Le
indagini internazionali parlano chiaro: c'è un
paradossale contrasto fra la disponibilità di vari metodi
per insegnare a leggere e l'amara realtà, comune a molti
Paesi, di legioni di giovani che escono dalla scuola senza
avere acquisito in modo sufficiente quella fondamentale
capacità - Mezzo secolo fa Gianni Rodari aveva visto
giusto, individuando nove modi (ma oggi sono dieci) per
insegnare ai ragazzi a odiare la lettura – Un dibattito
recente: che farsene dei libri?
Qualche
settimana fa ha fatto sensazione la lettera, che sul
quotidiano La Repubblica ha innescato un animato
dibattito, di un musicista che dichiara di non aprire mai un
libro. Semplicemente non ne sente il bisogno: suona Mozart,
e ne è ammaliato, ma non avverte il desiderio di leggere la
storia della sua vita, né i giudizi della critica. Immerso
nella preparazione delle sue esecuzioni, dei libri non sa
che farsene. Fra i lettori che hanno partecipato al
dibattito, gente che legge non soltanto il giornale, c'è
chi mostra comprensione (lettura, in senso lato, è anche
scorrere lo spartito...) ma i più manifestano sorpresa, a
volte irritazione. Del resto il caso del musicista non è
certo isolato: anni fa toccò al presidente del consiglio
dei ministri dichiarare che da vent'anni non apriva un
libro. La questione non è soltanto italiana: un celebre
campione tedesco dell'automobilismo ha più volte sostenuto
pubblicamente che i libri non servono proprio a niente, e
lui si guarda bene dal perdere tempo con la lettura.
Al
tempo stesso ci sono statistiche italiane e internazionali
che segnalano un fenomeno inquietante: non tutti i giovani
escono dai loro cicli scolastici forniti di una adeguata
capacità di lettura. Molti si rivelano incapaci di
comprendere a fondo indicazioni scritte anche elementari,
altri non sanno elaborare i significati. É chiaro che
costoro si aggiungeranno alla schiera di chi non metterà
mai piede in libreria né in biblioteca. Questa volta non
per una sorta di rifiuto come quello dichiarato dal
musicista che ha scritto al giornale, ma proprio per
manifesta incapacità. É inevitabile supporre che chi è
uscito dalla scuola con così scarse capacità di lettura
non se ne faccia un problema, e che la sua rinuncia ai libri
sia perfettamente serena e senza rimpianti.
E
pensare che stuoli di specialisti sono affannati nei secoli
a elaborare sempre più raffinati metodi d'insegnamento
della lettura. Gli addetti ai lavori parlano di metodi
sintetici, che sono quelli che partono dall'individuazione
delle lettere e delle sillabe per arrivare alla comprensione
delle parole; dei più moderni metodi globali, che partono
invece dalla parola nella sua interezza; infine dei metodi
misti, che partono ugualmente dalla parola ma per poi
scomporla in sillabe o lettere e quindi ricostruirla, in
modo da acquisire parallelamente la capacità di scriverla.
C'è dunque a disposizione della scuola un ben munito
arsenale di strumenti, che forse hanno il solo difetto di
trasmettere, o di provare a farlo, una semplice capacità,
non un desiderio. Forse si trascura di far considerare
qualcosa di simile alla sacralità della parola scritta:
fatto sta che i risultati sono quelli che sono.
E
così tornano in mente quelli che Gianni Rodari individuò
esattamente mezzo secolo fa come i nove modi per insegnare
ai ragazzi a odiare la lettura. Eccoli, nell'ordine proposto
allo scrittore: presentare il libro come un'alternativa alla
tv; presentarlo come un'alternativa al fumetto; dire ai
bambini di oggi che i bambini di una volta leggevano di più;
ritenere che i bambini abbiano troppe distrazioni; dare la
colpa ai bambini se non amano la lettura; trasformare il
libro in uno strumento di tortura; rifiutarsi di leggere al
bambino; non offrire una scelta sufficiente; ordinare di
leggere. Il progresso tecnologico aggiunge un decimo modo:
presentare il libro come alternativa a computer, tablet e
telefoni “intelligenti”.
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f. s.
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