A
partire dalla vecchia Inghilterra, dove l'idioma di
Shakespeare è nato, sono cinquantatré i paesi nei quali
lo si impara fin dalla culla – É dunque normale che non
ci siano particolari motivazioni ad apprendere lingue
straniere – Eppure il British Council lancia l'allarme:
se i cittadini britannici non si decideranno a migliorare
le loro conoscenze linguistiche, dedicandosi allo studio
di almeno una seconda lingua, il loro futuro sarà
inevitabilmente più difficile
Chi
me lo fa fare di studiare altre lingue quando la mia si
parla in tutto il mondo? É questo il pensiero, più o meno
manifestato, che è all'origine di una realtà statistica
ormai consolidata: nei cinquantatré paesi che hanno
l'inglese come madrelingua la propensione ad allargare le
conoscenze linguistiche è significativamente ridotta. A
cominciare dagli Stati Uniti d'America, dove soltanto una
persona su dieci fra quante non appartengono a comunità di
recente immigrazione parla una lingua straniera, e dallo
stesso Regno Unito, dove soltanto un quarto dei cittadini è
in grado di esprimersi con un idioma diverso da quello di
Shakespeare.
Per
quanto comprensibile, questo difetto di motivazione a
studiare lingue straniere rappresenta un limite. É lo
stesso British Council, che contribuisce potentemente alla
diffusione della lingua inglese, a lanciare l'allarme,
invitando i sudditi di sua maestà a rivedere i loro piani
di studio, allargandoli fino ad acquisire la conoscenza di
almeno una fra le dieci “lingue per il futuro”:
francese, spagnolo, tedesco, italiano, arabo, cinese,
portoghese, russo, turco, giapponese. Poiché queste lingue,
ovviamente assieme all'inglese, sono da considerarsi
essenziali per stabilire nel modo più corretto quella fitta
rete di contatti internazionali dalla quale dipende il
futuro di noi tutti, conoscerne almeno una sarà
estremamente importante, fa notare il British Council, per
“la prosperità, la sicurezza e l'influenza a livello
globale” della società britannica.
Al
momento la realtà è ben lontana dall'essere incoraggiante.
Secondo un'indagine statistica dello stesso BC, soltanto
quindici inglesi su cento sono in grado di parlare francese,
sei su cento sanno esprimersi in tedesco, quattro in
spagnolo, due in italiano, percentuali infinitesime nelle
altre sei “lingue per il futuro”. Una tendenza che va
prontamente invertita per evitare conseguenze negative non
soltanto sul piano culturale ma anche su quello economico.
Il BC fa l'esempio dell'arabo, che si parla in sei paesi nei
quali il Regno Unito esporta merci e servizi per una dozzina
di miliardi di sterline all'anno. Si fa notare che i cinesi,
che pure hanno a disposizione un idioma parlato, esattamente
come l'inglese, da un miliardo di persone, frequentano in
massa i corsi di lingue straniere.
Anche in Gran Bretagna, del resto, qualcosa si muove.
Parallelamente alla pubblicazione dello studio del British
Council, le autorità scolastiche annunciano che a partire
dall'anno prossimo lo studio di una lingua straniera sarà
reso obbligatorio nelle classi fino ai quindici anni. Ma
l'appello dell'istituzione britannica non è rivolto
soltanto alla scuola, coinvolge anche al mondo dell'economia
produttiva. Le imprese, in particolare quelle che lavorano
prevalentemente per l'esportazione, sono invitate a
pretendere conoscenze linguistiche nei curricula di coloro
che intendono assumere nei loro organici.
- l.
v.
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