Il
caso della provincia di Helmand, dove solo metà delle 336
scuole sono aperte – L'incubo di un possibile ritorno
dei talebani, fautori di scuole esclusivamente islamiche e
risolutamente contrari all'istruzione femminile – Eppure
la regione meriterebbe un grande impegno educativo,
considerato che il suo tasso di alfabetizzazione non
supera l'otto per cento – Fortunatamente qualcosa sta
cambiando nella mentalità popolare
Purtroppo
è soltanto la guerra a tenere l'Afghanistan sulla scena
dell'attenzione internazionale. Sopraffatti dalle notizie di
offensive, attentati, kamikaze e trappole esplosive,
tendiamo a dimenticare gli sforzi che la società afghana
sta facendo per cercare di garantire un futuro ai suoi
figli. Un recente reportage del New York Times apre
uno spiraglio su un aspetto particolarmente trascurato, la
pubblica istruzione. Alissa Johannsen Ruby, che dirige
l'ufficio del NYT a Kabul, ha visitato alcune scuole
nella provincia meridionale di Helmand, che fu una
roccaforte dei talebani ma oggi è in buona parte occupata
dalle forze internazionali dell'Isaf. La sua testimonianza
traccia un quadro fatto di speranza e timori, e
dell'emergere nella popolazione di una nuova consapevolezza
sull'importanza dell'educazione.
Bisogna
considerare che questa provincia rurale ha un tasso di
alfabetizzazione irrisorio: non più dell'otto per cento fra
gli uomini e ancora meno fra le donne. Si consideri che
nell'intero Afghanistan il tasso medio maschile è del 43
per cento. Questa realtà statistica riflette il fatto che
il popolo di cultura pashtun che vive nell'Helmand ha
sempre avuto un atteggiamento diffidente nei confronti
dell'istruzione. Quando nel 1978 s'insediò a Kabul un
governo comunista spalleggiato dall'Unione Sovietica, partì
un vasto programma educativo che non soltanto andava contro
il sentire comune della gente, ma soprattutto infastidiva
gli oltranzisti islamici, che lo consideravano un'offesa
alla religione. In particolare i fondamentalisti
osteggiavano l'estensione dell'offerta scolastica alla
componente femminile.
Ecco
dunque i mujahidin che incendiano scuole e massacrano
insegnanti. Quando i talebani raggiungono il potere nel
1996, vietano alle tragazze di andare a scuola scoraggiando
anche lo sviluppo di programmi educativi pet i maschi:
soltanto tollerate le scuole coraniche. Nuovo mutamento di
rotta nel 2001, quando arrivano le truppe occidentali: ma
all'inizio il rilancio dell'offerta scolastica deve fare i
conti con una radicata diffidenza popolare. Oggi, riferisce
Alissa Ruby, quella diffidenza è stata, se non proprio
stroncata, certo fortemente ridimensionata. Molti genitori
mandano volentieri i loro figli a scuola, sanno che se
imparano a leggere, scrivere e far di conto la loro vita sarà
migliore.
Eppure
un incubo grava su tutto questo: una volta che le truppe
straniere se ne saranno andate e il governo afghano dovrà
fare da sé, evidentemente anche i talebani, o almeno gruppi
vicini al fondamentalismo islamico, avranno un ruolo nella
gestione del paese. La speranza è che stavolta gli
integralisti non calchino troppo la mano, visto che
l'atteggiamento popolare nei confronti dell'istruzione è
visibilmente mutato. Qualcosa in questo senso si sta
muovendo, Alissa riferisce di certe scuole in parti dell'Helmand
controllate dai talebani che non sono state chiuse.
Nell'insieme della provincia, 185 delle 336 istituti sono al
momento funzionanti, sia pure tra molte difficoltà.
L'inviata del quotidiano americano riferisce di una scuola
nella piccola città di Marja, dove ci sono alunni senza
scarpe, o senza quaderni, o costretti a camminare fino a due
ore per raggiungere l'aula dai loro sperduti villaggi.
Negli ultimi tre anni oltre ventidue miliardi di
dollari, provenienti da un'organizzazione umanitaria danese
e dai comandi militari americani, sono stati investiti nel
sistema educativo dell'Helmand. Ma non bastano, anche perché
non tutto quel denaro arriva effettivamente a destinazione,
in un paese afflitto dal caos, dalla corruzione e dalle
mille incertezze dovute alla guerra.
-
f. s.
-
|