FOGLIO LAPIS - DICEMBRE - 2009

 
 

La sfida dell’istruzione nella società mista prodotta dall’integrazione è alterata da prese di posizione non sempre meditate - Il crocifisso in aula ridotto a segno di demarcazione territoriale – Poiché il fatto religioso è centrale nelle dinamiche culturali, l’insegnante di religione è investito di una particolare responsabilità – Si tratta di passare dalla multicultura all’intercultura che implica dialogo e interazione, e combattere in questo modo intolleranze e discriminazioni

 

Ho sempre accolto con la dovuta ironia il noto aforisma di Jacques Prévert secondo cui l’intellettuale sarebbe “qualcuno che è rassicurato quando non è compreso” (…), tuttavia non è difficile coglierne scampoli di verità quando determinate teorie di pedagogisti e ideologi à la page assumono valenza normativa e vengono chiamate alla prova della verità nell’agone della scuola; è qui che gli operatori principali, gli insegnanti, sperimentano la frequente scollatura tra le teorie istituzionali e la società reale. Avviene così, ad esempio, che si proclami la vocazione MULTICULTURALE della scuola, dei suoi obiettivi MULTICULTURALI, delle attività MULTICULTURALI (scritto sempre tutto maiuscolo…) senza però fornire la stessa scuola (o fornendola con drammatico ritardo) dei necessari supporti professionali ed esperienziali, arrivando così a registrare i malumori diffusi di famiglie ed insegnanti. Questi, in particolare, si trovano sovente a dover inventare (se non a improvvisare) strategie di sostegno e integrazione che, a partire dal dato inconfutabile della multicultura, inducano la scuola ad ACCOGLIERE e a PROMUOVERE piuttosto che a RESPINGERE gli studenti provenienti da altri Paesi.  

La trasformazione antropologica degli spazi e delle strutture innescata dall’esperienza migratoria ha coinvolto massicciamente anche l’Italia che deve affrontare il delicato compito di comporre diritti e doveri sociali in un mosaico di differenze culturali e religiose. La scuola è lo spazio in cui queste differenze si rendono più visibili e problematiche, tenuto conto della necessaria progettualità educativa che le compete e che si traduce nell’inserimento a pieno titolo dei futuri cittadini nella società italiana. L’esigenza comune a tutti gli insegnanti  è immediata e pressante: creare un ponte culturale tra ragazze e ragazzi italiani e stranieri, sempre più numerosi nelle nostre scuole; un ponte che, da un lato, dia visibilità alle culture d’origine valorizzando i contributi dei ragazzi migranti, dall’altro crei l’humus necessario ad una cittadinanza partecipata e condivisa. Si avviano così dei processi di interscambio di esperienze culturali diverse che partono dal riconoscimento delle differenze tra le culture (e all'interno delle stesse), dal confronto fra elementi provenienti da tradizioni etniche, religiose e sociali diverse, e che conducono alla promozione delle singole identità.

In questa ambiziosa operazione troviamo, in prima fila, gli insegnanti di religione che sono chiamati dalle famiglie, dai ragazzi e dai colleghi, a co-gestire gli stimoli esterni derivanti dalla profonda trasformazione dello scenario sociale e religioso; una trasformazione che è dovuta non solo al massiccio afflusso di nuove religioni, ma che è interna alla stessa confessione cattolica e più in generale alle confessioni cristiane, chiamate a riscoprire le proprie radici. E’ possibile così registrare negli studenti delle positive esigenze di approfondimento culturale e di comprensione dell’identità religiosa propria e altrui, accanto però ad atteggiamenti più ambigui e ghettizzanti quali, ad esempio, la riscoperta e l’affissione del crocifisso nell’aula, brandito in modo acritico e svuotato di significato, ma funzionale ad una demarcazione territoriale…

L’osservatorio, dunque, dell’insegnante di religione, si presenta tra i più privilegiati per la lettura dei cambiamenti in atto sul piano culturale e sociale: è chiamato a mediare tra vecchio e nuovo, a confrontarsi e ad accompagnare i processi di cambiamento, nella consapevolezza che le trasformazioni hanno sempre maggior rilievo rispetto alle permanenze e alle continuità. D’altra parte l’insegnamento della religione è comunemente investito, aldilà della sua peculiarità confessionale, della dimensione multiculturale ed è costantemente chiamato a cambiare schemi e linguaggi per soddisfare un’esigenza sempre più marcata di conoscenza e di dialogo interreligioso, indispensabili per ridurre i fenomeni di discriminazione e intolleranza. Si tratta, soprattutto per l’insegnante di religione, di accompagnare gli studenti nel passaggio dall’esperienza multiculturale (che può prevedere la giustapposizione tra le culture) all’esperienza interculturale (che comporta dialogo e interazione).

Siamo di fronte, naturalmente, a finalità che investono la scuola nella sua complessità; ma il ruolo di prima linea assunto dall’insegnante di religione è dovuto alla centralità del fatto religioso nelle dinamiche culturali. Con l’eccezione di sporadiche e disorganiche inserzioni nei programmi di storia, filosofia, geografia, letteratura italiana e straniera, è a lui (o più spesso a lei) che viene affidato il compito di rispondere sistematicamente al diffuso fabbisogno di cultura religiosa. Trattandosi di una dimensione fondamentale e permanente dell’esperienza umana, la conoscenza del “fatto religioso”  costituisce comunque un impegno educativo che la scuola deve assumersi in proprio, aldilà delle esclusive confessionali.

D’altra parte va anche ricordato che, nell’ambito della normativa vigente, la presenza dell’insegnamento di religione cattolica è legittimata, nel nostro Paese, dal riconoscimento del cattolicesimo come parte significativa della storia, della cultura, dell’arte italiane, ed è inserito secondo  finalità scolastiche e non catechistiche; l’insegnamento è sottoposto quindi alla scelta di tutti in quanto opportunità culturale. Ma qual è lo spazio di manovra nell’area della multiculturalità che viene consentito all’insegnante di religione dai programmi “ministeriali” e dal suo inquadramento giuridico?

Bisogna riconoscere che gli Obiettivi Scolastici di Apprendimento (O.S.A.) relativi all’I.R.C. in ogni grado della scuola italiana consentono un discreto approccio comparativo e multiculturale. Gli insegnanti trovano infatti nei programmi definiti dalla C.E.I. (e acquisiti dal Ministero) adeguati spunti sia nella Scuola Primaria che nella Scuola Secondaria, di Primo e di Secondo grado. Passando in rassegna i differenti livelli della scuola, questi contenuti appaiono facilmente individuabili:

O.S.A.  della SCUOLA PRIMARIA

(SECONDO E TERZO ANNO)

 ·        Identificare tra le espressioni delle religioni la preghiera

(QUARTO E QUINTO ANNO)

 ·        Leggere e interpretare i principali segni religiosi espressi dai diversi popoli.

O.S.A. della SCUOLA SECONDARIA di PRIMO GRADO

(PRIMO E SECONDO ANNO)

 ·        Ricerca umana e rivelazione di Dio nella storia: il cristianesimo a confronto con l'ebraismo e le altre religioni

 (TERZO ANNO)

 ·        Vita e morte nella visione di fede cristiana e nelle altre religioni

O.S.A. della SCUOLA SECONDARIA  di SECONDO GRADO

(BIENNIO)

 ·        Individuare la specificità della salvezza cristiana e confrontarla con quella di altre religioni

·        Specificare l’interpretazione della vita e del tempo nel cristianesimo, confrontandola con quella di altre religioni

(TERZO E QUARTO ANNO)

·        Dio, la religione e le religioni tra rivelazione e critica della ragione.

·        Accogliere, confrontarsi e dialogare con quanti vivono scelte religiose e impostazioni di vita diverse dalle proprie

(QUINTO ANNO)

·        La ricerca di unità della Chiesa e il movimento ecumenico

·        Il dialogo interreligioso e il suo contributo per la pace fra i popoli

Come si vede, lungo il percorso scolastico appaiono ben distribuite le occasioni di incontro e confronto tra le differenti visioni religiose; anche le Raccomandazioni che accompagnano gli O.S.A. della scuola dell’infanzia, della scuola primaria e di quella secondaria di primo grado ribadiscono l’attenzione alle tematiche interculturali. Appare invece quasi del tutto assente il confronto con le concezioni non trascendenti dell’esistenza.  

Ciò che lascia piuttosto perplessi alcuni osservatori è la legittimità dell’insegnante di religione cattolica a presentare altre fedi: egli, formato professionalmente in un contesto esclusivamente confessionale (e da questo certificato) è da taluni percepito come chi “fruga” impropriamente nell’esperienza spirituale altrui. Il suo osservatorio appare inevitabilmente “sospetto” in assenza di contrappunti, di altre voces clamantes, sia di ordine confessionale che “neutro”. Ciononostante, e in assenza di queste, l’insegnante di religione cattolica è di fatto investito di una funzione interculturale e storico-comparativa che rappresentano per la scuola una ricchezza e un bagaglio di esperienze da cui non si può e non si potrà prescindere, anche nella prospettiva di superamento dell’esistente.

A proposito di formazione, la legge 186/2003 relativa all’immissione in ruolo degli insegnanti di religione cattolica non ha segnato una svolta e non ha mancato di suscitare polemiche e contestazioni: da una parte si è affermato che lo stato ha finalmente assolto il compito che si era assunto quando, al momento della stipula dell’Intesa tra Ministero della Pubblica Istruzione e Conferenza Episcopale Italiana (Legge n.751/1985),  si era impegnato a dotare questi insegnanti di uno statuto giuridico appropriato (liquidando quello precedente che risaliva al 1930); dall’altra si sono invece evidenziate le contraddizioni di ordine giuridico e costituzionale e le implicazioni di carattere sindacale conseguenti ad una collocazione in ruolo subordinata al possesso dell’idoneità attribuita dall’ordinario diocesano.

Ricordiamo, in estrema sintesi, alcuni tratti salienti della legge in questione:

-         è prevista l'istituzione di due ruoli regionali articolati per ambiti territoriali corrispondenti alle diocesi; il primo comprende i docenti di religione cattolica nella scuola materna ed elementare, il secondo i docenti della scuola secondaria.

-         l'accesso al ruolo, previsto per il 70% della consistenza complessiva degli organici di tale insegnamento, avviene sempre tramite un concorso, così come per tutti gli altri docenti, ma con qualche specificità che tiene conto delle particolari caratteristiche dell'insegnamento della religione cattolica. In prima applicazione è previsto un concorso riservato ai docenti che abbiano insegnato per almeno quattro anni la religione cattolica nella scuole statali.

-         la legge prevede inoltre la mobilità per la stessa materia degli insegnanti di religione cattolica tra un ciclo e l'altro di scuola e verso gli altri insegnamenti, se ne possiedano i requisiti, nel caso in cui sia revocata l'idoneità all'insegnamento della Religione Cattolica da parte dell'ordinario diocesano.

Gli elementi definiti per via concordataria che incidevano sulla figura dell'insegnante di religione, l'idoneità, la nomina, la qualificazione professionale sono rimasti inalterati.

Per quanto riguarda il controllo esercitato dall'autorità ecclesiastica sull'insegnante tramite l'idoneità[1],  questa viene menzionata dalla legge n.186 già nell'art.1 che istituisce due distinti ruoli regionali. In secondo luogo, se ne fa oggetto di un apposito comma nell'art.3.4 che disciplina il reclutamento a mezzo di concorso, al quale non possono accedere insegnanti che ne siano privi; in terzo luogo, il possesso dell'idoneità viene ribadito nelle disposizioni che regolamentano la risoluzione del rapporto di lavoro (art. 3.9) e la mobilità degli IDR che richiedano lo spostamento da un ciclo all’altro (4.1) e tra scuole di diverse sedi diocesane (art.4.2).

La nomina, come prevede il Protocollo Addizionale del 1985, va fatta d'intesa tra autorità scolastica ed ecclesiastica[2]; ciò determina necessariamente degli effetti sugli esiti delle procedure concorsuali che non possono dar seguito all'assegnazione dei posti senza quell'intesa. Sotto questo profilo si deve valutare sia la disposizione dell'art.2,1.2.3  del testo che affida all'autorità scolastica la determinazione delle dotazioni organiche degli insegnanti di religione, nonché quella dell'art. 2,3 ove si prevede che queste corrispondano al 70% dei posti funzionanti nel territorio di pertinenza di ciascuna diocesi. Comunque, la procedura dell’Intesa in materia di assunzione di questi insegnanti appare salvaguardata dalle disposizioni che riguardano l'assunzione sia nel caso di contratto a tempo indeterminato (art. 3.8), sia nel caso di contratto a tempo determinato (art. 3.10), ambedue disposte dal Dirigente Regionale sulla base di intesa con l'ordinario diocesano. L'intesa Ministero-CEI, infatti, prevede esplicitamente che i nominativi degli insegnanti siano indicati dall'ordinario e che tale incombenza rappresenti la premessa e cioè la condizione dell'intesa tra le due istituzioni circa la nomina che va raggiunta in seguito[3].

Per quanto riguarda la qualifica professionale, il testo di legge del 2003 nulla ha modificato in relazione ai titoli richiesti per partecipare ai concorsi di accesso all'insegnamento.  Nel sistema che precedeva il nuovo concordato del 1984 non erano richiesti particolari titoli di studio, lauree o diplomi: l'unico titolo di qualificazione era il certificato di idoneità rilasciato dall’autorità ecclesiastica[4]. Con l'Intesa del 1985 che ha dato attuazione al nuovo concordato sono stati invece definiti i titoli di studio che ogni IDR deve esibire per poter accedere all'insegnamento e che dunque devono ritenersi preliminari all'idoneità.

Nell’articolo 3.3 della legge n.186 si dichiara che “i titoli di qualificazione professionale per partecipare ai concorsi sono quelli stabiliti al punto 4 dell’Intesa di cui all’art.1 comma 1.”, e precisamente i seguenti:

·        nelle scuole secondarie di primo e secondo grado uno dei seguenti titoli:

a) titolo accademico (baccalaureato, licenza o dottorato) in teologia o nelle altre discipline ecclesiastiche, conferito da una facoltà approvata dalla Santa Sede;

b) attestato di compimento del regolare corso di studi teologici in un Seminario maggiore;

c) diploma accademico di magistero in scienze religiose, rilasciato da un Istituto di scienze religiose approvato dalla Santa Sede;

d) diploma di laurea valido nell’ordinamento italiano, unitamente a un diploma rilasciato da un istituto di scienze religiose riconosciuto dalla Conferenza episcopale italiana.

·        nella scuola materna ed elementare l’insegnamento della religione cattolica può essere impartito dagli insegnanti del circolo didattico sostanzialmente se riconosciuti idonei dall’ordinario diocesano, oppure affidato a sacerdoti, diaconi, religiosi in possesso di qualificazione riconosciuta dalla C.E.I e attestata dall’ordinario diocesano o a chi, fornito di titolo di studio valido per l’insegnamento nelle scuole materne ed elementari, sia riconosciuto idoneo dall’ordinario diocesano; oppure a chi, fornito di altro diploma di scuola secondaria superiore, abbia conseguito un diploma rilasciato da un Istituto di scienze religiose riconosciuto dalla Conferenza episcopale italiana.

Il possesso di questi titoli è divenuto obbligatorio a partire dall'anno scolastico 1990-1991; in loro assenza la nomina può avvenire solo per supplenza (ed il servizio così prestato non può essere riconosciuto ai fini della ricostruzione di carriera[5]). Pertanto, se l'Ordinario diocesano rilasciasse l'idoneità ad un insegnante privo dei titoli di qualificazione previsti, in seguito all'Intesa dell'85, questi non potrebbe essere assegnato ad alcuna scuola, neanche in accordo con l'autorità scolastica. Inoltre è bene ricordare che, in relazione ai concorsi “a regime”, il programma d'esame, all' art. 3.4, esclude dall’accertamento sulla preparazione culturale generale i “contenuti specifici dell'insegnamento” e quindi i contenuti della dottrina cattolica.

La stabilità della figura professionale dell'insegnante di religione caratterizza lo stato giuridico nel senso che l'insegnante continua a dipendere dall'amministrazione della Pubblica Istruzione anche se viene meno il suo specifico incarico; tale stabilità è presa in considerazione esplicitamente dal testo di legge sia nel caso di revoca dell'idoneità sia in quella di esubero che riguardi esclusivamente docenti con contratto di lavoro a tempo indeterminato[6] (mentre in altri disegni di legge si richiedeva anche un’anzianità di dieci o quindici anni di servizio). Su questo punto si sono concentrate le critiche più aspre da parte delle forze di opposizione. Anche il sindacato della CGIL si è espresso molto negativamente rimarcando che lo Stato si assume l’onere di ricollocare, sulla base del titolo di studio, questo personale, equiparandolo, con l’estensione del concetto di sovrannumero, ad un docente di qualsiasi altra materia di insegnamento entrato in ruolo con un pubblico concorso[7]. Il « mercato del lavoro » risulterebbe così alterato due volte : la prima con un immissione in ruolo garantita da un requisito speciale. La seconda, con la mobilità professionale o con una ricollocazione in un altro insegnamento, dopo un provvedimento, la revoca, che costituisce di fatto un licenziamento, con gravissimo pregiudizio per altri insegnanti di ruolo, o aspiranti tali, ai quali verrebbe sottratta una disponibilità. L’approvazione della Legge 186/2003  ha fornito l’IDR italiano di una tutela indubbiamente superiore a quella di altri suoi colleghi europei con i quali tuttora condivide la precarietà del posto di lavoro legata alla possibile revoca dell'idoneità nel caso in cui venisse meno il rapporto di fiducia e comunione che lega l'insegnante al suo Vescovo.

Che non fosse facile tutelare i diritti di questa categoria di lavoratori nel presente contesto giuridico già lo si sapeva. Lo scenario italiano ed europeo richiedono che sia data priorità alla formazione dei docenti, così come ai contenuti della disciplina, in virtù della presenza di un pluralismo religioso sempre più marcato. Appare necessario per le stesse comunità confessionali consolidare scientificamente l’insegnamento religioso certamente attraverso il rapporto interconfessionale, ma soprattutto attraverso l’interazione con le università statali, all’interno delle quali occorre restituire cittadinanza alle religioni o valorizzarle laddove fossero già presenti; occorre rendere compatibile il nuovo con quanto già esiste per poi affidare – come sostiene G.B. Varnier -  la formazione dei docenti all’Università e riservare alla confessione religiosa l’idoneità all’insegnamento. Si tratta di rovesciare la situazione esistente senza giungere a ritorni al passato[8].

Secondo la logica pattizia e in nome di una cittadinanza plurima, si dovrebbe poter accedere ad una scuola recante una pluralità di insegnamenti confessionali corrispondenti alle differenti tradizioni religiose degli alunni. Nello stesso tempo, e secondo la stessa logica, dovrebbe trovare spazio nella scuola anche un corso a-confessionale per gli alunni non appartenenti a nessuna tradizione religiosa. Personalmente non temo, come paventano i redattori del documento di Vallombrosa, “un increscioso isolamento tra sottogruppi di popolazione scolastica, a scapito invece di un approccio squisitamente pedagogico ai “fondamentali” dell’esperienza religiosa soggettiva e del fenomeno religioso storico, approccio che dovrebbe essere finalizzato appunto all’educazione di identità dialoganti e alla convivenza sociale tra diversi[9] ”: la competenza e la professionalità dei docenti dovrebbero garantire il perseguimento delle finalità di integrazione della scuola; questa non potrebbe che trarre giovamento dal superamento dell’attuale presenza monoculturale. In prospettiva futura, mi riconosco invece in ciò che gli illustri studiosi riuniti nell’abbazia fiesolana hanno individuato come l’obiettivo a cui tendere, e cioè, sia pure con realismo graduale, l’istituzione di “un corso obbligatorio per tutti, a gestione scolastica, con disciplinarietà autonoma e specifica, di cultura religiosa, come approccio educativo e culturale al fatto religioso, considerato nella concretezza delle sue manifestazioni, di carattere non confessionale o transconfessionale, che sappia tener conto delle scelte religiose come di quelle non religiose di famiglie, alunni, insegnanti, scelte che devono poter comunque esprimersi in un clima di dialogo e di rispetto reciproco[10].

Si tratta quindi di un corso curricolare che nel suo profilo disciplinare e nella preparazione degli insegnanti sappia considerare la fenomenologia dei fatti religiosi nei loro aspetti antropologici, sociologici, storici, psicologici, gli aspetti specifici delle religioni nella loro effettiva ricchezza valoriale, con particolare attenzione ai Testi fondanti, la necessaria attenzione pedagogica e didattica in riferimento alle varie età degli alunni e in sinergia con le altre discipline scolastiche”.

Nel frattempo e nella prospettiva dell’interazione tra comunità ecclesiali e università, la proposta formulata da G.B. Varnier si pone come molto interessante, almeno in una prima fase, in quanto ipotizza un corso di Laurea in Scienze Religiose con una prospettiva professionale destinata agli insegnanti di religione, i quali poi necessiterebbero di un successivo gradimento confessionale. Basata su di un’opzione culturale, questa proposta si rivolgerebbe ad un’utenza più ampia al fine di rispondere all’esigenza di una conoscenza specifica e non generica del fattore religioso. La proposta di Varnier, formulata per il contesto italiano, risulta appetibile in molti altri Paesi europei dove, già da tempo, esistono corsi e istituti universitari per lo studio delle religioni.



[1] Protocollo Addizionale, punto 5. a; Intesa MPI-CEI, art. 2.d. Si tratta della più efficace modalità concreta con cui viene garantita, sul piano giuridico, la conformità dell'IRC alla dottrina della Chiesa, cardine dell'ordinamento concordatario in materia di istruzione religiosa.

[2] Protocollo Addizionale, punto 5. a; Intesa MPI-CEI, art. 2.5.

[3] Intesa MPI-CEI, art 2.5, cpv. 2.

[4] Un parere del Consiglio di Stato del 1958 aveva riconosciuto tale certificato equivalente all'abilitazione all'insegnamento posseduta dagli altri docenti

[5] CCMM 43/92 e 2/01. Per un approfondimento della normativa che inquadra l’insegnante di religione si veda SERGIO CICATELLI, Prontuario giuridico, Morcelliana, 2001.

[6] Art.4.3: L’IdR con contratto di lavoro a tempo indeterminato al quale sia stata revocata l’idoneità ovvero che si trovi in situazione di esubero a seguito di contrazione dei posti di insegnamento può usufruire della mobilità professionale nel comparto del personale della scuola, con le modalità previste dalle disposizioni in vigore e subordinatamente al possesso dei requisiti prescritti per l’insegnamento richiesto ed ha altresì titolo a partecipare alle procedure di diversa utilizzazione e di mobilità collettiva previste dal DL n.165/2001.

[7] Vedi il testo della lettera trasmessa dalla CGIL scuola a firma di Enrico Panini ai membri della VII Commmissione Permanente del Senato della Repubblica

[8] G. B. VARNIER, L’insegnamento delle scienze religiose in Italia, in Quaderni di diritto e politica ecclesiastica, n.1, 2001, Il Mulino, Bologna, p.153.

[9] Il documento è nato all’interno degli annuali incontri promossi nell’Abbazia di Vallombrosa dal Comitato Oriente- Occidente dell’Università degli Studi di Firenze e dal Laboratorio sulle relazioni multiculturali e multireligiose della Facoltà di Scienze politiche dell’Università di Siena. Alla redazione del documento hanno collaborato: Emilio Alberich, Paolo Blasi, Renzo Bonaiuti, Chiara C. Canta, Roberto De Vita, Ermanno Genre, Flavio Pajer, Nicola Romano, Mahomoud Salem Elsheikh, Alberto Scrufari, Dario Tomasello.

Per ulteriore documentazione sulla tematica si rinvia agli atti dei convegni vallombrosani:

R. De Vita, F. Berti (a cura di), La religione nella società dell’incertezza. Per una convivenza solidale in una società multireligiosa, Franco Angeli, Milano 2001; Dialogo senza paure. Scuola e servizi sociali in una società multiculturale e multireligiosa, Franco Angeli, Milano 2002; Pluralismo religioso e convivenza multiculturale.

Un dialogo necessario, Franco Angeli, Milano 2003; R. De Vita, F. Berti, L. Nasi, (a cura di), Identità multiculturale e multireligiosa. La costruzione di una cittadinanza pluralistica, Franco Angeli, Milano 2004;

Democrazia, laicità e società multireligiosa, Franco Angeli, Milano 2005.

www.olir.it 2

 

[10] A questo proposito appare utile citare, un passo significativo del Direttorio generale per la catechesi (1997) che nella parte su Il contesto scolastico e i destinatari dell’insegnamento scolastico della religione, paragrafo 74, capoversi quinto e sesto, scrive:

L’insegnamento religioso scolastico, nel quadro della scuola statale e di quella non confessionale, laddove le Autorità civili o altre circostanze impongono un insegnamento della religione comune ai cattolici e ai non cattolici avrà un carattere più ecumenico e di conoscenza interreligiosa comune. In altre occasioni l’insegnamento religioso scolastico potrà avere un carattere piuttosto culturale, indirizzato alla conoscenza delle religioni, presentando con il dovuto rilievo la religione cattolica. Anche in questo caso, soprattutto se impartito da un professore sinceramente rispettoso, l’insegnamento religioso scolastico mantiene una dimensione di vera “preparazione evangelica” (Congregazione del Clero, Direttorio generale per la catechesi, Libreria Editrice Vaticana, Città del Vaticano 1997, p. 78).

 

                                                          Alberto Pisci 
                                         

    


                                                  

 
 

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