Il
sistema educativo francese alle prese con due propositi di
riforma – Da una parte l'orario delle lezioni: la
settimana di quattro giorni introdotta cinque anni or sono
viene criticata da molte parti – Dall'altra si rincorre
l'obiettivo della parità uomo-donna nell'istruzione
superiore e nella ricerca – L'elemento femminile,
maggioritario nella cultura umanistica, è poco
rappresentato soprattutto nelle facoltà scientifiche
Ai
docenti francesi proprio non vanno a genio, i propositi
riformatori del ministro dell'educazione nazionale Vincent
Peillon. Uno sciopero massiccio nelle scuole parigine ha
segnalato al paese l'ostilità dei professori al proposito
di Peillon, che intende modificare gli orari delle lezioni,
i “ritmi scolastici” come si chiamano sulle rive della
Senna. Attualmente, in seguito alla riforma varata nel 2008,
la settimana scolastica francese comprende soltanto quattro
giornate, lunedì, martedì, giovedì e venerdì. Ovviamente
si tratta di giornate particolarmente pesanti: sei ore di
lezioni. Rispetto ai paesi comparabili si tratta di un
record. Ma se la Francia è primatista sul versante del
tempo quotidiano d'insegnamento, lo è anche per la brevità
dell'anno scolastico: centoquarantaquattro giornate di
scuola, contro un ventaglio fra le centoottanta e le
duecento negli altri paesi statisticamente omogenei.
La
proposta di Peillon, che dovrebbe entrare in vigore
all'inizio dell'anno scolastico 2013-14 o al più tardi
l'anno successivo, non è proprio così radicale come
vorrebbe chi trova assurdo tutto quel carico di lavoro
concentrato in poche giornate. Il ministro vuole che le
scuole aprano un'altra mezza giornata, precisamente il
mercoledì mattina, spalmandovi quel tanto di lezioni che
permetta di alleggerire le altre giornate di mezz'ora di
lavoro. Si raccomanda inoltre una serie di attività “periscolastiche”,
a cura degli enti locali, fino a metà pomeriggio. Resta
invece invariata la durata dell'anno scolastico. Mentre la
polemica infuria nel corpo docente, le autorità scolastiche
co fidano nel sostegno delle famiglie, dalle quali si
levarono a suo tempo voci critiche contro la riduzione della
settimana a quattro giornate.
I
fautori della riforma, per quanto piuttosto timida nella sua
quantificazione, fanno notare che sei ore consecutive di
studio sono particolarmente stressanti per i ragazzi, il cui
livello d'attenzione cala progressivamente con il passare
del tempo. Inoltre qualificano di inaccettabile
“corporativismo” la reazione negativa dei docenti.
Segnalano infine i risultati insoddisfacenti del sistema
scolastico francese nelle valutazioni comparate
internazionali del rendimento, e indicano una possibile
soluzione in un ritmo di lavoro più rilassato.
Un
altro dibattito conferma l'attenzione con cui l'opinione
pubblica francese segue tradizionalmente le vicende relative
all'istruzione. Due ministre del governo guidato da
Jean-Marc Ayrault, la responsabile per i diritti delle donne
Najat Vallaud-Belkacem e l'incaricata per l'insegnamento
superiore Geneviève Fioraso, hanno annunciato che i
dirigenti delle università e delle grandes écoles
hanno sottoscritto una Carta contenente l'impegno a
realizzare nel più breve tempo possibile la parità
uomo-donna in tutte le discipline. La parità dovrà
raggiungersi fra gli studenti ma anche fra i docenti, i
ricercatori e i dirigenti di tutti gli istituti d'istruzione
superiore. In che modo? Soprattutto pretendendo la parità
nei contratti fra Stato e istituti d'insegnamento, ma anche
combattendo gli stereotipi, dice la ministra
Vallaud-Belkacem.
Si
fa notare che oggi le studentesse sono complessivamente più
numerose degli studenti: nelle università raggiungono il 57
per cento. Ma nelle scuole d'ingegneria sono appena il 28
per cento. Se le ragazze sono maggioranza nelle facoltà
umanistiche e commerciali (rispettivamente il 74 e il 54 per
cento), sono invece scarsamente rappresentate in quelle
scientifiche: appena il 30 per cento di studentesse, con
tendenza calante negli ultimi anni. Ma lo squilibrio è
schiacciante sulle cattedre, poco più del 23 per cento dei
professori di ruolo, e fra i ricercatori, 27 per cento (si
fa notare che in Italia, per citare un paese relativamente
omogeneo, questa percentuale sale al 33). Irrisoria infine,
lamentano i riformatori del governo francese, la presenza
femminile ai vertici delle università e dei grandi istituti
di ricerca.
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a. v.
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