La
sfida dell’istruzione nella società mista prodotta
dall’integrazione è alterata da prese di posizione non
sempre meditate - Il crocifisso in aula ridotto a segno di
demarcazione territoriale – Poiché il fatto religioso
è centrale nelle dinamiche culturali, l’insegnante di
religione è investito di una particolare responsabilità
– Si tratta di passare dalla multicultura
all’intercultura che implica dialogo e interazione, e
combattere in questo modo intolleranze e discriminazioni
Ho sempre accolto con la dovuta ironia il noto
aforisma di Jacques Prévert secondo cui l’intellettuale
sarebbe “qualcuno che è rassicurato quando non è
compreso” (…), tuttavia non è difficile coglierne
scampoli di verità quando determinate teorie di pedagogisti
e ideologi à la page
assumono valenza normativa e vengono chiamate alla prova
della verità nell’agone della scuola; è qui che gli
operatori principali, gli insegnanti, sperimentano la
frequente scollatura tra le teorie istituzionali e la società
reale. Avviene così, ad esempio, che si proclami la
vocazione MULTICULTURALE della scuola, dei suoi obiettivi
MULTICULTURALI, delle attività MULTICULTURALI (scritto
sempre tutto maiuscolo…) senza però fornire la stessa
scuola (o fornendola con drammatico ritardo) dei necessari
supporti professionali ed esperienziali, arrivando così a
registrare i malumori diffusi di famiglie ed insegnanti.
Questi, in particolare, si trovano sovente a dover inventare
(se non a improvvisare) strategie di sostegno e integrazione
che, a partire dal dato inconfutabile della multicultura,
inducano la scuola ad ACCOGLIERE e a PROMUOVERE piuttosto
che a RESPINGERE gli studenti provenienti da altri Paesi.
La trasformazione antropologica degli spazi e delle
strutture innescata dall’esperienza migratoria ha
coinvolto massicciamente anche l’Italia che deve
affrontare il delicato compito di comporre diritti e doveri
sociali in un mosaico di differenze culturali e religiose.
La scuola è lo spazio in cui queste differenze si rendono
più visibili e problematiche, tenuto conto della necessaria
progettualità educativa che le compete e che si traduce
nell’inserimento a pieno titolo dei futuri cittadini nella
società italiana. L’esigenza comune a tutti gli
insegnanti è
immediata e pressante: creare un ponte culturale tra ragazze
e ragazzi italiani e stranieri, sempre più numerosi nelle
nostre scuole; un ponte che, da un lato, dia visibilità
alle culture d’origine valorizzando i contributi dei
ragazzi migranti, dall’altro crei l’humus
necessario ad una cittadinanza partecipata e condivisa.
Si avviano così dei processi di interscambio di esperienze
culturali diverse che partono dal riconoscimento delle
differenze tra le culture (e all'interno delle stesse), dal
confronto fra elementi provenienti da tradizioni etniche,
religiose e sociali diverse, e che conducono alla promozione
delle singole identità.
In questa ambiziosa operazione troviamo, in prima
fila, gli insegnanti di religione che sono chiamati dalle
famiglie, dai ragazzi e dai colleghi, a co-gestire gli
stimoli esterni derivanti dalla profonda trasformazione
dello scenario sociale e religioso; una trasformazione che
è dovuta non solo al massiccio afflusso di nuove religioni,
ma che è interna alla stessa confessione cattolica e più
in generale alle confessioni cristiane, chiamate a
riscoprire le proprie radici. E’ possibile così
registrare negli studenti delle positive esigenze di
approfondimento culturale e di comprensione dell’identità
religiosa propria e altrui, accanto però ad atteggiamenti
più ambigui e ghettizzanti quali, ad esempio, la riscoperta
e l’affissione del crocifisso nell’aula, brandito in
modo acritico e svuotato di significato, ma funzionale ad
una demarcazione territoriale…
L’osservatorio,
dunque, dell’insegnante di religione, si presenta tra i più
privilegiati per la lettura dei cambiamenti in atto sul
piano culturale e sociale: è chiamato a mediare tra vecchio
e nuovo, a confrontarsi e ad accompagnare i processi di
cambiamento, nella consapevolezza che le trasformazioni
hanno sempre maggior rilievo rispetto alle permanenze e alle
continuità. D’altra parte l’insegnamento della
religione è comunemente investito, aldilà della sua
peculiarità confessionale, della dimensione multiculturale
ed è costantemente chiamato a cambiare schemi e linguaggi
per soddisfare un’esigenza sempre più marcata di
conoscenza e di dialogo interreligioso, indispensabili per
ridurre i fenomeni di discriminazione e intolleranza. Si
tratta, soprattutto per l’insegnante di religione, di
accompagnare gli studenti nel passaggio dall’esperienza
multiculturale (che può prevedere la giustapposizione tra
le culture) all’esperienza interculturale (che comporta
dialogo e interazione).
Siamo
di fronte, naturalmente, a finalità che investono la scuola
nella sua complessità; ma il ruolo di prima linea assunto
dall’insegnante di religione è dovuto alla centralità
del fatto religioso nelle dinamiche culturali. Con
l’eccezione di sporadiche e disorganiche inserzioni nei
programmi di storia, filosofia, geografia, letteratura
italiana e straniera, è a lui (o più spesso a lei) che
viene affidato il compito di rispondere sistematicamente al
diffuso fabbisogno di cultura religiosa. Trattandosi di una
dimensione fondamentale e permanente dell’esperienza
umana, la conoscenza del “fatto religioso”
costituisce comunque un impegno educativo che la
scuola deve assumersi in proprio, aldilà delle esclusive
confessionali.
D’altra
parte va anche ricordato che, nell’ambito della normativa
vigente, la presenza dell’insegnamento di religione
cattolica è legittimata, nel nostro Paese, dal
riconoscimento del cattolicesimo come parte significativa
della storia, della cultura, dell’arte italiane, ed è
inserito secondo finalità
scolastiche e non catechistiche; l’insegnamento è
sottoposto quindi alla scelta di tutti in quanto opportunità
culturale. Ma qual è lo spazio di manovra nell’area della
multiculturalità che viene consentito all’insegnante di
religione dai programmi “ministeriali” e dal suo
inquadramento giuridico?
Bisogna riconoscere che gli Obiettivi
Scolastici di Apprendimento (O.S.A.) relativi all’I.R.C.
in ogni grado della scuola italiana consentono un discreto
approccio comparativo e multiculturale. Gli insegnanti
trovano infatti nei programmi definiti dalla C.E.I. (e
acquisiti dal Ministero) adeguati spunti sia nella Scuola
Primaria che nella Scuola Secondaria, di Primo e di Secondo
grado. Passando in rassegna i differenti livelli della
scuola, questi contenuti appaiono facilmente individuabili:
O.S.A.
della SCUOLA PRIMARIA
(SECONDO E
TERZO ANNO)
·
Identificare
tra le espressioni delle religioni la preghiera
(QUARTO E
QUINTO ANNO)
·
Leggere
e interpretare i principali segni religiosi
espressi dai diversi popoli.
O.S.A.
della SCUOLA SECONDARIA di PRIMO GRADO
(PRIMO
E SECONDO ANNO)
·
Ricerca
umana e rivelazione di Dio nella storia: il
cristianesimo a confronto con l'ebraismo e le altre
religioni
(TERZO
ANNO)
·
Vita
e morte nella visione di fede cristiana e nelle altre religioni
O.S.A. della
SCUOLA SECONDARIA di
SECONDO GRADO
(BIENNIO)
·
Individuare
la specificità della salvezza
cristiana e confrontarla con quella di altre religioni
·
Specificare
l’interpretazione della vita e del tempo nel cristianesimo,
confrontandola con quella di altre religioni
(TERZO E QUARTO
ANNO)
·
Dio,
la religione e le religioni tra rivelazione e critica
della ragione.
·
Accogliere,
confrontarsi e dialogare con
quanti vivono scelte religiose e impostazioni di vita diverse
dalle proprie
(QUINTO ANNO)
·
La
ricerca di unità della Chiesa e il
movimento ecumenico
·
Il
dialogo interreligioso e il suo contributo per la pace fra i
popoli
Come si vede, lungo il percorso scolastico appaiono
ben distribuite le occasioni di incontro e confronto tra le
differenti visioni religiose; anche le Raccomandazioni
che accompagnano gli O.S.A. della scuola
dell’infanzia, della scuola primaria e di quella
secondaria di primo grado ribadiscono l’attenzione alle
tematiche interculturali. Appare invece quasi del tutto
assente il confronto con le concezioni non trascendenti
dell’esistenza.
Ciò che lascia piuttosto perplessi alcuni osservatori
è la legittimità dell’insegnante di religione cattolica
a presentare altre fedi: egli, formato professionalmente in
un contesto esclusivamente confessionale (e da questo
certificato) è da taluni percepito come chi “fruga”
impropriamente nell’esperienza spirituale altrui. Il suo
osservatorio appare inevitabilmente “sospetto” in
assenza di contrappunti, di altre voces
clamantes, sia di ordine confessionale che “neutro”.
Ciononostante, e in assenza di queste, l’insegnante di
religione cattolica è di fatto investito di una funzione
interculturale e storico-comparativa che rappresentano per
la scuola una ricchezza e un bagaglio di esperienze da cui
non si può e non si potrà prescindere, anche nella
prospettiva di superamento dell’esistente.
A proposito
di formazione, la legge 186/2003 relativa all’immissione
in ruolo degli insegnanti di religione cattolica non ha
segnato una svolta e non ha mancato di suscitare polemiche e
contestazioni: da una parte si è affermato che lo stato ha
finalmente assolto il compito che si era assunto quando, al
momento della stipula dell’Intesa tra Ministero della
Pubblica Istruzione e Conferenza Episcopale Italiana (Legge
n.751/1985), si
era impegnato a dotare questi insegnanti di uno statuto
giuridico appropriato (liquidando quello precedente che
risaliva al 1930); dall’altra si sono invece evidenziate
le contraddizioni di ordine giuridico e costituzionale e le
implicazioni di carattere sindacale conseguenti ad una
collocazione in ruolo subordinata al possesso dell’idoneità
attribuita dall’ordinario diocesano.
Ricordiamo,
in estrema sintesi, alcuni tratti salienti della legge in
questione:
-
è prevista l'istituzione di due ruoli
regionali articolati per ambiti territoriali corrispondenti
alle diocesi; il primo comprende i docenti di religione
cattolica nella scuola materna ed elementare, il secondo i
docenti della scuola secondaria.
-
l'accesso al ruolo, previsto per il
70% della consistenza complessiva degli organici di tale
insegnamento, avviene sempre tramite un concorso, così come
per tutti gli altri docenti, ma con qualche specificità che
tiene conto delle particolari caratteristiche
dell'insegnamento della religione cattolica. In prima
applicazione è previsto un concorso riservato ai docenti
che abbiano insegnato per almeno quattro anni la religione
cattolica nella scuole statali.
-
la legge prevede inoltre la mobilità
per la stessa materia degli insegnanti di religione
cattolica tra un ciclo e l'altro di scuola e verso gli altri
insegnamenti, se ne possiedano i requisiti, nel caso in cui
sia revocata l'idoneità all'insegnamento della Religione
Cattolica da parte dell'ordinario diocesano.
Gli elementi
definiti per via concordataria che incidevano sulla figura
dell'insegnante di religione, l'idoneità, la nomina, la
qualificazione professionale sono rimasti inalterati.
Per quanto
riguarda il controllo esercitato dall'autorità
ecclesiastica sull'insegnante tramite l'idoneità,
questa viene menzionata dalla legge n.186 già
nell'art.1 che istituisce due distinti ruoli regionali. In secondo luogo, se ne fa oggetto di un apposito comma
nell'art.3.4 che disciplina il reclutamento a mezzo di
concorso, al quale non possono accedere insegnanti che ne
siano privi; in terzo luogo, il possesso dell'idoneità
viene ribadito nelle disposizioni che regolamentano la
risoluzione del rapporto di lavoro (art. 3.9) e la mobilità
degli IDR che richiedano lo spostamento da un ciclo
all’altro (4.1) e
tra scuole di diverse sedi diocesane (art.4.2).
La nomina,
come prevede il Protocollo Addizionale del 1985, va fatta
d'intesa tra autorità scolastica ed ecclesiastica;
ciò determina necessariamente degli effetti sugli esiti
delle procedure concorsuali che non possono dar seguito
all'assegnazione dei posti senza quell'intesa. Sotto questo
profilo si deve valutare sia la disposizione
dell'art.2,1.2.3
del testo
che affida all'autorità scolastica la determinazione delle
dotazioni organiche degli insegnanti di religione, nonché
quella dell'art. 2,3 ove si prevede che queste corrispondano
al 70% dei posti
funzionanti nel territorio di pertinenza di ciascuna diocesi.
Comunque, la procedura dell’Intesa in materia di
assunzione di questi insegnanti appare salvaguardata dalle
disposizioni che riguardano l'assunzione sia nel caso di
contratto a tempo indeterminato (art. 3.8), sia nel caso di
contratto a tempo determinato (art. 3.10), ambedue disposte
dal Dirigente Regionale sulla base di intesa con l'ordinario
diocesano. L'intesa Ministero-CEI, infatti, prevede
esplicitamente che i nominativi degli insegnanti siano
indicati dall'ordinario e che tale incombenza rappresenti la
premessa e cioè la condizione dell'intesa tra le due
istituzioni circa la nomina che va raggiunta in seguito.
Per quanto
riguarda la qualifica
professionale, il testo di legge del 2003 nulla ha
modificato in relazione ai titoli richiesti per partecipare
ai concorsi di accesso all'insegnamento. Nel sistema che
precedeva il nuovo concordato del 1984 non erano richiesti
particolari titoli di studio, lauree o diplomi: l'unico
titolo di qualificazione era il certificato di idoneità
rilasciato dall’autorità ecclesiastica.
Con l'Intesa del 1985 che ha dato attuazione al nuovo
concordato sono stati invece definiti i titoli di studio che
ogni IDR deve esibire per poter accedere all'insegnamento e
che dunque devono ritenersi preliminari all'idoneità.
Nell’articolo
3.3 della legge n.186 si dichiara che “i
titoli di qualificazione professionale per partecipare ai
concorsi sono quelli stabiliti al punto 4 dell’Intesa di
cui all’art.1 comma 1.”, e precisamente i seguenti:
·
nelle
scuole secondarie di primo e secondo grado uno dei seguenti
titoli:
a)
titolo accademico (baccalaureato, licenza o dottorato) in
teologia o nelle altre discipline ecclesiastiche, conferito
da una facoltà approvata dalla Santa Sede;
b)
attestato di compimento del regolare corso di studi
teologici in un Seminario maggiore;
c)
diploma accademico di magistero in scienze religiose,
rilasciato da un Istituto di scienze religiose approvato
dalla Santa Sede;
d)
diploma di laurea valido nell’ordinamento italiano,
unitamente a un diploma rilasciato da un istituto di scienze
religiose riconosciuto dalla Conferenza episcopale italiana.
·
nella
scuola materna ed elementare l’insegnamento della
religione cattolica può essere
impartito dagli insegnanti del circolo didattico
sostanzialmente se riconosciuti idonei dall’ordinario
diocesano, oppure affidato a sacerdoti, diaconi, religiosi
in possesso di qualificazione riconosciuta dalla C.E.I e
attestata dall’ordinario diocesano o a chi, fornito di
titolo di studio valido per l’insegnamento nelle scuole
materne ed elementari, sia riconosciuto idoneo
dall’ordinario diocesano; oppure a chi, fornito di altro
diploma di scuola secondaria superiore, abbia conseguito un
diploma rilasciato da un Istituto di scienze religiose
riconosciuto dalla Conferenza episcopale italiana.
Il possesso
di questi titoli è divenuto obbligatorio a partire
dall'anno scolastico 1990-1991; in loro assenza la nomina può
avvenire solo per supplenza (ed il servizio così prestato
non può essere riconosciuto ai fini della ricostruzione di
carriera).
Pertanto, se l'Ordinario
diocesano rilasciasse l'idoneità ad un insegnante privo dei
titoli di qualificazione previsti, in seguito all'Intesa
dell'85, questi non potrebbe essere assegnato ad alcuna
scuola, neanche in accordo con l'autorità scolastica.
Inoltre è bene ricordare che, in relazione ai concorsi “a
regime”, il programma d'esame,
all' art. 3.4, esclude dall’accertamento sulla
preparazione culturale generale i “contenuti specifici dell'insegnamento” e quindi i contenuti
della dottrina cattolica.
La stabilità della figura professionale
dell'insegnante di religione caratterizza lo stato giuridico
nel senso che l'insegnante continua a dipendere
dall'amministrazione della Pubblica Istruzione anche se
viene meno il suo specifico incarico; tale stabilità è
presa in considerazione esplicitamente dal testo di legge
sia nel caso di revoca dell'idoneità sia in quella di
esubero che riguardi esclusivamente docenti con contratto di
lavoro a tempo indeterminato
(mentre in altri disegni di legge si richiedeva anche
un’anzianità di dieci o quindici anni di servizio). Su
questo punto si sono concentrate le critiche più aspre da
parte delle forze di opposizione. Anche il sindacato della
CGIL si è espresso molto negativamente rimarcando che lo
Stato si assume l’onere di ricollocare, sulla base del
titolo di studio, questo personale, equiparandolo, con
l’estensione del concetto di sovrannumero, ad un docente
di qualsiasi altra materia di insegnamento entrato in ruolo
con un pubblico concorso.
Il « mercato del lavoro » risulterebbe così
alterato due volte : la prima con un immissione in
ruolo garantita da un requisito speciale. La
seconda, con la mobilità professionale o con una
ricollocazione in un altro insegnamento, dopo un
provvedimento, la revoca, che costituisce di fatto un
licenziamento, con gravissimo pregiudizio per altri
insegnanti di ruolo, o aspiranti tali, ai quali verrebbe
sottratta una disponibilità. L’approvazione
della Legge 186/2003 ha
fornito l’IDR italiano di una tutela indubbiamente
superiore a quella di altri suoi colleghi europei con i
quali tuttora condivide la precarietà del posto di lavoro
legata alla possibile revoca dell'idoneità nel caso in cui
venisse meno il rapporto di fiducia e comunione che lega
l'insegnante al suo Vescovo.
Che non fosse
facile tutelare i diritti di questa categoria di lavoratori
nel presente contesto giuridico già lo si sapeva. Lo
scenario italiano ed europeo richiedono che sia data priorità
alla formazione dei docenti, così come ai contenuti della
disciplina, in virtù della presenza di un pluralismo
religioso sempre più marcato. Appare necessario per le
stesse comunità confessionali consolidare scientificamente
l’insegnamento religioso certamente attraverso il rapporto
interconfessionale, ma soprattutto attraverso
l’interazione con le università statali, all’interno
delle quali occorre restituire cittadinanza alle religioni o
valorizzarle laddove fossero già presenti; occorre rendere
compatibile il nuovo con quanto già esiste per
poi affidare – come sostiene G.B. Varnier - la formazione dei docenti all’Università e riservare alla
confessione religiosa l’idoneità all’insegnamento. Si
tratta di rovesciare la situazione esistente senza giungere
a ritorni al passato.
Secondo la logica pattizia e in nome di
una cittadinanza plurima, si dovrebbe poter accedere ad una
scuola recante una pluralità di insegnamenti confessionali
corrispondenti alle differenti tradizioni religiose degli
alunni. Nello stesso tempo, e secondo la stessa logica,
dovrebbe trovare spazio nella scuola anche un corso
a-confessionale per gli alunni non appartenenti a nessuna
tradizione religiosa. Personalmente non temo, come paventano
i redattori del documento di Vallombrosa, “un
increscioso isolamento tra sottogruppi di popolazione
scolastica, a scapito invece di un approccio squisitamente
pedagogico ai “fondamentali” dell’esperienza religiosa
soggettiva e del fenomeno religioso storico, approccio che
dovrebbe essere finalizzato appunto all’educazione di
identità dialoganti e alla convivenza sociale tra diversi
”:
la competenza e la professionalità dei docenti dovrebbero
garantire il perseguimento delle finalità di integrazione
della scuola; questa non potrebbe che trarre giovamento dal
superamento dell’attuale presenza monoculturale. In
prospettiva futura, mi riconosco invece in ciò che gli
illustri studiosi riuniti nell’abbazia fiesolana hanno
individuato come l’obiettivo a cui tendere, e cioè, sia pure con realismo graduale, l’istituzione di “un corso obbligatorio per tutti, a gestione scolastica, con
disciplinarietà autonoma e specifica, di cultura religiosa,
come approccio educativo e culturale al fatto religioso,
considerato nella concretezza delle sue manifestazioni, di
carattere non confessionale o transconfessionale, che sappia
tener conto delle scelte religiose come di quelle non
religiose di famiglie, alunni, insegnanti, scelte che devono
poter comunque esprimersi in un clima di dialogo e di
rispetto reciproco.
Si
tratta quindi di un corso curricolare che nel suo profilo
disciplinare e nella preparazione degli insegnanti sappia
considerare la fenomenologia dei fatti religiosi nei loro
aspetti antropologici, sociologici, storici, psicologici,
gli aspetti specifici delle religioni nella loro effettiva
ricchezza valoriale, con particolare attenzione ai Testi
fondanti, la necessaria attenzione pedagogica e didattica in
riferimento alle varie età degli alunni e in sinergia con
le altre discipline scolastiche”.
Nel frattempo e nella prospettiva dell’interazione
tra comunità ecclesiali e università, la proposta
formulata da G.B. Varnier si pone come molto interessante,
almeno in una prima fase, in quanto ipotizza un corso di
Laurea in Scienze Religiose con una prospettiva
professionale destinata agli insegnanti di religione, i
quali poi necessiterebbero di un successivo gradimento
confessionale. Basata su di un’opzione culturale, questa
proposta si rivolgerebbe ad un’utenza più ampia al fine
di rispondere all’esigenza di una conoscenza specifica e
non generica del fattore religioso. La proposta di Varnier,
formulata per il contesto italiano, risulta appetibile in
molti altri Paesi europei dove, già da tempo, esistono
corsi e istituti universitari per lo studio delle religioni.
Art.4.3: L’IdR con contratto di lavoro a tempo indeterminato al quale sia stata
revocata l’idoneità ovvero che si trovi in situazione
di esubero a seguito di contrazione dei posti di
insegnamento può usufruire della mobilità
professionale nel comparto del personale della scuola,
con le modalità previste dalle disposizioni in vigore e
subordinatamente al possesso dei requisiti prescritti
per l’insegnamento richiesto ed ha altresì titolo a
partecipare alle procedure di diversa utilizzazione e di
mobilità collettiva previste dal DL n.165/2001.
Il documento è nato all’interno degli annuali
incontri promossi nell’Abbazia di Vallombrosa dal
Comitato Oriente- Occidente dell’Università degli
Studi di Firenze e dal Laboratorio sulle relazioni
multiculturali e multireligiose della Facoltà di
Scienze politiche dell’Università di Siena. Alla
redazione del documento hanno collaborato: Emilio
Alberich, Paolo Blasi, Renzo Bonaiuti, Chiara C.
Canta, Roberto De Vita, Ermanno Genre, Flavio Pajer,
Nicola Romano, Mahomoud Salem Elsheikh, Alberto Scrufari,
Dario Tomasello.
Per
ulteriore documentazione sulla tematica si rinvia agli
atti dei convegni vallombrosani:
R.
De Vita, F. Berti (a cura di), La religione nella
società dell’incertezza. Per una convivenza solidale
in una società multireligiosa, Franco
Angeli, Milano 2001; Dialogo senza paure. Scuola e
servizi sociali in una società multiculturale e
multireligiosa, Franco Angeli, Milano 2002; Pluralismo
religioso e convivenza multiculturale.
Un
dialogo necessario, Franco Angeli, Milano 2003; R.
De Vita, F. Berti, L. Nasi, (a cura di), Identità
multiculturale e multireligiosa. La costruzione di una
cittadinanza pluralistica, Franco Angeli, Milano
2004;
Democrazia,
laicità e società multireligiosa, Franco Angeli,
Milano 2005.
www.olir.it
2
A questo proposito appare utile citare, un passo
significativo del Direttorio generale per la
catechesi (1997) che nella parte su Il contesto
scolastico e i destinatari dell’insegnamento
scolastico della religione, paragrafo 74, capoversi
quinto e sesto, scrive:
L’insegnamento
religioso scolastico, nel quadro della scuola statale e
di quella non confessionale, laddove le Autorità civili
o altre circostanze impongono un insegnamento della
religione comune ai cattolici e ai non cattolici avrà
un carattere più ecumenico e di conoscenza
interreligiosa comune. In altre occasioni
l’insegnamento religioso scolastico potrà avere un
carattere piuttosto culturale, indirizzato alla
conoscenza delle religioni, presentando con il dovuto
rilievo la religione cattolica. Anche in questo caso,
soprattutto se impartito da un professore sinceramente
rispettoso, l’insegnamento religioso scolastico
mantiene una dimensione di vera “preparazione
evangelica” (Congregazione del Clero, Direttorio
generale per la catechesi, Libreria Editrice
Vaticana, Città del Vaticano 1997, p. 78).
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Alberto Pisci
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