Nell'epoca
in cui il bagaglio delle conoscenze si sviluppa a ritmi
incalzanti, è importante non soltanto ricorrere alla
pratica dell'aggiornamento, ma anche imparare a
destreggiarsi di fronte a sfide sempre più nuove e
imprevedibili – Si cerca dunque di dare un senso
all'acquisizione di capacità creative – Nasce così un
nuovo approccio disciplinare, seguito con interesse dal
mondo degli affari e della comunicazione, ma anche dalla
scienza e dalle arti
Una
volta si credeva che la creatività fosse una sorta di dono
divino, strettamente associato alla genialità. Oggi si è
più propensi a classificarla come una capacità,
suscettibile di essere insegnata e appresa. Si può insomma
insegnare a essere creativi, e lo si può imparare. Anzi è
necessario, perché in questa epoca di cambiamenti
rapidissimi, in cui il bagaglio delle conoscenze cresce a
ritmi incalzanti, chi non è in grado d'intuire la mossa
risolutiva, il colpo maestro capace di sbloccare una
situazione, di dare un senso concreto a un'intuizione,
rischia di rimanere tagliato fuori. Di questo si discute da
qualche tempo con particolare intensità, per esempio negli
Stati Uniti, dove numerosi colleges e università
collocano la creatività fra gli approcci disciplinari, anzi
per la precisione interdisciplinari, capaci di facilitare la
padronanza dei problemi di qualsiasi natura.
In
realtà essere creativi significa non tanto sapere risolvere
il problema, ma prima di tutto saperselo porre
correttamente, saperlo individuare come tale, prima ancora
della sua manifestazione effettiva. Non a caso il mondo
imprenditoriale si mostra particolarmente sensibile al tema,
soprattutto dopo che un'inchiesta condotta quattro anni or
sono dalla multinazionale Ibm su millecinquecento
dirigenti industriali ha stabilito che la creatività è
considerato il fattore numero uno del successo. Fermo
restando che gli altri fattori, quelli tradizionali della
buona conduzione aziendale, devono essere in ordine, la
creatività offre il valore aggiunto capace di raggiungere i
traguardi più ambiziosi.
Il
quotidiano New York Times riferisce di un metodo
usato nello State College di Buffalo che si compone
di quattro fasi: chiarificazione (inquadrare correttamente
il problema), ideazione (provare a immaginare liberamente),
sviluppo (delineare una soluzione), esecuzione (dimostrare
che la soluzione funziona). Naturalmente il processo non è
sempre così lineare, capita spesso che ci si ferma al punto
tre e bisogna ricominciare daccapo. Ma proprio così deve
andare, infatti l'errore è parte del processo creativo.
Torniamo dunque alla massima leonardesca: provando e
riprovando (dove quest'ultimo termine non significa come
molti credono ripetere la prova, ma prendere atto del suo
fallimento).
Guardarsi attorno senza pregiudizi, essere curiosi,
pensare per analogie, ridurre i problemi alla loro qualità
intrinseca, trasformarli in domande, fare in modo che dallo
scontro di idee contrastanti schizzino fuori idee nuove.
Questi i consigli che gli esperti citati dal NYT offrono
a chi voglia imbarcarsi sul vascello della creatività. E
ancora: prendere l'abitudine d'immaginare come una
situazione potrebbe essere gestita diversamente da come lo
è, e con quali possibili conseguenze. Gli Stati Uniti sono
la terra del pragmatismo: ma questo approccio alla creatività
si propone anche, indipendentemente dalle sue applicazioni
concrete, come affascinante avventura del pensiero.
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l. v.
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