FOGLIO LAPIS - FEBBRAIO - 2013

 
 

Il sistema educativo francese alle prese con due propositi di riforma – Da una parte l'orario delle lezioni: la settimana di quattro giorni introdotta cinque anni or sono viene criticata da molte parti – Dall'altra si rincorre l'obiettivo della parità uomo-donna nell'istruzione superiore e nella ricerca – L'elemento femminile, maggioritario nella cultura umanistica, è poco rappresentato soprattutto nelle facoltà scientifiche

 

Ai docenti francesi proprio non vanno a genio, i propositi riformatori del ministro dell'educazione nazionale Vincent Peillon. Uno sciopero massiccio nelle scuole parigine ha segnalato al paese l'ostilità dei professori al proposito di Peillon, che intende modificare gli orari delle lezioni, i “ritmi scolastici” come si chiamano sulle rive della Senna. Attualmente, in seguito alla riforma varata nel 2008, la settimana scolastica francese comprende soltanto quattro giornate, lunedì, martedì, giovedì e venerdì. Ovviamente si tratta di giornate particolarmente pesanti: sei ore di lezioni. Rispetto ai paesi comparabili si tratta di un record. Ma se la Francia è primatista sul versante del tempo quotidiano d'insegnamento, lo è anche per la brevità dell'anno scolastico: centoquarantaquattro giornate di scuola, contro un ventaglio fra le centoottanta e le duecento negli altri paesi statisticamente omogenei.

La proposta di Peillon, che dovrebbe entrare in vigore all'inizio dell'anno scolastico 2013-14 o al più tardi l'anno successivo, non è proprio così radicale come vorrebbe chi trova assurdo tutto quel carico di lavoro concentrato in poche giornate. Il ministro vuole che le scuole aprano un'altra mezza giornata, precisamente il mercoledì mattina, spalmandovi quel tanto di lezioni che permetta di alleggerire le altre giornate di mezz'ora di lavoro. Si raccomanda inoltre una serie di attività “periscolastiche”, a cura degli enti locali, fino a metà pomeriggio. Resta invece invariata la durata dell'anno scolastico. Mentre la polemica infuria nel corpo docente, le autorità scolastiche co fidano nel sostegno delle famiglie, dalle quali si levarono a suo tempo voci critiche contro la riduzione della settimana a quattro giornate.

I fautori della riforma, per quanto piuttosto timida nella sua quantificazione, fanno notare che sei ore consecutive di studio sono particolarmente stressanti per i ragazzi, il cui livello d'attenzione cala progressivamente con il passare del tempo. Inoltre qualificano di inaccettabile “corporativismo” la reazione negativa dei docenti. Segnalano infine i risultati insoddisfacenti del sistema scolastico francese nelle valutazioni comparate internazionali del rendimento, e indicano una possibile soluzione in un ritmo di lavoro più rilassato.

Un altro dibattito conferma l'attenzione con cui l'opinione pubblica francese segue tradizionalmente le vicende relative all'istruzione. Due ministre del governo guidato da Jean-Marc Ayrault, la responsabile per i diritti delle donne Najat Vallaud-Belkacem e l'incaricata per l'insegnamento superiore Geneviève Fioraso, hanno annunciato che i dirigenti delle università e delle grandes écoles hanno sottoscritto una Carta contenente l'impegno a realizzare nel più breve tempo possibile la parità uomo-donna in tutte le discipline. La parità dovrà raggiungersi fra gli studenti ma anche fra i docenti, i ricercatori e i dirigenti di tutti gli istituti d'istruzione superiore. In che modo? Soprattutto pretendendo la parità nei contratti fra Stato e istituti d'insegnamento, ma anche combattendo gli stereotipi, dice la ministra Vallaud-Belkacem.

Si fa notare che oggi le studentesse sono complessivamente più numerose degli studenti: nelle università raggiungono il 57 per cento. Ma nelle scuole d'ingegneria sono appena il 28 per cento. Se le ragazze sono maggioranza nelle facoltà umanistiche e commerciali (rispettivamente il 74 e il 54 per cento), sono invece scarsamente rappresentate in quelle scientifiche: appena il 30 per cento di studentesse, con tendenza calante negli ultimi anni. Ma lo squilibrio è schiacciante sulle cattedre, poco più del 23 per cento dei professori di ruolo, e fra i ricercatori, 27 per cento (si fa notare che in Italia, per citare un paese relativamente omogeneo, questa percentuale sale al 33). Irrisoria infine, lamentano i riformatori del governo francese, la presenza femminile ai vertici delle università e dei grandi istituti di ricerca.

                                                          a. v. 
                                         

    


                                                  

 
 

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