FOGLIO LAPIS - FEBBRAIO - 2006

 
 

Giuseppe Bertagna non riconosce più, nella scuola del secondo ciclo varata dal ministro Letizia Moratti, il progetto originario da lui elaborato – Accusa i più vari gruppi di pressione, dalla Confindustria ai sindacati, di averlo snaturato sacrificando l’istruzione tecnica – E così, lamenta il pedagogista, resteremo un paese sovrabbondante di avvocati e povero di quadri – Gli risponde Gianfelice Rocca: la scuola tecnica non andava confusa con quella professionale
 

 

Espiatoria e costrittiva, dice Giuseppe Bertagna. Il pedagogista qualifica con questi due aggettivi la scuola italiana, che definisce troppo distante dalla vita. C’era la necessità di stabilire un corretto rapporto fra studio e lavoro, denuncia con amarezza, ma sia o di fronte a un’occasione perduta. Il padre della riforma Moratti non riconosce più la sua creatura, mortificata e snaturata a suo dire dai più vari gruppi di pressione: la lobby dei sindacati, quella della Confindustria, i partiti, la burocrazia. Lo sfogo dello studioso che nel 2003 disegnò per conto di Letizia Moratti le linee della riforma scolastica è comparso lo scorso 23 gennaio in un’intervista al Corriere della Sera. Bertagna attacca la formulazione varata dal governo della scuola del secondo ciclo, quel sistema degli otto licei sui quali questo periodico si è più volte soffermato. Ecco, è proprio la “licealizzazione” della scuola media superiore che lo studioso critica con forza, oltre al permanere di una struttura centralistica. Lui avrebbe voluto esaltare il ruolo degli istituti tecnici, quelli che sfornano ragionieri, geometri, periti. E invece gli istituti tecnici, trasformati in licei, hanno perduto la loro preziosa identità.

A stretto giro di posta risponde a Bertagna, su La Repubblica del 24 gennaio, Gianfelice Rocca, il responsabile scuola della Confindustria cioè di uno dei gruppi di pressione presi di mira. Non ci andava, dice Rocca, uno schema che assegnava alle regioni, oltre all’istruzione professionale, anche quella tecnica. Piuttosto che confondere gli istituti tecnici nelle scuole professionali, abbiamo preferito incanalarli nei percorsi liceali. Nella visione di Rocca, par di capire, non è stata tanto “licealizzata” l’istruzione tecnica, quanto piuttosto tecnicizzata quella liceale. Insomma la scienza e la tecnologia sono state elevate al rango tradizionale della formazione classica, e in questo modo sono stati superati gli steccati delle “due culture” e l’egemonia umanistica di stampo gentiliano.

È una strana polemica, quella fra Bertagna e Rocca: l’uno e l’altro affermano la necessità, in questo paese gremito di avvocati e povero di quadri, sovrabbondante di laureati costretti a lavori diversi da quelli per cui credevano di essersi formati e di aziende che non riescono a riempire i vuoti di organico per carenza di tecnici qualificati, di un deciso rilancio dell’istruzione tecnica. Ma mentre il primo intendeva assicurare questo rilancio attraverso la conservazione dei tradizionali istituti, il secondo difende la scelta, passata nella formulazione definitiva della riforma Moratti, di inserirli in un grande sistema di licei: recuperando, sottolinea Rocca, alcuni elementi del progetto Berlinguer.. L’alternativa ha come oggetto l’attribuzione delle competenze istituzionali, che la riforma effettivamente varata assegna allo stato, mentre nella proposta di Bertagna facevano capo, come l’istruzione professionale, alle regioni.

Sull’intera materia grava del resto l’ombra dell’incertezza politica. Il 9 e 10 aprile l’elettorato italiano rinnoverà il parlamento, e i sondaggi prevedono un cambio di maggioranza, dunque di governo. Che cosa ne sarà in questo caso della riforma Moratti? Nel centrosinistra c’è chi vorrebbe buttarla interamente a mare e chi, come il candidato alla presidenza del consiglio Romano Prodi, si limita a prevedere una serie di correzioni.

   

 

                                                                  r.f.l.

 

 


                                                  

 
 

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