FOGLIO LAPIS - FEBBRAIO - 2006

 
 

I confronti internazionali continuano a confermare i risultati complessivamente negativi del sistema educativo italiano – Gli stanziamenti sono nettamente inferiori alla media europea e le conseguenze si possono misurare con impressionante esattezza: minore scolarizzazione, minori capacità di lettura, minori competenze matematiche – Anche se gli obiettivi fissati per il 2010 sono praticamente fuori portata, un’inversione di tendenza è necessaria e urgente
 

 

Dopo le pessime valutazioni emerse dal rapporto internazionale PISA, stavolta è un’indagine proposta dalla Commissione europea a rivelare le lacune del sistema scolastico italiano. Il rapporto sullo stato dell’istruzione nei venticinque paesi dell’Unione Europea non poteva che confermare una realtà che si trascina da anni: nel nostro paese si stanziano per la scuola fondi insufficienti e i risultati sono sotto gli occhi di tutti: alta percentuale di dispersione, tasso di scolarizzazione inferiore alla media europea, minori capacità di lettura, bassissimo consumo di libri e giornali, competenze matematiche insoddisfacenti. Vediamo un po’ di cifre. Nel 2002 la spesa per l’istruzione ha assorbito in Italia il 4,7 per cento del prodotto interno lordo, siamo cioè di oltre mezzo punto al di sotto della media europea, che quello stesso anno era al 5,22 per cento. Mancano i dati definitivi per gli anni successivi: ma sappiamo benissimo che la finanza creativa tanto in voga a Roma non va certo in via prioritaria a beneficio della scuola.

Altri dati mortificanti riguardano i livelli di scolarizzazione. Nel 2004 fra i giovani italiani compresi fra i diciotto e i ventiquattro anni ce n’era una parte troppo consistente, oltre il 22 per cento, che si era fermato al diploma di scuola media inferiore. Il dato medio dell’Unione Europea è inferiore di un terzo: 15 per cento. Con punte inferiori al 10 nei paesi scandinavi. Ancora una cifra: nel 2004 i giovani italiani fra i venti e i ventiquattro anni in possesso di un diploma di scuola media superiore erano il 73 per cento, bene al di sotto della media europea del 77 e soprattutto di quell’85 per cento che si vorrebbe raggiungere nel 2010, secondo gli obiettivi fissati dalle intese europee. Il ritardo italiano è sensibile anche in materia di educazione permanente: sempre nel 2004 frequentavano corsi di qualificazione professionale meno del 7 per cento dei nostri concittadini, contro una media europea che sfiora il 10, e un obiettivo 2010 che indica come ottimale il raggiungimento del 15.

Queste lacune vanno soprattutto valutate in termini umani e culturali, ma non solo. Un livello di scolarizzazione insoddisfacente, una scarsa propensione alla lettura e al calcolo non incidono soltanto sulla qualità della vita nel senso del mancato arricchimento intellettuale della persona e del dispiegamento impossibile delle sue potenzialità. Hanno anche immediate conseguenze economiche, puntualmente confermate dal parallelismo fra i dati dell’istruzione e quelli dello sviluppo. Un paese che ha meno laureati, meno diplomati, meno competenze della media dei suoi concorrenti è condannato senza appello, nel mondo interconnesso di oggi, dalle dure leggi della competizione. La cultura, in senso lato, è un valore aggiunto ormai indispensabile alla ricerca, all’innovazione, all’inventiva, alla produzione. In altre parole la scuola non è soltanto un investimento per lo sviluppo della persona e della sua capacità di posizionarsi attivamente nel mondo e nella società: è anche un investimento tout court. E non ha bisogno, per essere tale, di rivestirsi di logiche aziendalistiche, né di trasformarsi in un’agenzia di collocamento subordinata alle esigenze del mercato.

Gli obiettivi fissati in sede europea per il 2010 sembrano ormai fuori portata: troppo pochi quattro anni per colmare il divario. Ma questo non significa ovviamente che non ci si debba muovere in quella direzione. La cronaca recente delle varie controverse riforme, da quella tentata dai ministri Berlinguer e Di Mauro fino allo schema Moratti (su cui incombe la prospettiva di una radicale revisione, potenzialmente salutare, se gli elettori cambieranno i connotati politici del parlamento) assomiglia a una corsa a ostacoli imposta a un sistema che ha bisogno di una definizione certa, di una via ben tracciata che sia possibile percorrere senza gli insopportabili intralci dell’incertezza. Si tratta di migliorare la scuola, individuando finalmente la riforma giusta e applicandola con passo deciso, e al tempo stesso di estenderne la fruizione: una doppia scommessa dalla quale dipende né più né meno il futuro di questo paese.

   

 

                                                                  Alfredo Venturi

 

 


                                                  

 
 

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