Giuseppe
Bertagna non riconosce più, nella scuola del secondo
ciclo varata dal ministro Letizia Moratti, il progetto
originario da lui elaborato – Accusa i più vari gruppi
di pressione, dalla Confindustria ai sindacati, di averlo
snaturato sacrificando l’istruzione tecnica – E così,
lamenta il pedagogista, resteremo un paese sovrabbondante
di avvocati e povero di quadri – Gli risponde Gianfelice
Rocca: la scuola tecnica non andava confusa con quella
professionale
Espiatoria e costrittiva, dice Giuseppe Bertagna. Il
pedagogista qualifica con questi due aggettivi la scuola
italiana, che definisce troppo distante dalla vita. C’era
la necessità di stabilire un corretto rapporto fra studio e
lavoro, denuncia con amarezza, ma sia o di fronte a
un’occasione perduta. Il padre della riforma Moratti non
riconosce più la sua creatura, mortificata e snaturata a
suo dire dai più vari gruppi di pressione: la lobby dei
sindacati, quella della Confindustria, i partiti, la
burocrazia. Lo sfogo dello studioso che nel 2003 disegnò
per conto di Letizia Moratti le linee della riforma
scolastica è comparso lo scorso 23 gennaio in
un’intervista al Corriere della Sera. Bertagna
attacca la formulazione varata dal governo della scuola del
secondo ciclo, quel sistema degli otto licei sui quali
questo periodico si è più volte soffermato. Ecco, è
proprio la “licealizzazione” della scuola media
superiore che lo studioso critica con forza, oltre al
permanere di una struttura centralistica. Lui avrebbe voluto
esaltare il ruolo degli istituti tecnici, quelli che
sfornano ragionieri, geometri, periti. E invece gli istituti
tecnici, trasformati in licei, hanno perduto la loro
preziosa identità.
A stretto giro di posta risponde a Bertagna, su La
Repubblica del 24 gennaio, Gianfelice Rocca, il
responsabile scuola della Confindustria cioè di uno dei
gruppi di pressione presi di mira. Non ci andava, dice
Rocca, uno schema che assegnava alle regioni, oltre
all’istruzione professionale, anche quella tecnica.
Piuttosto che confondere gli istituti tecnici nelle scuole
professionali, abbiamo preferito incanalarli nei percorsi
liceali. Nella visione di Rocca, par di capire, non è stata
tanto “licealizzata” l’istruzione tecnica, quanto
piuttosto tecnicizzata quella liceale. Insomma la scienza e
la tecnologia sono state elevate al rango tradizionale della
formazione classica, e in questo modo sono stati superati
gli steccati delle “due culture” e l’egemonia
umanistica di stampo gentiliano.
È una strana polemica, quella fra Bertagna e Rocca:
l’uno e l’altro affermano la necessità, in questo paese
gremito di avvocati e povero di quadri, sovrabbondante di
laureati costretti a lavori diversi da quelli per cui
credevano di essersi formati e di aziende che non riescono a
riempire i vuoti di organico per carenza di tecnici
qualificati, di un deciso rilancio dell’istruzione
tecnica. Ma mentre il primo intendeva assicurare questo
rilancio attraverso la conservazione dei tradizionali
istituti, il secondo difende la scelta, passata nella
formulazione definitiva della riforma Moratti, di inserirli
in un grande sistema di licei: recuperando, sottolinea
Rocca, alcuni elementi del progetto Berlinguer..
L’alternativa ha come oggetto l’attribuzione delle
competenze istituzionali, che la riforma effettivamente
varata assegna allo stato, mentre nella proposta di Bertagna
facevano capo, come l’istruzione professionale, alle
regioni.
Sull’intera materia grava del resto l’ombra
dell’incertezza politica. Il 9 e 10 aprile l’elettorato
italiano rinnoverà il parlamento, e i sondaggi prevedono un
cambio di maggioranza, dunque di governo. Che cosa ne sarà
in questo caso della riforma Moratti? Nel centrosinistra
c’è chi vorrebbe buttarla interamente a mare e chi, come
il candidato alla presidenza del consiglio Romano Prodi, si
limita a prevedere una serie di correzioni.
r.f.l.
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