FOGLIO LAPIS - DICEMBRE - 2009

 
 

Ci sono molte ombre nel bilancio del programma “Istruzione e formazione 2010” – Si registra in generale un miglioramento dei risultati, ma anche la certezza che gli obiettivi a suo tempo fissati per l’anno prossimo non saranno centrati – La situazione è addirittura peggiorata in materia di padronanza della lettura e della scrittura – Inoltre c’è molta strada da percorrere in materia di formazione degli insegnanti mentre l’educazione permanente continua a essere problematica

 

Forse l’obiettivo che si era fissato nel 2000 era troppo ambizioso: si voleva che il numero di europei quindicenni non in grado di leggere correttamente si riducesse in dieci anni del venti per cento. A ridosso della scadenza del 2010 il bilancio è sconfortante: non solo la meta non è stata raggiunta, ma la situazione è addirittura peggiorata. Già nel 2006, secondo i dati dell’indagine PISA condotta fra i paesi dell’OCSE, risultava che quella proporzione era salita nell’Unione dal 21,3 per cento al 24,1. Dunque un ragazzo europeo su quattro ha difficoltà con la lettura.

In una comunicazione della commissione al parlamento e agli organi istituzionali europei sul programma “Istruzione e formazione 2010” si fa notare che il fenomeno riguarda particolarmente (ma non solo) i ragazzi provenienti dalle famiglie immigrate, il cui rendimento scolastico è mediamente inferiore a quello degli “autoctoni” non soltanto in lettura e scrittura, ma anche per le competenze matematiche e scientifiche. Come venirne a capo? Si parla di personalizzazione dell’apprendimento, di un avvio precoce dell’insegnamento che permetta un dépistage altrettanto precoce delle eventuali condizioni di disagio. Naturalmente tutto questo costa, e la crisi attuale non incoraggia certo investimenti pubblici e privati, ma da Bruxelles arriva un messaggio chiaro: non è certo lesinando fondi alla scuola che si mettono in moto meccanismi capaci di metterci al riparo dalle emergenze.

In omaggio a quella identità europea che troppo lentamente si fa strada, e che andrebbe incoraggiata in tutti i modi, ci piace riportare i dati globali, senza scomporli nelle singole realtà nazionali. Sappiamo benissimo che la situazione è tutt’altro che omogenea. L’Italia, in particolare, non uscirebbe affatto bene dall’articolazione delle statistiche paese per paese. Ma non è certo per questo che preferiamo considerare i dati nel loro insieme: è proprio perché è questa la scala di valutazione alla quale dobbiamo abituarci. Del resto anche quando si parla di medie nazionali, almeno nel caso del nostro paese, i dati nascondono profondi divari fra Nord, Centro, Sud e Isole: è un po’ come il famoso pollo di Trilussa: uno a me, zero a te, statisticamente mezzo per uno…

Torniamo dunque al rapporto della Commissione sullo stato dei lavori in materia di “competenze chiave in un mondo che cambia”, secondo la sua intitolazione ufficiale. Queste competenze sono otto e riguardano la lingua materna, le lingue straniere, il complesso matematico-scientifico-tecnologico, l’informatica, la capacità d’apprendimento, l’ambito civico-sociale, lo spirito d’iniziativa e d’impresa, la sensibilità culturale. L’Unione si è posta come traguardo per il 2020 la creazione di un efficace “triangolo della conoscenza”, i cui lati sono istruzione, ricerca, innovazione. Per essere, appunto, efficace, questo triangolo presuppone che tutti i cittadini europei migliorino le loro competenze: sono in ballo la competitività, lo sviluppo, l’occupazione, oltre che l’equità e la compattezza sociale, intesa nel senso di una comunità capace di riassorbire le frange attualmente marginalizzate o addirittura discriminate. I mezzi per affrontare questa sfida vengono indicati nella formazione degli insegnanti e nella mobilità di tutti, insegnanti e discenti, da un paese all’altro dell’Unione. E anche nel ricondurre in ambito educativo acquisizioni che oggi avvengono in modo informale: per esempio nell’informatica, che i giovani assorbono facilmente ma senza impadronirsi contemporaneamente di quel senso critico e di quell’armamentario etico e legale che sono necessari per potersene correttamente servire.

Ci sono dunque molte ombre nel bilancio che è possibile stilare oggi, a metà del ventennio stabilito nel 2000 per un sostanziale riassetto dei risultati in materia d’istruzione e formazione. Né si tratta soltanto di lettura e scrittura: nel rapporto si sottolinea che molto resta da fare in materia di formazione degli insegnanti, mentre resta problematico il fondamentale capitolo dell’istruzione permanente, vera e propria chiave di volta per ancorare le capacità individuali al progredire ormai rapidissimo delle conoscenze. A questo proposito era stato fissato, per il 2010, l’obiettivo del 12,5 per cento di adulti europei (dai 25 ai 64 anni) partecipanti a programmi di istruzione-formazione, ma ancora una volta il traguardo resta lontano: nel 2008 questa proporzione non superava il 9,5 per cento. Inoltre la formazione permanente è riservata agli adulti qualificati, che frequentano questi programmi cinque volte di più dei cittadini privi di qualifiche particolari. Si fa notare che quasi un terzo degli europei di età superiore ai venticinque anni ha un livello di scolarizzazione che non supera il primo ciclo dell’istruzione secondaria. Infine un dato comparativo non proprio esaltante: solo il 24 per cento degli europei fra i 25 e i 64 anni hanno attinto all’istruzione superiore, contro il 40 per  Stati Uniti e del Giappone. Per la vecchia Europa alla ricerca del suo domani, questi divari vanno assolutamente colmati.

 

                                                          a. v. 
                                         

    


                                                  

 
 

Clicca qui per iscriverti alla nostra newsletter!

 

Torna al Foglio Lapis dicembre 2009

 

Mandaci un' E-mail!