FOGLIO LAPIS - FEBBRAIO - 2014

 
 

Nell'epoca in cui il bagaglio delle conoscenze si sviluppa a ritmi incalzanti, è importante non soltanto ricorrere alla pratica dell'aggiornamento, ma anche imparare a destreggiarsi di fronte a sfide sempre più nuove e imprevedibili – Si cerca dunque di dare un senso all'acquisizione di capacità creative – Nasce così un nuovo approccio disciplinare, seguito con interesse dal mondo degli affari e della comunicazione, ma anche dalla scienza e dalle arti

 

Una volta si credeva che la creatività fosse una sorta di dono divino, strettamente associato alla genialità. Oggi si è più propensi a classificarla come una capacità, suscettibile di essere insegnata e appresa. Si può insomma insegnare a essere creativi, e lo si può imparare. Anzi è necessario, perché in questa epoca di cambiamenti rapidissimi, in cui il bagaglio delle conoscenze cresce a ritmi incalzanti, chi non è in grado d'intuire la mossa risolutiva, il colpo maestro capace di sbloccare una situazione, di dare un senso concreto a un'intuizione, rischia di rimanere tagliato fuori. Di questo si discute da qualche tempo con particolare intensità, per esempio negli Stati Uniti, dove numerosi colleges e università collocano la creatività fra gli approcci disciplinari, anzi per la precisione interdisciplinari, capaci di facilitare la padronanza dei problemi di qualsiasi natura.

In realtà essere creativi significa non tanto sapere risolvere il problema, ma prima di tutto saperselo porre correttamente, saperlo individuare come tale, prima ancora della sua manifestazione effettiva. Non a caso il mondo imprenditoriale si mostra particolarmente sensibile al tema, soprattutto dopo che un'inchiesta condotta quattro anni or sono dalla multinazionale Ibm su millecinquecento dirigenti industriali ha stabilito che la creatività è considerato il fattore numero uno del successo. Fermo restando che gli altri fattori, quelli tradizionali della buona conduzione aziendale, devono essere in ordine, la creatività offre il valore aggiunto capace di raggiungere i traguardi più ambiziosi.

Il quotidiano New York Times riferisce di un metodo usato nello State College di Buffalo che si compone di quattro fasi: chiarificazione (inquadrare correttamente il problema), ideazione (provare a immaginare liberamente), sviluppo (delineare una soluzione), esecuzione (dimostrare che la soluzione funziona). Naturalmente il processo non è sempre così lineare, capita spesso che ci si ferma al punto tre e bisogna ricominciare daccapo. Ma proprio così deve andare, infatti l'errore è parte del processo creativo. Torniamo dunque alla massima leonardesca: provando e riprovando (dove quest'ultimo termine non significa come molti credono ripetere la prova, ma prendere atto del suo fallimento).

Guardarsi attorno senza pregiudizi, essere curiosi, pensare per analogie, ridurre i problemi alla loro qualità intrinseca, trasformarli in domande, fare in modo che dallo scontro di idee contrastanti schizzino fuori idee nuove. Questi i consigli che gli esperti citati dal NYT offrono a chi voglia imbarcarsi sul vascello della creatività. E ancora: prendere l'abitudine d'immaginare come una situazione potrebbe essere gestita diversamente da come lo è, e con quali possibili conseguenze. Gli Stati Uniti sono la terra del pragmatismo: ma questo approccio alla creatività si propone anche, indipendentemente dalle sue applicazioni concrete, come affascinante avventura del pensiero.

 

                                                          l. v. 
                                         

    


                                                  

 
 

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