La
maggior parte dei bambini vede soddisfatto ogni desiderio
prima ancora che si sia manifestato: nella stagione
natalizia questa tendenza conosce il suo trionfo
stagionale – Ma in questo modo s’impedisce quella
corretta interazione con l’ambiente che nasce appunto
dall’apertura e dall’interesse stimolati dal desiderio
– E così la misura delle cose ripiega esclusivamente
sul denaro – Quanto alla scuola, offre troppi fogli già
scritti, poco spazio alla creatività
“Il
desiderio è metà della vita; l’indifferenza è già metà
della morte”: Khalil Gibran. Il desiderio è ciò che per
eccellenza coinvolge, mette in gioco, assicura una completa
apertura ricettiva; il desiderio è l’anima dell’amore.
L’amore inteso come modalità di rapporto con cose e
persone. L’amore che, ogni volta, ci cambia, perché non
si rimane mai gli stessi dopo che qualcosa ha attratto la
nostra attenzione al punto da coinvolgerla completamente: la
natura dell’oggetto ci ha necessariamente contaminato. La
relazione che si è istaurata con l’oggetto è di tipo
erotico. Non credo sia fuori luogo affermare a questo punto
che il processo di sviluppo e crescita umano si basa
esclusivamente su questo tipo di rapporto con l’ambiente
circostante; che quanto maggiore è l’apertura
all’interesse per quello che ci circonda, tanto è
maggiore la possibilità di confronto e, quindi, di
cambiamento e maturazione. Altrimenti, staticità, ma la
vita è divenire ed è necessario allinearsi al suo ritmo.
Come ottenere quindi questa apertura, questa disposizione
all’interesse? E’ certamente qualcosa alla quale bisogna
educare.
Lo
spazio del desiderio è molto ridotto nella nostra società,
relativamente ad ogni ambito. In questo periodo prenatalizio
è difficile ignorare gli aspetti preoccupanti di certe
abitudini. Si impone all’attenzione il fatto drammatico
che la maggior parte dei bambini abbia soddisfatto ogni
desiderio prima ancora di maturarlo. Gli effetti di questo
sono deleteri. Intanto, viene meno il processo di crescita
di cui sopra, e poi, su che base potranno questi sfortunati
attribuire valore agli oggetti? Se un bambino non
attribuisce valore alle cose sulla base di motivi affettivi,
di curiosità, di fantasia, su che base potrà farlo
crescendo? Non ci stupirà poi la centralità di denaro e
beni materiali in genere.
Curiosità
e fantasia. Sono essenziali. “Non ho fantasia”, ho
sentito dire più di una volta. Dove maturarla? Per non
parlare poi della natura di questi oggetti ottenuti prima
ancora di essere desiderati: pupazzi un po’ sinistri e
quasi difficilmente distinguibili dal corrispettivo reale,
bambini che piangono, ridono, fanno la pipì, cagnolini che
scodinzolano, abbaiano, leccano. Niente, o comunque poco, in
contrario alla verosimiglianza di questi oggetti, ma il
problema sta nel fatto che generalmente il numero di attività
che il giocattolo è in grado di eseguire
“autonomamente” finisce con l’identificarsi con le sue
possibilità. Questo è gravissimo e non lascia alcuno
spazio alla fantasia, alla creatività, che proprio in età
infantile dovrebbero essere preponderanti. In fondo che
cos’è l’intelligenza se non la capacità di elaborare
sentieri neuronali che creino collegamenti tra le cose,
generando quindi delle possibilità?
Il
risultato dei meccanismi di cui sopra è certamente una
handicappante alienazione, una pericolosa anestesia, operata
in età infantile, delle facoltà umane. Per non parlare del
modo in cui viene per lo più concepita la scuola, come un
sistema costruito sul dovere di immagazzinare dati fini a se
stessi e ordinati in modo da essere quanto possibile
schematizzabili e chiari e, ecco il punto, di
interpretazione univoca. Questo assassinio del cervello
viene operato con candore e nascosto dietro al valore
sbandierato ma fuori luogo della semplicità. La semplicità
non esiste da sola e non è trasmissibile come materia
autonoma, la semplicità è un disegno della complessità.
E’
difficile tirare le somme di un argomento tanto complesso,
forse quello a cui bisognerebbe tendere in generale è
l’aprire più spazio per i piccoli, più spazio libero e
vuoto, più fogli bianchi, più oggetti senza nome e scopo e
storia, che lascino completa possibilità di interpretazione
e invenzione.
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Laura Venturi
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