Che cosa c’è e che cosa non c’è nelle favole – Una trasgressione verbale che si allarga a molti significati – Ecco gli ingredienti della fiaba, il suo mondo pieno di castelli e privo di chiese, affollato di gente che fugge o che insegue – Non ci sono i rumori del mondo, né le attività quotidiane – Ma dentro quella mela avvelenata c'è la terribile storia dell'umanità
Occhio!
La trasgressione della parola “ceralacca” in “ceralacqua” avviene nelle favelas dove le favole trasgrediscono le fiabe occhio per occhio dente per dente come una lingua di terra desertificata, perdente, lambisce il mare per disseminarsi altrove, creando la trasgressione dell’energia oscura contenuta nelle fiabe in quella che si vede nelle favole. E se si pensa all’enormità del mare di materia oscura che permette al mare di disseminare città nell’oscurità, è evidente che le favole trasgrediscono le fiabe. Avvenne a Dubai, dove un falco mi chiese: “Du’ bai?”. Cioè: “Dove stai andando?”.
Nelle favole
non ci sono scuole
non ci sono stagioni
non è mai estate
non si vede scendere la neve
Quasi mai il mare
Poca geografia in generale
Mai un fiume, tanto meno un lago
Ci sono molte scarpe
(soprattutto stivali)
Ci sono porte sentieri boschi foreste,
casine. Ci sono anche castelli,
ma non ci sono chiese.
La favola è già una religione.
Non ci sono poltrone
Nemmeno cucine / solo pentoloni
in cui bollono pozioni
C’è sempre il vento,
Non c’è la polizia
nonostante i molti delitti
(quasi tutti per avvelenamento)
Ci sono alberi ma non fiori.
Pochi monti, pochi colli, niente valli.
Non si parla
Non si chiacchiera
Non si racconta
Sono racconti senza racconti
Le parole vengono dette
se non a sentenze:
Il padre chiamò i tre fratelli
e mormorò…
La fata disse
La strega maledisse
La civetta parlò
La nonna: “Non fermarti!”
La madre: “Stai attenta!”
I padri parlano solo in punto di morte
I fratelli non dicono una parola
Di zii nemmeno l’ombra
Non ci sono amici,
solo occasionali consiglieri
Le Tre Caramelle erano lucide
Non c’è morte se non passeggera
C’è la resurrezione
C’è il veleno, c’è la serpe, c’è la mela
Non c’è la verdura
C’è la paura
Ci sono finestre
Ci sono stracci oppure
vestiti tempestati di perle
Ci sono gerle
C’è pane ma non carne
C’è formaggio,
ci sono croste,
moltissime briciole
I pavimenti scricchiolano
Di soffitti, di lampadari,
di colori sulle pareti
non si sa niente.
Si sa di cucine.
Nessuno si lava i capelli,
le mani, i piedi
Nessuno riempie una vasca
Mai incontrate un sapone
Se non per sgurare
il pentolone della pozione
Non ci sono i rumori del mondo
Non ci sono piccole attività quotidiane
Nessuno stira
(qualcuno cuce,
ma solo per forarsi il dito
con un ago avvelenato)
Nessuno annaffia i fiori
Nessuno cura l’orto
guida il carro, taglia il fieno,
ripara il tetto, aggiusta il faro,
tira su un muretto
Tutti fuggono
o altrimenti inseguono
Il cielo è nero
La strada perduta
Tutti tremano
Tutti sono soli
abbandonati, terrorizzati
Nessuna differenza
tra le favole
e la nostra storia quotidiana.
La terribile storia umana.
— C’è qualcuno che sa suonare?... Perché sta arrivando
una tromba d’aria! Peccato non si possa
fotografare il vento…
Ci sono gabbie, carrozze, lucchetti, asini,
muli, cavalli.
Rarissimi i libri
e i librini
(solo libroni)
Assenti le mosche
le vacanze, i pigiami,
le borsette
(molte invece le scarpette)
La donna è sempre bella
anche se spesso è addormentata
Non c’è Dio
e la Madonna, se c’è,
probabilmente è una fata.
I bambini non giocano
non studiano
non ridono mai
non sono amati
I bambini si perdono
o vengono mangiati
Nessuno abbraccia
Molti baciano
Le mele sono tutte avvelenate
Abbondano gli gnomi,
gli anelli, gli specchi,
i cavalli, le chiavi…
Non c’è mai MAI
una mamma viva
buona, protettiva.
Nothing to do but work,
Nothing to eat but food,
Nothing to wear but clothes,
To keep one from going nude.
La poesia va letta in una stanza
con una candela accesa
Sull’attaccapanni una giacca da
uomo bagnata di neve, appesa
Sono obbligatori:
una stufa di ghisa
su cui bolle l’acqua per il tè
Il vapore sui vetri della finestra
Dal piano di sopra si deve
sentire scricchiolare il parquet.
Filippo Nibbi
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