Ci
sono molte ombre nel bilancio del programma “Istruzione
e formazione 2010” – Si registra in generale un
miglioramento dei risultati, ma anche la certezza che gli
obiettivi a suo tempo fissati per l’anno prossimo non
saranno centrati – La situazione è addirittura
peggiorata in materia di padronanza della lettura e della
scrittura – Inoltre c’è molta strada da percorrere in
materia di formazione degli insegnanti mentre
l’educazione permanente continua a essere problematica
Forse l’obiettivo che si era fissato nel 2000 era
troppo ambizioso: si voleva che il numero di europei
quindicenni non in grado di leggere correttamente si
riducesse in dieci anni del venti per cento. A ridosso della
scadenza del 2010 il bilancio è sconfortante: non solo la
meta non è stata raggiunta, ma la situazione è addirittura
peggiorata. Già nel 2006, secondo i dati dell’indagine
PISA condotta fra i paesi dell’OCSE, risultava che quella
proporzione era salita nell’Unione dal 21,3 per cento al
24,1. Dunque un ragazzo europeo su quattro ha difficoltà
con la lettura.
In una comunicazione della commissione al parlamento e
agli organi istituzionali europei sul programma
“Istruzione e formazione 2010” si fa notare che il
fenomeno riguarda particolarmente (ma non solo) i ragazzi
provenienti dalle famiglie immigrate, il cui rendimento
scolastico è mediamente inferiore a quello degli
“autoctoni” non soltanto in lettura e scrittura, ma
anche per le competenze matematiche e scientifiche. Come
venirne a capo? Si parla di personalizzazione
dell’apprendimento, di un avvio precoce
dell’insegnamento che permetta un dépistage altrettanto
precoce delle eventuali condizioni di disagio. Naturalmente
tutto questo costa, e la crisi attuale non incoraggia certo
investimenti pubblici e privati, ma da Bruxelles arriva un
messaggio chiaro: non è certo lesinando fondi alla scuola
che si mettono in moto meccanismi capaci di metterci al
riparo dalle emergenze.
In omaggio a quella identità europea che troppo
lentamente si fa strada, e che andrebbe incoraggiata in
tutti i modi, ci piace riportare i dati globali, senza
scomporli nelle singole realtà nazionali. Sappiamo
benissimo che la situazione è tutt’altro che omogenea.
L’Italia, in particolare, non uscirebbe affatto bene
dall’articolazione delle statistiche paese per paese. Ma
non è certo per questo che preferiamo considerare i dati
nel loro insieme: è proprio perché è questa la scala di
valutazione alla quale dobbiamo abituarci. Del resto anche
quando si parla di medie nazionali, almeno nel caso del
nostro paese, i dati nascondono profondi divari fra Nord,
Centro, Sud e Isole: è un po’ come il famoso pollo di
Trilussa: uno a me, zero a te, statisticamente mezzo per
uno…
Torniamo dunque al rapporto della Commissione sullo
stato dei lavori in materia di “competenze chiave in un
mondo che cambia”, secondo la sua intitolazione ufficiale.
Queste competenze sono otto e riguardano la lingua
materna, le lingue straniere, il complesso
matematico-scientifico-tecnologico, l’informatica, la
capacità d’apprendimento, l’ambito civico-sociale, lo
spirito d’iniziativa e d’impresa, la sensibilità
culturale. L’Unione si è posta come traguardo per il 2020
la creazione di un efficace “triangolo della
conoscenza”, i cui lati sono istruzione, ricerca,
innovazione. Per essere, appunto, efficace, questo triangolo
presuppone che tutti i cittadini europei migliorino le loro
competenze: sono in ballo la competitività, lo sviluppo,
l’occupazione, oltre che l’equità e la compattezza
sociale, intesa nel senso di una comunità capace di
riassorbire le frange attualmente marginalizzate o
addirittura discriminate. I mezzi per affrontare questa
sfida vengono indicati nella formazione degli insegnanti e
nella mobilità di tutti, insegnanti e discenti, da un paese
all’altro dell’Unione. E anche nel ricondurre in ambito
educativo acquisizioni che oggi avvengono in modo informale:
per esempio nell’informatica, che i giovani assorbono
facilmente ma senza impadronirsi contemporaneamente di quel
senso critico e di quell’armamentario etico e legale che
sono necessari per potersene correttamente servire.
Ci sono dunque molte ombre nel bilancio che è
possibile stilare oggi, a metà del ventennio stabilito nel
2000 per un sostanziale riassetto dei risultati in materia
d’istruzione e formazione. Né si tratta soltanto di
lettura e scrittura: nel rapporto si sottolinea che molto
resta da fare in materia di formazione degli insegnanti,
mentre resta problematico il fondamentale capitolo
dell’istruzione permanente, vera e propria chiave di volta
per ancorare le capacità individuali al progredire ormai
rapidissimo delle conoscenze. A questo proposito era stato
fissato, per il 2010, l’obiettivo del 12,5 per cento di
adulti europei (dai 25 ai 64 anni) partecipanti a programmi
di istruzione-formazione, ma ancora una volta il traguardo
resta lontano: nel 2008 questa proporzione non superava il
9,5 per cento. Inoltre la formazione permanente è riservata
agli adulti qualificati, che frequentano questi programmi
cinque volte di più dei cittadini privi di qualifiche
particolari. Si fa notare che quasi un terzo degli europei
di età superiore ai venticinque anni ha un livello di
scolarizzazione che non supera il primo ciclo
dell’istruzione secondaria. Infine un dato comparativo non
proprio esaltante: solo il 24 per cento degli europei fra i
25 e i 64 anni hanno attinto all’istruzione superiore,
contro il 40 per Stati
Uniti e del Giappone. Per la vecchia Europa alla ricerca del
suo domani, questi divari vanno assolutamente colmati.
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a. v.
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