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Sintesi (.doc)

Biografia

Interventi al Forum>Prof. Bruno Rossi

Intervento del febbraio 2005

 

 

Per una pedagogia della lettura

  

     Nonostante si espandano reti e linguaggi massmediali, imperversino e si diffondano mezzi telepatici e videoinformatici, siamo disposti, non misoneisticamente e non caparbiamente, a difendere la capacità del libro di vivere con la sua funzione, e pertanto la sua capacità di manifestare un’energia promozionale nei riguardi della persona e dei nuclei sociali, nei confronti della grande impresa della formazione dell’uomo e del cittadino. A tale strumento non esitiamo a riconoscere peculiari valenze di sollecitazione e di sostegno dell’esperienza interiore, di aiuto alla persona a farsi soggettività protagonista di dinamiche autoconoscitive e autovalutative, di orientamento all’incontro e al dialogo, di ampliamento e approfondimento della conoscenza, di conquista della cultura umana, di spalancamento ed allargamento degli orizzonti del tempo e dello spazio.

 

     L’intero nostro discorrere è animato dal convincimento profondo che, pur nel tempo del “villaggio globale” e in una stagione culturale definibile “post-gutenberghiana” o “alfabetico-iconica” quand’anche “post-alfabetica”, il libro è un mezzo fondamentale in ordine all’affermazione della libertà dell’essere umano. Fin da adesso, ci importa dichiarare che l’educazione alla libertà si configura traguardo privilegiato della pedagogia della lettura, tenuto soprattutto conto del fatto che l’autocompimento umano si realizza solamente per mezzo della libertà e nella libertà e che la lettura acquista qualificazione allorquando dà attivazione e corroboramento allo squisito umano potere di scelta. Possono essere richiamati il concetto e la pratica della lettura libera per dare evidenza, allorquando essa non venga equivocata o contrabbandata, ad un atto di scelta intelligente, al quale si chiede la soddisfazione di motivazioni essenziali. In essa il possesso degli strumenti trova una giusta collocazione in ordine alle esigenze dell’espressione e della comunicazione. Mediante essa chi educa aiuta chi si educa a comprendere il significato di un’esperienza umanamente significativa in quanto fondata sulla scelta. Ed è proprio considerando il fatto che la libertà è l’elemento portante dell’educazione che la lettura libera, o meglio l’educazione a fare della lettura un’esperienza capace di dare nutrimento alla libertà personale, ha necessità di essere maggiormente custodita nei differenti ordini scolastici. Pur in maniera telegrafica, ci interessa osservare che la persona, praticando tale lettura, mentre perviene a guadagnare una cultura personalizzata, riesce a dare un contributo di non poco conto al processo di autorientamento e pertanto alla conquista della personale singolarità.

 

     Ciò ha da essere particolarmente sottoscritto, pensando che troppe volte l’alunno subisce la lettura e l’incontro con la parola scritta si risolve sovente in un’attività strumentale anonima, in un compito imposto e non  partecipato, in un’operazione meccanica e non coinvolgente e dinamizzante. A ragione si pone in risalto che la dislessia non di rado trova le sue matrici, piuttosto che in una patologia organica, in fallimentari percorsi di apprendimento della lettura. Nel momento in cui questa è scollata dall’esperienza viva dell’alunno, questi fa resistenza ad essa, opponendosi a tutto quello che non comprende o a quello che non è in grado di motivare alla propria coscienza, alla propria intelligenza e volontà. È nel contesto esperienziale che le parole lette si fanno semanticamente rilevanti; a tale contesto possono venir ricondotte solo le spinte formative e autoformative. Non sarà mai ribadita a sufficienza l’importanza che il leggere sia un atto intenzionale generato da un bisogno di conoscenza e di comprensione, ma anche di piacere estetico e di gioia emotiva.

     Certo è che oggi la lettura non rappresenta un’esperienza frequente e tanto meno una modalità di fruizione intelligente del tempo libero per molte persone, distratte dai vecchi e dai recenti media e sedotte da nuove sirene, che le attraggono in un circuito vorticoso e frammentato di impegni quotidiani non poche volte superficiali e destrutturanti. Il pensiero va in particolare ai soggetti svantaggiati o meno avvantaggiati, spesso storditi dalle immagini dei massmedia e catturati dalle effimere attrazioni di un tempo libero tutt’altro che favorevole alla lettura. Sebbene la si riconosca, pressoché universalmente, potente strumento di autoformazione permanente, tuttavia nella vita di tutti i giorni essa occupa un posto alquanto periferico, è sovente ridotta ad attività straordinaria, non ha una posizione rilevante nel progetto esistenziale dei giovani, non poche volte appartiene a quel gruppo di risposte eteronome che l’uomo contemporaneo offre in questa società dell’effimero e del narcisistico, particolarmente attenta a coltivare la teatralizzazione del sé, l’apparenza, l’esteriorità.

 

     È appena il caso di avvertire che la promozione della passione per la lettura è impresa educativa tutt’altro che facile e temporalmente breve, pensando anche all’irrinunciabilità che essa venga responsabilmente e sinergicamente assunta all’interno delle politiche culturali e dei progetti formativi di chi, a livello pubblico e privato, è interessato. C’è, comunque, da ricordare che l’amore per la lettura va custodito ed alimentato molto presto, fin dai primi anni di vita, osservando che attraverso il parlare del genitore il bambino può prendere gradualmente consuetudine con la parola e può essere preparato ad incontrarsi successivamente con il racconto orale, esperienza questa provvista di notevole forza motivazionale nei riguardi della prossima lettura. D’altronde, non si può non concordare con chi avverte che, nelle diverse età evolutive, ascoltare dalla voce dell’adulto testi narrativi “sollecitatori” dell’immaginario è evento che favorisce non poco la voglia di leggere e la familiarità con il libro.

 

Riavvalorare la parola

 

     L’attuale situazione di crisi della parola scritta e della lettura ha da essere riferita, tra l’altro, al progressivo discredito e desostanziamento cui la parola pare essere andata incontro in questa nostra epoca. Inondanti linguaggi alternativi e proliferanti sollecitazioni massmediali hanno tentato più di una volta di ridurre la portata formativa della parola e di relegarla in una posizione marginale all’interno del complesso processo di affermazione ed espansione della persona.

 

     Non sono pochi coloro che, esplicitamente o indirettamente, sono pervenuti ad auspicare la sostituzione della parola con l’immagine, la periferizzazione della verbosfera e l’imperialismo dell’iconosfera.

 

     Più di una ragione ci sostiene nel respingere la tesi dell’anacronismo della “civiltà della parola” e nel difendere della parola la forza rivelativa, il vigore comunionale, la potenza creativa e generativa, la ricchezza semantica, senza che ciò significhi mitizzazione e, conseguentemente, sottostima, se non disconoscimento, di tutti quei linguaggi non-verbali che non poca incidenza hanno sul processo di autocostruzione umana. Siamo notevolmente distanti da un orientamento teorico-culturale inteso a gerarchizzare i codici, privilegiandone uno e relegando gli altri in una condizione di minorità e subalternità. Ugualmente, ci pare insostenibile l’invocazione di una cultura liberata dai media così come l’auspicio di una collettività informatizzata e tecnocratica e, correlatamente, ci sembra improponibile per l’uomo di oggi tanto la scelta dell’isolamento e dell’intimismo quanto quella del naufragio negli scogli della tecnologizzazione spersonalizzante e dell’adesione acritica all’avanzante massmedializzazione. Vero è che la sovraesposizione ai media, in particolare alla televisione, può recare con sé il pericolo della riduzione delle possibilità di compiere esperienze “altre” per le quali trascorrere il tempo libero come tempo di umanizzazione. Vero è che l’utente dei (nuovi) media corre il rischio di crearsi mondi paralleli a quelli in cui vive e di caricarli di eccessivi significati personali ed esistenziali. Ma non meno vero è che ignorare i media può portare alla marginalizzazione, se non alla emarginazione. Siamo alle soglie dell’era digitale, striamo entrando nel mondo digitale, ci avviamo a diventare membri di comunità elettroniche. La stessa educazione scolastica non può vietare o mettere al bando le nuove tecnologie comunicative, già in larga misura guadagnate dai suoi destinatari. Non sono pochi coloro che ritengono che, piuttosto che ostracizzare, sia più opportuno accogliere criticamente i differenti strumenti e guardare al traguardo di un’alfabetizzazione multimediale, per la quale far interagire linguaggi, grammatiche, codici diversi, senza che tutto questo comporti per la parola perdita di dignità e funzioni, valore e ruoli.

 

     In questo inizio di millennio siamo decisi a dare tutta l’evidenza  che merita alla parola quale mezzo di crescita spirituale e di elevazione culturale, strumento di umanizzazione e di intersoggettività liberante. Lo richiede anche il periodo storico e sociale che viviamo, il quale, accanto ad un’enfatizzazione della realtà non-verbale e ad una denigrazione di quella verbale, lascia registrare anche una domanda forte ad essere e a valere mediante la parola, un bisogno marcato di “possesso della parola” con la consapevolezza che l’affermazione originale di sé è sottesa che al padroneggiamento e e all’esercizio di una parola autentica e che il mancato possesso della parola è fattore di dipendenza e di deprivazione, di subordinazione e di svantaggio.

 

     Ci sembra tipica dell’epoca contemporanea l’aspirazione ad essere padroni della propria lingua, la quale aspirazione si viene sempre più configurando come peculiare tratto della diffusa coscienza di un nuovo modo di essere e di vivere. In tale possesso l’uomo di oggi, legittimamente, trova una sicura garanzia per la salvaguardia e l’incremento della soggettiva originalità e per questo un solido presidio contro molteplici manipolazioni e violenze che nei suoi confronti sono quotidianamente compiute. Ha da essere sottolineato con passione ed insistenza che la libertà e la sicurezza della persona dipendono ampiamente da un’apprezzabile competenza linguistica. Chi non è capace di rendersi protagonista di autenticanti apprendimenti linguistici e di validi atti linguistici lungo il travagliato itinerario dell’autoformazione è destinato ad incontrare non pochi notevoli ostacoli all’autorivelazione, all’arricchimento dei personali talenti, alla realizzazione di vitali esperienze di vita democratica. Se può essere ancora oggi dichiarato che per l’essere umano la parola è principio di esistenza, deve essere anche sottoscritto che per l’uomo contemporaneo prendere la parola si configura compito primario, la cui soddisfazione deve protrarsi per l’intera sua esistenza.

 

     Per questo stimiamo una grande impresa di promozione umana e di creatività culturale quella mirata a (ri)concedere credito pedagogico alla parola e a (ri)avvalorare l’impegno dell’educazione della parola, non potendo fare a meno di riconoscere, tra l’altro, che essa è stata sovente umiliata e avvilita, negletta o marginalizzata ad opera soprattutto di una montante iconicità, audiovisualizzazione, iperinformazione e ipercomunicazione non verbale.

 

     A ragione si sottoscrive che indagare sulla linguisticità della persona è ricercare, ultimamente, le sorgenti della sua umanità e le forze della sua umanizzazione. L’indagine sulla parola rinvia direttamente alla conoscenza del potenziale di umanità che la persona interiormente custodisce e contribuisce alla definizione dell’educabilità dell’essere umano. Discorrere sulla linguisticità della persona è impegno che rende più puntuale l’attenzione alle possibilità di sviluppo della libertà umana, che consente di valorizzare in maniera più piena le numerose virtualità possedute da ciascuno e che pertanto permette di consapevolizzarsi delle ricche possibilità produttive che conferiscono una singolare dignità al ruolo che l’uomo è chiamato a vivere nella vita. L’esprimersi e il comunicare si configurano ad un tempo poteri e bisogni ontologici della persona, in particolare il potere e il bisogno di essere e rivelarsi, il potere e il bisogno di incontrarsi, farsi comprendere e donarsi.

 

La lettura nei programmi scolastici

 

     L’attenzione per il libro e la premura per la parola scritta sono sollecitate fin dalla scuola primaria. Gli Orientamenti del 1991, se non stimolano l’avvio anticipato al leggere e allo scrivere, invitano a far incontrare il bambino con la parola scritta. In proposito, si osserva come il primo accostamento alla lingua scritta si configuri “nucleo qualificante per l’attività educativa della scuola dell’infanzia”, dal momento che il bambino si mostra interessato al sistema di scrittura nei cui riguardi elabora congetture e compie tentativi fin da quando inizia a diversificarlo dal disegno. In questa direzione non poca rilevanza ha il fatto che il bambino fin dalla nascita vive all’interno di un universo semiologico dove la lingua scritta svolge plurali funzioni, che destano la sua curiosità per la lingua stessa e per i modi di scriverla. In tale scuola l’interazione tra lingua orale e lingua scritta può continuare a consolidarsi in maniera non casuale mediante “la familiarizzazione con i libri, la lettura dell’adulto, la conversazione e la formulazione di ipotesi sui contenuti dei testi letti”. L’insegnante che sa leggere con il bambino, mentre manifesta il gusto e il piacere di leggere, aiuta il bambino a rendersi progressivamente padrone di competenze linguistiche ed a prestare attenzione ad uno strumento culturale del quale egli in un futuro non molto lontan saprà apprezzare la forza maturativa in termini di personalità. Giustamente si pone in evidenza che per il bambino la lettura fatta dall’insegnante è un’esperienza singolare, pensando soprattutto a quello che, in fatto di ampliamento dell’orizzonte esistenziale e di introduzuione nel mondo dell’impossibile e del fantastico, l’ascolto di racconti, fiabe, poesie, filastrocche è in grado di produrre. Senza per questo trascurare il fatto che leggere ai bambini consente anche che essi guadagnino del linguaggio il piano espressivo e narrativo, conoscano e padroneggino parole e strutture linguistiche nuove, affinino e potenzino la personale dimensione emotivo-affettiva, si rendano capaci di interpretazione e ricostruzione, critica e invenzione.

 

     In tema di formazione linguistica, i Programmi del 1985 consegnano alla scuola elementare, tra l’altro, il compito di garantire al fanciullo una buona competenza di lingua scritta, puntualizzando che egli “deve saper leggere, cioè capire il significato di testi scritti a fini diversi, deve saper ricercare e raccogliere informazioni da testi scritti; seguire la descrizione, il resoconto, il racconto e saperne cogliere l’essenziale; apprezzare l’efficacia linguistica ed espressiva dei vari tipi di scrittura”. I medesimi Programmi, nel dare indicazioni orientative in ordine alle capacità da attivarsi nel primo anno del corso elementare e a quelle da sviluppare nell’intero corso elementare, fanno presente per le prime la necessità che il fanciullo conquisti la capacità di leggere “almeno a quel livello strumentale che è indispensabile fase di accesso all’uso pieno e consapevole della lettura” e rilevano per le seconde il bisogno di stimolare e sviluppare gradualmente la capacità di “cogliere e ripetere con parole sue il contenuto di ciò che ha sentito dire o leggere, o di ciò che lui stesso  ha letto”. In particolare è raccomandata, a partire dal terso anno, l’attivazione della capacità di “eseguire la lettura a voce alta di testi noti e non, dando prova, anche attraverso un uso appropriato delle pause e dell’intonazione, di averne compreso il contenuto”  e di “leggere facili testi di tipo anche letterario, che attivino nel fanciullo elementari processi interpretativi e sviluppino il senso estetico”. Ai fini del nostro argomentare, di non minore importanza ci paiono le considerazioni svolte nel paragrafo delle indicazioni didattiche dove, dopo aver affermato che “Leggere è sostanzialmente un processo di ricerca, comprensione e interpretazione del significato del testo”, sono affidati all’insegnante compiti precisi così riepilogabili: testimoniare la sua consuetudine alla lettura, sollecitare e incrementare la motivazione del fanciullo a leggere, dedicare particolare attenzione alla scelta di testi validi per le loro qualità intrinseche, accendere interessi adeguati a far emergere il bisogno e il piacere della lettura, aiutare gli alunni a trovare i libri e le pubblicazioni che rispondano costruttivamente alla coessenziale esigenza del fanciullo di accrescere la propria esperienza e di ampliare il proprio orizzonte conoscitivo, verificare in quale misura gli alunni si avvalgano della lettura a livello cognitivo, affettivo-emotivo e comportamentale, individuare e valutare le cause di eventuali cadute dell’interesse a leggere, tenere sotto controllo anche le letture che il fanciullo può e deve essere sollecitato a compiere nel tempo extrascolastico.

 

     La complessa problematica che si presenta ad una scuola impegnata ad insegnare a leggere emerge anche dai Programmi del 1979 allorquando fanno presente che nella scuola media l’insegnamento della lingua italiana contribuisce, tra l’altro, alla maturazione e allo sviluppo della comprensione dello scritto ed individuano il primo obiettivo nello sviluppo delle capacità di capire la struttura dei discorsi scritti nelle rispettive caratteristiche e precisano che il secondo è da far consistere nella lettura corrente ed espressiva. In tema di indicazioni metodologiche è avanzata la necessità di promuovere “tanto la lettura libera e corrente non mortificata da commenti minuti, limitata quindi a sobri richiami intesi alla comprensione generale del passo, quanto la lettura guidata dall’insegnante in ordine alla comprensione dell’insieme e dei particolari, ampliando i contenuti del testo attraverso conversazioni, esercitazioni orali e scritte sul significato generale, sugli aspetti essenziali, su elementi lessicali”. Insieme all’opportunità che la lettura sia attenta alla funzione della punteggiatura e venga realizzata con buona pronuncia italiana, si fa presente la necessità che l’insegnante favorisca “in tutti i modi la lettura personale e l’incoraggiamento a leggere indirizzando all’uso della biblioteca di classe, ove esistente, e della scuola, e all’accesso alle biblioteche pubbliche: tutto ciò perché il leggere è l’essenziale strumento educativo di accesso al patrimonio culturale e naturale fattore di autocultura”. Ciò è ribadito nel paragrafo delle indicazioni programmatiche, dove, dopo aver posto l’accento sull’indispensabilità che la lettura sia largamente praticata in classe e a casa, si dà evidenza all’educatività della lettura stimandola “momento tra i più efficaci dell’educazione linguistica”, “impulso al gusto della lettura personale” e “stimolo per nuove conoscenze”. Al fine di motivare al leggere le letture saranno scelte in conseguenza con gli interessi più tipici degli alunni, senza per questo trascurare di avviarli e sostenerli nelle letture mirate ad allargare la loro conoscenza della realtà e a potenziare la loro maturazione mediante l’incontro con testi di elevato valore letterario. Su questo punto l’estensore ritorna poco più avanti avvertendo la necessitò della “lettura di passi, opportunamente scelti, di opere di fondamentale importanza per la nostra lingua e, in genere, per le nostre tradizioni letterarie” ed osservando che si rende ugualmente necessaria “la lettura, in ciascuno dei tre anni, di almeno un’opera di narrativa moderna italiana ovvero straniera in buona traduzione italiana (completa o adeguatamente ridotta in relazione all’età degli alunni)”.

 

     Ai fini del nostro discorrere, suggestioni ed orientamenti ci provengono anche dalla considerazione, pur rapida, del programma di italiano del biennio della scuola secondaria superiore quale è stato elaborato dalla Commissione Brocca. Specificamente, è dato risalto alla necessità di far acquisire all’adolescente “l’abitudine alla lettura, come mezzo insostituibile per accedere a più vasti campi del sapere, per soddisfare nuove personali esigenze di cultura, per la maturazione delle capacità di riflessione e per la maggior partecipazione alla realtà sociale”. Nello stesso tempo si sottoscrive l’irrinunciabilità di promuovere mediante l’incontro con testi di vario genere e significato e l’esperienza di analisi dirette condotte su di essi, “un interesse più specifico per le opere letterarie, che porti alla ‘scoperta’ della letteratura come rappresentazione di sentimenti e situazioni universali in cui ciascuno possa riconoscersi e luogo in cui anche i gruppi sociali inscrivano e riconoscano le loro esperienze, aspirazioni e concezioni”. Gli obiettivi di apprendimento vengono precisati attraverso la distinzione della lettura in “silenziosa” e “a voce”. Per la prima allo studente è richiesto di “compiere letture diversificate, nel metodo e nei tempi, in rapporto a scopi diversi, quali la ricerca di dati e in formazioni, la sommaria esplorazione, la comprensione globale, la comprensione approfondita, l’uso del testo per le attività di studio”; parimenti, lo studente deve saper “condurre l’analisi e l’interpretazione dei testi, sapendo individuare le strutture e le convenzioni proprie dei diversi tipi di testo, usare le proprie conoscenze per compiere inferenze, integrare le informazioni del testo con quelle fornite da altre fonti”. Riguardo alla lettura “a voce” lo studente deve acquisire la capacità di “rendere l’esecuzione funzionale alla situazione, regolando gli aspetti fonici, prosodici e di direzione comunicativa”. In fato di obiettivi di apprendimento, anche all’educazione letteraria viene concesso uno spazio adeguato dove sono precisate le diverse capacità e sono indicati i differenti contenuti, tra i quali è prevista per ogni anno “sia la lettura collettiva e guidata di almeno un’opera di narrativa intera, sia la lettura più rapida e individuale di altre opere”.

 

Descolasticizzare la lettura

 

     Non pochi dei punti fermi sottoscritti dagli estensori dei diversi documenti programmatici scolastici ci sollecitano a compiere una prima importante puntualizzazione: la strada da percorrere non è quella dell’accreditamento della scuola del libro, bensì quella che vede il libro collocato all’interno di una strategia finalizzata alla piena educazione della persona. Occorre trovare i suggerimenti idonei per poter dare una conveniente soluzione alla critica situazione in cui si trovano il libro e l’esperienza della lettura, avendo comunque presente che, se il libro oggi non è più in grado di monopolizzare le iniziative postulate dall’azione educativa, questa ha ancora bisogno del libro e dell’esperienza della lettura.

 

     Merita subito aggiungere che il libro scolastico non esaurisce la funzione tecnica del leggere, convinti che esso è tanto più capace di rispondere alla sua ragion d’essere quanto più si dimostra in grado di suscitare bisogni di ricerca e accendere curiosità, sollecitare disposizioni all’autoincremento e “provocare” singole dimensioni della personalità, affinare condotte euristiche ed ermeneutiche e generare originali stili di espressione e comunicazione. Ciò pone – pare quasi ovvio avvertirlo – il problema della qualità del libro di testo e di ogni altro libro, la cui soluzione non sta tanto nella sua leggibilità e comprensibilità. La lettura non rimanda solamente ad operazioni cognitive e, pertanto, l’adeguamento del testo, pur importante, alla realtà linguistica e cognitiva propria delle differenti età evolutive non risolve il problema degli ostacoli che in tale attività si vengono ad incontrare.

 

     Tali appunti guadagnano in forza propositiva se si riflette ancora una volta sul fatto che nel nostro paese non è largamente diffusa l’abitudine alla lettura e tanto meno la passione per il leggere, un amore autentico per la lettura, anzi è registrabile una cospicua disaffezione per la parola scritta. In proposito, conviene anche rilevare che, laddove si ha consumazione della cultura scritta, non di rado si tratta di un’operazione quantitativa e non di un’esperienza qualificata e qualificante quale può essere realmente garantita dal saper leggere piuttosto che dal leggere, pur se vario e frequente. Giustamente si fa presente che, a livello di massa, si legge con finalità di intrattenimento e di evasione consolatoria e compensatoria dalla realtà quotidiana rivolgendosi ad una stampa di basso profilo qualitativo e dalla insufficiente forza educativa (anzi, in non pochi casi caratterizzata da una notevole aliquota di diseducatività) e per questo incapace di promuovere criticità ed esteticità, emozionalità e sentimentalità. Né è da ignorare, nelle giovani generazioni, un incontro utilitaristico, e per questo non sentito e non partecipato, con la parola stampata che si verifica ogniqualvolta l’alunno, piuttosto che sulla base di un autonomo interesse, è posto nella condizione di leggere per effettuare ricerche ad uso scolastico, le quali troppo spesso si risolvono in una impersonale copiatura.

 

     Quanto al riguardo sia da addebitare ad una mancata effettiva educazione alla lettura da parte della scuola, ma anche della famiglia, è appena il caso di avvertirlo, con l’evidente conseguenza, tra l’altro, di una “esposizione” prolungata alla irruzione massiccia degli altri linguaggi e di un indebolimento delle difese personali preposte ad arginare la loro forza inondante e prevaricante. Lo spazio a disposizione non ci consente di riflettere esaurientemente sui compiti specifici che in tal senso la famiglia ha da soddisfare.

 

     Ci interessa soltanto far presente l’opportunità che all’interno del contesto familiare la lettura rappresenti un valore e un compito di sviluppo, che appartenga strutturalmente alla quotidianità familiare e che i genitori testimonino sempre l’amore per il libro e la lettura, consapevoli della “contagiosità” del piacere della lettura e della necessità che in particolare a casa (e a scuola) le giovani generazioni devono trovare modelli di “lettore” autorevoli e affascinanti. Ma non di minor rilevanza è che i genitori incoraggino la lettura, predispongano intorno al figlio un’ambientazione favorevole al leggere, lo aiutino ad incontrarsi con testi di notevole valore culturale ed estetico, lo stimolino a scegliere in prima persona i libri, discutano con lui i libri letti. Se è vero che la costruzione di condizioni idonee alla lettura non assicura la nascita di un lettore “accanito”, di un lettore “forte”, tuttavia ne rappresenta premesse solide. In gioco non è l’apprendimento anticipato delle tecniche di lettura bensì una tempestiva motivazione al leggere, un’anticipata voglia di leggere. Non poco i genitori potranno essere aiutati in questo non facile compito da insegnanti capaci di sensibilizzarli intorno al basilare bisogno del soggetto in divenire della parola orale e scritta.

 

     Ripetutamente si è posto in risalto che la scuola insegna a leggere ma non promuove il piacere della lettura (il quale non ha niente a che fare con la lettura di piacere), insiste sulla lettura di tipo “funzionale” e trascura quella a scopo di piacere, mira in particolare a far compiere esperienze di tipo interpretativo-conoscitivo e ignora la necessità di far guadagnare all’alunno gratificazioni emotivo-affettive, misconoscendo la forza motivazionale che può essere espressa dalla capacità dell’alunno di trarre piacere dalla lettura altrui e dalla propria. Nella proposta di descolasticizzazione dell’esperienza della lettura può essere visto l’impegno da parte dell’istituzione scolastica a far sì che tale esperienza non sia unicamente destinata alla consapevolizzazione delle operazioni linguistiche e del loro significato, che il piacere della lettura non sia soffocato o mortificato dal perseguimento pressoché esclusivo dell’abilità strumentale, della decifrazione, della ricerca dell’informazione, della comprensione del livello denotativo. Vivere positivamente l’esperienza della lettura genera passione per la lettura e gusto del leggere e pone in tal modo le premesse per divenire lettori tutta la vita. Non ci sembra necessario rimarcare più di tanto che, a seconda di come viene proposto, un testo può essere percepito come una realtà seducente, colma di sollecitazioni di conoscenza e creatività, oppure come una realtà che annoia o addirittura fa violenza alla propria libertà ed imprenditorialità. Evidente ci appare la circolarità sinergica tra lettura cognitiva e lettura-piacere: le gratificazioni personali conseguite in una sono garanzie sicure per poter guadagnare soddisfazioni nell’altra. Ciò pone l’esigenza di promuovere in egual misura la capacità di comprensione testuale e le gratificazioni emotivo-affettive, di coniugare felicemente la lettura-dovere con la lettura-piacere, la lettura-negotium con la lettura-otium. Al riguardo, le letture antologiche ed il testo di narrativa possono dare, rispettivamente, un idoneo contributo.

 

     Conveniamo con chi, lamentando uno sconfortante coefficiente di ”analfabetismo culturale”, vede nella promozione del gusto di leggere un reale rimedio alla diffusa tendenza a divenire, pur in possesso della strumentalità del leggere, lettori occasionali quand’anche non-lettori e, pertanto, un sicuro itinerario da percorrere perché siano compiuti ulteriori avanzamenti in termini personali e comunitari. Chi non legge o legge poco non ha, tra l’altro, la possibilità di distanziarsi e distaccarsi dalla quotidianità e di immergersi in un universo fantastico. Chi non legge o legge poco non ha la possibilità di “naufragare” in un mondo incantato, di esercitare la fantasia creatrice; ultimamente, di soddisfare adeguatamente quel bisogno di meraviglioso, quella necessità di storie e di racconti, quell’esigenza di incantesimo e di magia che è tipica dell’essere umano e che si manifesta fin dalle prime stagioni evolutive. È possibile stabilire, legittimamente, una corrispondenza forte tra attivazione del piacere di leggere e coltivazione dell’immaginario.

 

Insegnare a saper leggere

 

     La considerazione, pur essenzializzante, dei programmi in vigore nei vari ordini e gradi di scuola ci ha posto nella condizione di dare evidenza ad un peculiare compito formativo dell’istituzione scolastica: insegnare a leggere, ovvero guidare l’alunno a farsi progressivamente lettore interprete, con quello che tale meta esige di personale sforzo a comprendere, giudicare, compiere apprezzamenti estetici, e lettore appassionato, con quello che tale obiettivo implica di disposizione permanente ad incontrarsi con la parola scritta.

 

     Nel primo traguardo sono riassunti i diversi impegni posti alla persona dai vari livelli della decodificazione: esso richiama una capacità complessa che va alquanto oltre il riconoscimento dei segni alfabetici, l’oralizzazione dei simboli grafici e la decifrazione sequenziale di sillabe, parole e frasi. In definitiva, tale traguardo viene a disegnare la capacità di disporsi in maniera differenziata dinanzi alla parola stampata a seconda del tipo di testo che si deve leggere e della finalità che ci si è consegnati. Chiaro, in ogni caso, comunque, appare il fatto che saper leggere non richiama la sottomissione passiva alla pagina scritta, e nemmeno l’esercizio meccanico della strumentalità; bensì il comprendere, l’interpretare, il sentire, il volere, il personalizzare, vale a dire il vivere in modo liberamente eletto, com’è nel significato più autentico del semantema legere, il quale reclama una scelta che riscatta gli automatismi e li feconda tramite una libertà soggettiva. Là dove la scelta è assente, là dove è effettuata una lettura abitudinaria e distaccata, non si ha esperienza interiore, non è promossa la dinamica essenza interiore, non è creativamente consolidato il carattere, non è potenziata la capacità di giudizio e non è elevato il gusto estetico.

 

     Pur non trascurando l’importanza oggi di una lettura rapida e sommaria, essenziale e fortemente esplorativa, non si può ignorare che per tale lettura è possibile andare incontro ai pericoli della superficialità e del disimpegno e dell’incapacità di comprendere realmente e di compiere una interpretazione critica di contenuti, valori, forme. È soprattutto mediante il protagonismo ermeneutico del lettore che vengono esplicitate le virtualità semantiche del testo scritto. È sempre il lettore che conferisce senso al testo e dà evidenza ai suoi significati. Leggere è soprattutto interpretare e non, riduttivisticamente, decodificare il percorso linguistico compiuto dall’autore. Leggere è andare oltre la mera comprensione testuale al fine di compiere una vera e propria penetrazione del testo, riuscire ad “abitare” il testo. Leggere reclama sempre, oltre al possesso di una comune piattaforma linguistico-culturale, un confronto interattivo tra le personali competenze e padronanze, conoscenze e strumenti, tra la soggettiva psicologia ed assiologia e l’insieme delle offerte di varia natura che il testo propone. In caso contrario, non si riesce ad avere quel circuito comunicativo tra lettore ed autore necessario a dare significato al testo. È per l’atto del leggere che si realizza una corrispondenza bidirezionale, una “cooperazione”, un’interazione tra lettore ed autore così da poter provvedere, anche attraverso una “negoziazione” di significati, a dare evidenza agli elementi critici ed estetici del testo. Ciò, peraltro, non può voler dire avallo di “libertinaggi” interpretativi, bensì possibilità (desiderabilità) di percorrere liberamente i molteplici itinerari ermeneutici suggeriti dal testo, con il convincimento che l’impresa interpretativa è un compito permanente.

 

     La scuola può aiutare l’alunno a farsi gradualmente lettore appassionato se, tra l’altro, si pone e risolve il problema della motivazione alla lettura, con la consapevolezza soprattutto che l’alunno non motivato o non legge o legge malvolentieri e non custodisce la lettura come un’esperienza di arricchimento interiore. Ed è facendo riferimento alle prime attività scolastiche di lettura che troviamo opportuno ribadire la necessità di ancorarle, in virtù di un effettivo insegnamento individualizzato, al suo mondo vitale, alla sua realtà palpitante, ai problemi che più lo impegnano sul piano della curiosità, anche per porlo nella condizione di comprendere per tempo, mediante una idonea considerazione delle differenti forme di lettura le molteplici finalità che tramite la lettura possono essere conseguite. L’educando va gradatamente iniziato alla lettura attraverso una “cattura” che avviene fin dai primi giorni di scuola, la quale cattura si avvale non poco della capacità di leggere dell’insegnante, delle proprietà affascinanti del testo, della rinunzia a farne occasione di puntigliose disamine decodificative. La stessa “cattura” è, inoltre, resa possibile dall’abilità dell’adulto di proporre la lettura come un’avventura sorprendente e stupefacente, in grado di consentire esplorazioni, scoperte, iniziazioni, invenzioni e dalla sua bravura ad aiutare l’alunno a capire che la fatica che gli è richiesta nell’incontro iniziale con la parola stampata è necessaria per potersi affermare nel tempo come lettore autonomo e competente.

 

     Quest’ultimo appunto ci sospinge a dare evidenza ad altrui orientamenti metodologico-didattici, peraltro già messi a fuoco dalla disamina dei programmi scolastici. Il traguardo del saper leggere, mentre consegna all’insegnante il compito di guidare l’alunno a guadagnare nel tempo specifiche competenze di lettura (morfologica, sintattica, semantica, testuale, pragmatico-comunicativa, rielaborativo-valutativa), gli chiede di aiutarlo a soddisfare i fondamentali bisogni di lettura, i quali sono definiti dalla condizione di alunno, di cittadino, di persona e che vengono a configurare i seguenti obiettivi: farsi lettore competente di testi curricolari e di prodotti testuali largamente ricorrenti nelle comunicazioni sociali, praticare per l’intera esistenza una lettura (ri)creativa stimandola preziosa sorgente di gratificazione personale di arricchimento interiore. Dall’individuazione dei bisogni e delle capacità degli alunni scaturirà la scelta di congruenti forme testuali (narrativa, poetica, scientifico-espositiva, regolativa, argomentativi) e, in relazione al tipo di testo e alle finalità della lettura, saranno attivate idonee strategie (lettura veloce, globale, informativa, critica, estetica, di apprendimento). In ordine ai contenuti, c’è da avvertire la necessità che la loro scelta risponda in particolare ai criteri della congruenza alla realtà psicologica e culturale degli alunni e della calibratura linguistica sulla loro competenza verbale e sulle loro capacità cognitive.

 

     Tali annotazioni, pur nella loro sommarietà, servono a sottolineare che il problema fondamentale rimane quello del dare all’attività scolastica un’appropriata organizzazione pedagogico-didattica, al cui interno acquistano un posto di tutto rilievo le abilità narrative, mediatrici e facilitatrici dell’insegnante. Grazie a tale organizzazione sono privilegiate le motivazioni personali, è portata premura ai problemi effettivi dell’alunno, è fatta leva sulle sue forze intrinseche, non è enfatizzato il programma a discapito delle funzioni-attività della personalità, non si scade nella meccanicità e nella strumentalità. Per tale organizzazione l’educazione alla lettura non si confonde o non si deteriora in un’impresa destinata a produrre esiti addestrativi o informativi o pragmatici, dissolvendo così il suo alto potere formativo. La lettura, pedagogicamente pensata ed educativamente attuata, è inequivocabile esperienza, oltre che di incremento culturale, di fecondo esercizio della soggettiva criticità ed esteticità. Giova richiamare ancora una volta la lettura libera per dar risalto non tanto ad una attività di timbro spontaneistico prodotta dalla spinta di interessi episodici ed occasionali quanto ed in particolare alla esperienza che è compiuta da una soggettività libera che durante tale esperienza fa tirocinio continuato di fondamentali predicati, quali quelli dell’intenzionalità e della decisionalità, e che per questo si pone come centro dell’attività educativa scolastica.

 

     L’esperienza interiore, che tematizzando la lettura abbiamo ripetutamente chiamato in gioco, se può dare giustificazione di una lettura tecnica, non può legittimare una prospettiva utilitaristica delle letture. L’incontro con le opere letterarie classiche ci pare la meta matura e indispensabile per chi abbia provato il gusto di leggere. Alla scuola, in  particolare alla media e alla superiore, tocca il non facile compito di aiutare il preadolescente e l’adolescente a farsi fruitore intelligente e sensibile dell’universo letterario, non senza prima averlo guidato nella ricerca e nella scelta dei testi ed averlo  sollecitato ad avvertire il fascino e il prodigio di cui sono colme le opere letterarie. In proposito, tra l’altro, è opportuno avere ben presente il valore culturale e formativo dei “grandi libri”, di quei capolavori destinati a permanere nel tempo come inequivocabili sorgenti di umanità e di civiltà, depositari di un inestimabile patrimonio di cultura. Ha appena bisogno d’esser detto che non poche volte l’incontro con i “classici” può essere sciupato o dall’ignoranza di chi è preposto alla loro scelta o dall’improprietà didattica originata dal sovradimensionamento dell’aspetto contenutistico o di quello estetico.

 

     A questo punto cade opportuno – almeno ci sembra – il riferimento alla poesia, a proposito della quale riesce difficile asserire che la scuola è generalmente capace di disporre piacevolmente e produttivamente l’alunno nei suoi confronti ed è in grado di attivare nella sua interiorità la disposizione a farsi lettore e ri-lettore abituale di poesia. Al riguardo, non poche responsabilità sono da addebitare ad una pratica didattica incardinata su esercitazioni linguistico-estetiche finalizzate ad una analisi minuta, intellettualistica, eccessivamente formale, la quale, affievolendo il rapporto emotivo con il testo, finisce con l’infastidire l’alunno e con il distoglierlo dalla poesia. Ed è ricollocandola nella più ampia esperienza scolastica che essa in non poche persone evoca noia, numerosi e prolungati sforzi mnemonici, fastidiose perifrasi, cervellotiche indagini esegetiche. Troppe persone, forse a causa di un inadeguato incontro nelle aule scolastiche, non la sanno apprezzare, gustare, comprendere; a troppe persone è ignota la sua funzione liberante ed appagante, la sua forza spiritualizzante e significante, la sua energia deconformizzante e creativizzante. È appena il caso di accennare alle sue molteplici risorse in fatto di capacità di coscientizzare l’uomo contemporaneo della sua condizione esistenziale, di aiutarlo a privilegiare l’essere piuttosto che l’avere, di sollecitarlo al dialogo intrapersonale, di liberarlo dalla banalità e dalla stereotipia, di sospingerlo verso la novità e la divergenza, l’inedito e lo straordinario, di indurlo a cogliere nella quotidianità la forma e la bellezza, di suscitare in lui la disposizione a meravigliarsi e a stupirsi, di provocarlo a ripensare la categoria del tempo e a vivere questo “poeticamente”.

 

Appunti conclusivi

 

     Giunti al termine delle nostre considerazioni, un punto in particolare ci interessa porre in risalto: la scuola, dentro la grande impresa della democratizzazione culturale, ha da perseguire con più alta intelligenza e coscienza pedagogica il traguardo dell’educazione alla lettura, la formazione del lettore competente e autonomo, ha da rivalutare la lettura autentica, la cui qualità è non poco minacciata dalla quantità e dalla superficialità, ha da far propria la consapevolezza che la consuetudine con il libro e la parola scritta non giova solamente all’ampliamento e all’affinamento del personale strumentario euristico, all’approfondimento dell’indagine sulla realtà e del suo possesso ma anche a garantire alla persona libertà di movimento all’interno dell’universo delle idee, dei valori da riconoscere e testimoniare, dei fatti da interpretare, delle relazioni da stabilire e da consolidare. Ai fini del conseguimento di tale traguardo la scuola sa che ha da stabilire forti legami con la famiglia, ma anche con le risorse presenti nel territorio, a cominciare dalle strutture bibliotecarie, con le quali deve per tempo favorire l’incontro dell’alunno.

 

     La medesima scuola, su un piano più strettamente metodologico, non può ignorare la necessità di concedere più tempo alla lettura personale e collettiva e di fare della lettura un’esperienza potenziatrice, oltre che della dimensione logica e razionale della personalità, di quella affettiva ed immaginativa: in questa direzione, c’è (forse) da tornare a concedere la debita importanza alle letture per la “mano sinistra”, per l’emisfero destro del cervello, grazie alle quali rispondere significativamente ai bisogni di fantasia e di immaginazione che sono tipici della persona. Se per chi educa, come per chi si educa, è importante dare un’adeguata risposta agli interrogativi che cosa leggere? e come leggere?, non meno essenziale è rispondere puntualmente alla domanda perché leggere?

 

     L’educatore è cosciente del fatto che la lettura vera rimanda ad una non facile impresa insegnativa, la quale, tra l’altro, reclama il possesso di una pluralità di conoscenze scientifiche (fisiologiche, psicologiche, sociologiche, linguistiche, pedagogiche, didattiche) che definiscono l’insegnare a leggere come un compito decisamente impegnativo. La medesima impresa chiede anche una continua informazione critica nei riguardi della produzione editoriale indirizzata alle varie età evolutive, un costante aggiornamento quale può derivare, ad esempio, dalle riviste dedicate alla letteratura per ragazzi. Lo stesso educatore sa parimenti che per l’educando si tratta di un lungo cammino formativo che non termina con la scuola. Per questo egli persegue, in maniera ostinata, la formazione di un lettore che, oltre ad essere interprete, sa esprimere nei confronti della parola scritta una profonda passione. Se è vero che ci si costruisce lettori leggendo, è altrettanto vero che si diviene lettori autonomi e maturi rileggendo. Il libro stabilisce con il singolo lettore una relazione personale, privata, finanche confidenziale ed intima, tant’è che gli sembra scritto apposta per lui. Senza intermediazione alcuna le sue parole dinamizzano pensieri, emozioni, sentimenti e risuonano nella sua interiorità. Tale forza maieutica e formativa della parola stampata si manifesta in modo più compiuto ed incisivo quando essa è riletta, è ripensata. Il consolidamento delle soggettive disposizioni e dei personali poteri che progressivamente nel tempo si è attuato consente di trovare nelle parole rilette messaggi, significati, sensi, valori, accenti che il leggere non aveva consentito di scoprire e di apprezzare.

 

     Conclusivamente, siamo disposti a sottoscrivere quanto qualche anno fa, sotto la pressione incalzante della “galassia informatico-telematica” ma anche della parola parlata su quella scritta, veniva appassionatamente asserito: a seconda della premura con la quale si sarebbe custodita la lettura e del modo con cui si sarebbe impostato l’insegnamento del leggere si sarebbe contribuito non poco alla realizzazione o di una società di massa, anonima ed acritica, o di una comunità di uomini liberi in grado di ricercare e pensare, riflettere e prendere posizione, culturalmente vigili e creativi, capaci di autoeducazione permanente.

 

     Lo ribadiamo oggi, pur con  l’amarezza generata dalla constatazione delle disuguaglianze economiche, sociali e culturali che impediscono a larghi strati della popolazione di godere delle molteplici ricchezze umanizzanti che sono proprie della lettura, degli ostacoli che non consentono un incontro costante e formativo, seducente e piacevole con la parola stampata: pregiudizi, abitudinarismi, ignoranza, ottusità, efficientismi, inconsapevolezze, pigrizia mentale, povertà materiali.

 

     Pur in un tempo di opprimente iconismo e di diffusa icomania, in una stagione di prevalenza dell’oralità sulla scrittura, la “morte” della parola scritta ci pare tutt’altro che imminente e la scomparsa del libro in un futuro prossimo tutt’altro che profetizzabile. Le grandi idee destinate ad incidere sulla cultura e sulla civiltà continueranno ad essere affidate alla pagina scritta per essere incontrate, lette, meditate, accolte, rifiutate, rivissute. Conveniamo con chi dichiara che solamente alla parola scritta è concesso di continuare a vivere anche nel momento in cui sembra essersi definitivamente eclissata ed è, al contrario, soltanto dimenticata e può, per questo, risvegliarsi ed essere differentemente vivificata in virtù dell’impegno ermeneutico di colui che l’ha ridestata.

 

     La scuola, quando è educativa e non svilisce il suo compito nella mera istruzione, ci appare ad un tempo solido presidio contro i pericoli che possono venir generati dalla sovrastimolazione massmediale (conformismo, ricettività passiva, isolamento, distorsione cognitiva, impoverimento motivazionale e immaginativo) e luogo privilegiato per la custodia e la promozione della parola. E questa non è una funzione di poco conto se si ritiene che custodire e promuovere la parola, alla fine, è avvalorare la persona. Può essere richiamata ancora una volta la lettura silenziosa per dare evidenza al peculiare contributo che essa può offrire in direzione della restituzione dell’uomo a se stesso, in un tempo di eccessi e di rumori, di ipersollecitazioni ed eteroprogrammismi, di incapacità di ascoltare gli altri e dialogare con se stessi, di difficoltà se non di rinunzia, a leggersi dentro ed interrogarsi sulla propria identità.

 

     D’accordo nel rifiutare una scuola “libresca”, “manualistica”, siamo persuasi che ancora per un tempo non breve il libro e la lettura continueranno a svolgere una preziosa funzione all’interno dell’impresa dell’educazione scolastica, ma anche all’interno di quella più vasta dell’affermazione della persona nei differenti luoghi di vita. Per il domani saper leggere non potrà che essere ancora un compito primario dell’autoformazione continua. Nell’asserire questo ci sostiene il convincimento, tutt’altro che infondato, che chi sa leggere si è costruito le basi necessarie per la sua realizzazione futura.

 

     L’educazione alla lettura della parola stampata ci appare, in definitiva, una grande scommessa da giocare, non testardamente, nell’età dei libri elettronici e degli ipertesti, in un tempo in cui si vanno realizzando le prime enciclopedie su CD-Rom, in una stagione in cui gli editori di tutto il mondo sembrano concentrare la loro attenzione sulle possibilità offerte dalle nuove tecnologie e, invece di discutere sulla scelta della carta e dell’inchiostro per stampare, si interessano di quali saranno i software vincenti.