, di cui spesso non siamo in grado di accertare il numero e, di conseguenza, neppure di controllare l'alfabetizzazione culturale, dà origine ad una ulteriore forma sui generis, ma comunque di tutto rilievo, di dispersione scolastica. Per un approfondimento della questione, cfr. G. Genovesi, Pedagogia. Dall'empiria verso la scienza, Bologna, Pitagora, 1999, p. 134. [15]. Annota D'Alessandro che "sono tuttora trentotto ragazzi su mille a lasciare la scuola senza conseguire la licenza media. Il rischio a cui questi soggetti vanno incontro non è solo la marginalizzazione che li aspetta nel momento in cui si collocheranno nel mercato del lavoro, ma anche quello di cadere in un analfabetismo di ritorno" (V. D'Alessandro, La sfida dell'istruzione. Modernizzazione e formazione nella società italiana, Roma, La Nuova Italia Scientifica, 1996, p. 29). Circa il rapporto criminalità minorile-dispersione scolastica, si vedano i numerosi contributi apparsi sulla rivista "Foglio Lapis", tra i quali segnaliamo, a titolo di esempio, i seguenti: G. Scidà, Il dramma giovanile di Catania, n. 2/1998, p. 3; M. Nasone, I ragazzi malati di 'ndrangheta, n. 1/1998, p. 3; Napoli: in prima linea nei quartieri spagnoli, n. 4/1998, p. 2. Si cerca di combattere il fenomeno della dispersione scolastica anche con il potenziamento 'ufficiale' delle esperienze dei maestri di strada. In effetti, secondo quanto si legge nella citata rubrica della rivista "Tuttoscuola", "il ministro De Mauro ed il ministro della Solidarietà Sociale Livia Turco hanno firmato un protocollo d'intesa per favorire sviluppo e diffusione di interventi scolastici mirati a colpire il fenomeno della dispersione scolastica in contesti di estremo disagio socio-ambientale e che si sviluppano anche secondo i modelli forniti dalle esperienze dei 'Maestri di strada' di Napoli, Padova, Torino ed altri. Il protocollo propone a regioni ed enti locali una progettazione integrata di interventi mirati in aree a forte processo immigratorio ed alle scuole a rischio di dispersione scolastica, devianza sociale e criminalità minorile". Per un approfondimento della questione della marginalità e della devianza minorile, anche in prospettiva storica, si veda il saggio di A. Gramigna, Storia della malaeducazione. I bambini cattivi nel secolo XIX, Bologna, Clueb, 1998. [16]. "Una scuola funziona come tale solo se stimola e alimenta tutte le potenzialità culturali di un territorio e se, a sua volta, ne è stimolata e alimentata in un costante processo di interazione. la scuola nasce perché le forze culturali del territorio esigono che nasca e diviene centrale nel sistema formativo proprio perché esse le assegnano questo posto e questo ruolo, controllando al contempo che li mantenga. Si tratta, quindi, di un problema prettamente politico che impegna direttamente tutta la comunità. Senza questo impegno etico-politico, la scuola e il sistema formativo non esistono che in una forma prevaricata, pertanto la progettualità politica è la condizione necessaria, se non sufficiente, per una effettiva valorizzazione della scuola intesa come uno dei fondamentali strumenti per assicurare a una società non soltanto la continuità ma il miglioramento della cultura che la caratterizza" (G. Genovesi, Storia della scuola in Italia dal Settecento a oggi, Roma-Bari, Laterza, 1999, p. 6). [17]. Per un approfondimento del rapporto tra uso di droghe ed esperienza scolastica si veda il saggio di M. Ravenna, L'esperienza scolastica nei percorsi di tossicodipendenza, in E. Morgagni (a cura di), op. cit., pp. 179-182.
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