FOGLIO LAPIS - DICEMBRE - 2009

 
 

La maggior parte dei bambini vede soddisfatto ogni desiderio prima ancora che si sia manifestato: nella stagione natalizia questa tendenza conosce il suo trionfo stagionale – Ma in questo modo s’impedisce quella corretta interazione con l’ambiente che nasce appunto dall’apertura e dall’interesse stimolati dal desiderio – E così la misura delle cose ripiega esclusivamente sul denaro – Quanto alla scuola, offre troppi fogli già scritti, poco spazio alla creatività

 

Il desiderio è metà della vita; l’indifferenza è già metà della morte”: Khalil Gibran. Il desiderio è ciò che per eccellenza coinvolge, mette in gioco, assicura una completa apertura ricettiva; il desiderio è l’anima dell’amore. L’amore inteso come modalità di rapporto con cose e persone. L’amore che, ogni volta, ci cambia, perché non si rimane mai gli stessi dopo che qualcosa ha attratto la nostra attenzione al punto da coinvolgerla completamente: la natura dell’oggetto ci ha necessariamente contaminato. La relazione che si è istaurata con l’oggetto è di tipo erotico. Non credo sia fuori luogo affermare a questo punto che il processo di sviluppo e crescita umano si basa esclusivamente su questo tipo di rapporto con l’ambiente circostante; che quanto maggiore è l’apertura all’interesse per quello che ci circonda, tanto è maggiore la possibilità di confronto e, quindi, di cambiamento e maturazione. Altrimenti, staticità, ma la vita è divenire ed è necessario allinearsi al suo ritmo. Come ottenere quindi questa apertura, questa disposizione all’interesse? E’ certamente qualcosa alla quale bisogna educare.

Lo spazio del desiderio è molto ridotto nella nostra società, relativamente ad ogni ambito. In questo periodo prenatalizio è difficile ignorare gli aspetti preoccupanti di certe abitudini. Si impone all’attenzione il fatto drammatico che la maggior parte dei bambini abbia soddisfatto ogni desiderio prima ancora di maturarlo. Gli effetti di questo sono deleteri. Intanto, viene meno il processo di crescita di cui sopra, e poi, su che base potranno questi sfortunati attribuire valore agli oggetti? Se un bambino non attribuisce valore alle cose sulla base di motivi affettivi, di curiosità, di fantasia, su che base potrà farlo crescendo? Non ci stupirà poi la centralità di denaro e beni materiali in genere.

Curiosità e fantasia. Sono essenziali. “Non ho fantasia”, ho sentito dire più di una volta. Dove maturarla? Per non parlare poi della natura di questi oggetti ottenuti prima ancora di essere desiderati: pupazzi un po’ sinistri e quasi difficilmente distinguibili dal corrispettivo reale, bambini che piangono, ridono, fanno la pipì, cagnolini che scodinzolano, abbaiano, leccano. Niente, o comunque poco, in contrario alla verosimiglianza di questi oggetti, ma il problema sta nel fatto che generalmente il numero di attività che il giocattolo è in grado di eseguire “autonomamente” finisce con l’identificarsi con le sue possibilità. Questo è gravissimo e non lascia alcuno spazio alla fantasia, alla creatività, che proprio in età infantile dovrebbero essere preponderanti. In fondo che cos’è l’intelligenza se non la capacità di elaborare sentieri neuronali che creino collegamenti tra le cose, generando quindi delle possibilità?

Il risultato dei meccanismi di cui sopra è certamente una handicappante alienazione, una pericolosa anestesia, operata in età infantile, delle facoltà umane. Per non parlare del modo in cui viene per lo più concepita la scuola, come un sistema costruito sul dovere di immagazzinare dati fini a se stessi e ordinati in modo da essere quanto possibile schematizzabili e chiari e, ecco il punto, di interpretazione univoca. Questo assassinio del cervello viene operato con candore e nascosto dietro al valore sbandierato ma fuori luogo della semplicità. La semplicità non esiste da sola e non è trasmissibile come materia autonoma, la semplicità è un disegno della complessità.

E’ difficile tirare le somme di un argomento tanto complesso, forse quello a cui bisognerebbe tendere in generale è l’aprire più spazio per i piccoli, più spazio libero e vuoto, più fogli bianchi, più oggetti senza nome e scopo e storia, che lascino completa possibilità di interpretazione e invenzione.

 
                                                          Laura Venturi 
                                         

    


                                                  

 
 

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