FOGLIO LAPIS - GIUGNO 2000

 
 

 

"Il maestro deve tener presente che la scuola ha da servire a tre fini, a dar vigore al corpo, penetrazione all'intelligenza e rettitudine all'animo" - Elaborati dal pedagogista Aristide Gabelli, i programmi per la scuola elementare italiana di 112 anni fa corrisposero all'esigenza di una istruzione unitaria sul territorio nazionale

 

L'Italia del 1888 è un paese prevalentemente agricolo, unificato da meno di trent'anni e proteso nello sforzo immane di colmare il divario che in tanti campi, dall'economia all'organizzazione sociale, dall'igiene all'istruzione, la separa dai paesi più sviluppati d'Europa. Per di più è un paese frammentario, la sua unità politica non si è ancora trasferita in una accettabile armonizzazione dei modi di vita, delle aspettative, dei bisogni e dei consumi. Il compito di unificare nei fatti il paese, di "fare gli italiani dopo aver fatta l'Italia", secondo la formula che si usava allora, venne affidato in primo luogo a due grandi istituzioni, la scuola e le forze armate.

Con la coscrizione obbligatoria, i cittadini di sesso maschile venivano temporaneamente sottratti alle rispettive province: nelle caserme e fra i corpi di spedizione impegnati nelle guerre coloniali una colorita mescolanza di accenti e dialetti veniva sottoposta all'effetto omologante del cameratismo. Con risultati non proprio decisivi, visto che dal crogiolo unificante veniva esclusa in blocco la componente femminile della società. Del resto nemmeno la scuola poteva garantire un impatto globale: nonostante le norme sull'obbligatorietà dell'istruzione primaria una parte della popolazione, in cui ancora una volta prevaleva l'altra metà del cielo, rimase a lungo fuori dalle aule.

La scuola elementare rimaneva tuttavia il luogo di più massiccia frequentazione da parte dei piccoli italiani. E' dunque comprensibile che si cercasse di approfittarne per gettarvi i semi di una identità nazionale ancora assai incerta e piuttosto elitaria. Non a caso Aristide Gabelli, il pedagogista cui fu assegnato il compito di fissare le linee dei programmi scolastici del 1888, insiste sulla necessità che il maestro si sforzi di far germinare il "buon cittadino" fra i suoi allievi, "distogliendoli, ove bisogni, da gare e da odii municipali".. "Senza vanti improvvidi e senza insulsi retoricumi, non ometterà di far capire, per quanta parte e in quanti modi il nostro paese abbia contribuito alla civiltà del mondo, per trarne motivo di giusta soddisfazione, ma non senza avvertire che lo splendido passato non avrà che a rendere oscuro il presente, ove la crescente generazione non sorga agguerrita ai nuovi destini da un vigile e forte sentimento del dovere, così verso la famiglia e i propri simili, come verso la patria e lo Stato".

In questo quadro di preoccupazione per l'unità e l'identità nazionale, il programma didattico del 1888 è interessante anche per la responsabilità che attribuisce al maestro in materia di educazione fisica (di cui fa parte il canto corale, atto a "sviluppare gli organi della respirazione") e di igiene. Ma dove la lezione di Gabelli si rivela in tutta la sua sapienza è dove critica il nozionismo fine a se stesso, privilegiando sulle cognizioni che pure è necessario somministrare "le abitudini che il pensiero acquista dal modo in cui vengono somministrate". "Le cognizioni non poche volte, e forse il più delle volte, dopo un po' di tempo di desuetudine dagli studi, vengono in molta parte dimenticate, quando invece il modo di pensare dura tutta la vita, entra in tutte le azioni umane…".

Il maestro elementare viene anche invitato a stare alla larga dall'istruzione "parolaia e dogmatica", a calare l'insegnamento nella realtà. Il docente "deve continuare in luogo d'interrompere, come il più spesso accade, l'istruzione che gli alunni ricevettero dalla natura prima di metter piede nella scuola, l'istruzione cioè dei sensi, studiandosi però di renderla più chiara, compiuta e consapevole di se stessa". Gabelli invita l'insegnante a servirsi di materiali didattici tratti dalla vita di tutti i giorni, a cominciare dagli oggetti di uso comune, già familiari ai ragazzi. Infatti "la forma degli oggetti, il loro colore, la loro genesi, l'uso a cui servono… aprono innanzi a loro i campi della natura e dell'industria e porgono occasione di portare la loro mente avida di sapere nel mondo reale".

f.s.

 

Nota: le citazioni sono tratte da Walter Ganzaroli, Programmi didattici collegati ed annotati, Istituto padano di arti grafiche, seconda edizione, Rovigo, 1951.

 
 
 

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