Uno
studente romano scrive a un giornale britannico: che ne
pensate del fatto di dover studiare latino? Non sarebbe
meglio imparare il mandarino? – Il quotidiano gli dà
ragione, ma un lettore insorge in difesa degli studi
classici – Del resto la lingua di Roma antica dà
qualche segno di ripresa: non c’è forse una radio in
Finlandia che trasmette in latino? E non vi è stato
tradotto persino Harry Potter? – Il controverso concetto
dell’utilità pratica
Dei casi, delle perifrastiche e degli ablativi
assoluti Andrea Rocchetto doveva averne proprio
abbastanza. Dopo avere invano tentato di sollevare il
problema sulla stampa italiana, in tutt’altre faccende
affaccendata, questo liceale romano di 15 anni ha scritto
a un quotidiano di Londra, l’autorevole Financial
Times. “Ho un grosso problema con la mia
scuola…”. Il latino, appunto.
Mi dicono che va studiato perché è la lingua
degli avi, e perché migliora le capacità logiche. Ma non
sarebbe meglio studiare il cinese? È vero che non è la
lingua degli avi, ma un aiuto alla logica può darlo lo
stesso, e in più può anche servire a qualcosa…
Nell’austera redazione del Financial Times
lo sfogo di Andrea non passa inosservato. Probabilmente
sedotta dal fatto che la questione viene sollevata proprio
a Roma, culla e centro d’irradiazione della latinità,
la direzione pubblica la lettera, con tanto di risposta,
il 6 gennaio. Ma sì caro ragazzo, hai proprio ragione.
Non pare che studiare il latino porti dei benefici
pratici, se non a una ristretta cerchia di insegnanti.
Conoscere il cinese, invece, può costituire un esercizio
mentale analogo, con il “vantaggio supplementare di
poter parlare non soltanto al papa”.
Fin qui la risposta del quotidiano londinese. Ma non
è che l’inizio di un dibattito che più inglese non si
potrebbe. Il 19 gennaio interviene l’editorialista
Matthew Engel. Siamo forse di fronte a una rinascita del
latino?, si chiede. Apparentemente sì, argomenta, visto
che in quella lingua è stato tradotto persino Harry
Potter, mentre in Finlandia c’è una radio che trasmette
nell’idioma antico di Roma, in rete si trovano numerosi
siti in latino e uno dei bestellers britannici di questa
stagione s’intitola Amo, Amas, Amat and All That,
opera di Harry Mount. Ma è solo apparenza, dice Engel:
infatti gli studi classici erano caduti così in basso che
ogni piccolo fremito di vita sembra una rinascita.
Piccoli fremiti di vita? Ma proprio in Inghilterra è
sorta l’iniziativa di Lorna Robinson di cui abbiamo
parlato la scorsa estate su questo giornale (http://www.fogliolapis.it/giugno2006-2.htm).
La Robinson è una latinista formata a Oxford che ha
deciso di lasciare una comoda cattedra in un college
esclusivo per dedicarsi a corsi integrativi di greco e di
latino nella scuola pubblica. La sua motivazione è
duplice: superare l’iniquità che riserva gli studi
classici ai soli ragazzi le cui famiglie possono pagare le
costosissime rette degli istituti privati, diffondere in
tutti gli strati sociali, sulla base della libera scelta,
una base culturale utile a padroneggiare meglio la stessa
lingua inglese.
Per chi, come noi, trova quanto meno fastidioso che si
valuti un insegnamento sulla sola base di immediate utilità
pratiche, l’alternativa latino-cinese è del tutto priva
di senso. Di questo stesso parere è William Wakefield, un
lettore del Financial Times che scrive da San
Francisco. La sua lettera è stata pubblicata il 27
gennaio. Wakefield trova “piuttosto cinica” la
risposta data al liceale di Roma e spiega pazientemente:
si può studiare una lingua, o qualsiasi altra cosa, in
vista di vantaggi commerciali, e lo si può fare invece
per mettersi in grado di leggere e apprezzare la
corrispondente letteratura. In fondo, aggiunge, non si
vive di solo pane.
Grazie, signor Wakefield. E grazie anche a quei
ragazzi tedeschi che osano portare in scena Plauto nella
sua lingua originale, e riescono persino a trovare un
pubblico (ne abbiamo parlato un anno fa: http://www.fogliolapis.it/febbraio2006-5.htm).
Del resto c’è chi sogna addirittura di fare della
lingua di Virgilio (paulo maiora canamus…)
l’idioma ufficiale dell’Unione Europea. Sarebbe un bel
colpo, per la torre di Babele delle istituzioni di
Bruxelles. Ma no, in quel caso il latino perderebbe il
fascino della sua splendida inutilità.
r.
f. l.
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