I confronti internazionali continuano a
confermare i risultati complessivamente negativi del
sistema educativo italiano – Gli stanziamenti sono
nettamente inferiori alla media europea e le conseguenze
si possono misurare con impressionante esattezza: minore
scolarizzazione, minori capacità di lettura, minori
competenze matematiche – Anche se gli obiettivi fissati
per il 2010 sono praticamente fuori portata,
un’inversione di tendenza è necessaria e urgente
Dopo le pessime valutazioni emerse dal rapporto
internazionale PISA, stavolta è un’indagine proposta
dalla Commissione europea a rivelare le lacune del sistema
scolastico italiano. Il rapporto sullo stato
dell’istruzione nei venticinque paesi dell’Unione
Europea non poteva che confermare una realtà che si
trascina da anni: nel nostro paese si stanziano per la
scuola fondi insufficienti e i risultati sono sotto gli
occhi di tutti: alta percentuale di dispersione, tasso di
scolarizzazione inferiore alla media europea, minori capacità
di lettura, bassissimo consumo di libri e giornali,
competenze matematiche insoddisfacenti. Vediamo un po’ di
cifre. Nel 2002 la spesa per l’istruzione ha assorbito in
Italia il 4,7 per cento del prodotto interno lordo, siamo
cioè di oltre mezzo punto al di sotto della media europea,
che quello stesso anno era al 5,22 per cento. Mancano i dati
definitivi per gli anni successivi: ma sappiamo benissimo
che la finanza creativa tanto in voga a Roma non va certo in
via prioritaria a beneficio della scuola.
Altri dati mortificanti riguardano i livelli di
scolarizzazione. Nel 2004 fra i giovani italiani compresi
fra i diciotto e i ventiquattro anni ce n’era una parte
troppo consistente, oltre il 22 per cento, che si era
fermato al diploma di scuola media inferiore. Il dato medio
dell’Unione Europea è inferiore di un terzo: 15 per
cento. Con punte inferiori al 10 nei paesi scandinavi.
Ancora una cifra: nel 2004 i giovani italiani fra i venti e
i ventiquattro anni in possesso di un diploma di scuola
media superiore erano il 73 per cento, bene al di sotto
della media europea del 77 e soprattutto di quell’85 per
cento che si vorrebbe raggiungere nel 2010, secondo gli
obiettivi fissati dalle intese europee. Il ritardo italiano
è sensibile anche in materia di educazione permanente:
sempre nel 2004 frequentavano corsi di qualificazione
professionale meno del 7 per cento dei nostri concittadini,
contro una media europea che sfiora il 10, e un obiettivo
2010 che indica come ottimale il raggiungimento del 15.
Queste lacune vanno soprattutto valutate in termini
umani e culturali, ma non solo. Un livello di
scolarizzazione insoddisfacente, una scarsa propensione alla
lettura e al calcolo non incidono soltanto sulla qualità
della vita nel senso del mancato arricchimento intellettuale
della persona e del dispiegamento impossibile delle sue
potenzialità. Hanno anche immediate conseguenze economiche,
puntualmente confermate dal parallelismo fra i dati
dell’istruzione e quelli dello sviluppo. Un paese che ha
meno laureati, meno diplomati, meno competenze della media
dei suoi concorrenti è condannato senza appello, nel mondo
interconnesso di oggi, dalle dure leggi della competizione.
La cultura, in senso lato, è un valore aggiunto ormai
indispensabile alla ricerca, all’innovazione,
all’inventiva, alla produzione. In altre parole la scuola
non è soltanto un investimento per lo sviluppo della
persona e della sua capacità di posizionarsi attivamente
nel mondo e nella società: è anche un investimento tout
court. E non ha bisogno, per essere tale, di rivestirsi di
logiche aziendalistiche, né di trasformarsi in un’agenzia
di collocamento subordinata alle esigenze del mercato.
Gli obiettivi fissati in sede europea per il 2010
sembrano ormai fuori portata: troppo pochi quattro anni per
colmare il divario. Ma questo non significa ovviamente che
non ci si debba muovere in quella direzione. La cronaca
recente delle varie controverse riforme, da quella tentata
dai ministri Berlinguer e Di Mauro fino allo schema Moratti
(su cui incombe la prospettiva di una radicale revisione,
potenzialmente salutare, se gli elettori cambieranno i
connotati politici del parlamento) assomiglia a una corsa a
ostacoli imposta a un sistema che ha bisogno di una
definizione certa, di una via ben tracciata che sia
possibile percorrere senza gli insopportabili intralci
dell’incertezza. Si tratta di migliorare la scuola,
individuando finalmente la riforma giusta e applicandola con
passo deciso, e al tempo stesso di estenderne la fruizione:
una doppia scommessa dalla quale dipende né più né meno
il futuro di questo paese.
Alfredo Venturi
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