FOGLIO LAPIS - APRILE - 2011

 
 

Se ne discute in Francia, dove l’accostamento sistematico della delinquenza minorile con l’assenteismo scolastico, periodicamente riproposto dalla stampa e dai politici, viene contestato da chi richiamandosi ai risultati di ricerche specifiche indica l’estrema complessità sociale di questo fenomeno – Si accusa dunque di manicheismo chi pretende di trattate la questione alla stregua di un puro e semplice problema di ordine pubblico

 

Sono in pochi a dubitarne: da una parte la dispersione scolastica, dall’altra la delinquenza minorile. Un rapporto speculare e reciproco di causa-effetto: la dispersione produce delinquenza e la delinquenza produce dispersione. Se ne parla molto in Francia, dove le periodiche esplosioni di violenza giovanile nelle banlieues delle maggiori città vengono sistematicamente connesse, dalla maggior parte della stampa e dagli amministratori pubblici, con le falle del sistema scolastico. Una visione troppo schematica secondo alcuni. Per esempio secondo Etienne Douat e Laurent Mucchielli, due specialisti che hanno illustrato sul quotidiano parigino Le Monde un’ottica del tutto diversa con cui guardare al problema. “Di fatto – scrivono Douat e Mucchielli –  le ricerche empiriche dimostrano che il legame dispersione-delinquenza non ha nulla di meccanico”.

Che cosa dimostrano invece le ricerche? Ecco qui, nelle parole che i due studiosi hanno affidato a Le Monde: “la dispersione è il prodotto di un lungo processo collettivo, che coinvolge sia l’alunno e la sua famiglia, sia la stessa istituzione scolastica. Si sviluppa dentro e attorno alla scuola, il più delle volte connessa con difficoltà di apprendimento che si manifestano nei primi anni e si accentuano nei successivi, attraverso valutazioni negative, esclusioni ripetute, situazioni familiari segnate dalla precarietà economica (…) e con la tendenza parallela a una socializzazione di quartiere in parte contraddittoria rispetto alle esigenze scolastiche. Ma questa socializzazione di quartiere non significa automaticamente delinquenza, né concerne unicamente i quartieri cosiddetti a rischio dei grandi agglomerati urbani. Questo ricorso alla socializzazione extrascolastica è prima di tutto la ricerca di un modo di esistere socialmente nonostante il fallimento scolastico, di ritrovare un’immagine di sé e un’identità personale diversa da quella dello studente che ha fatto fiasco”.

Alle argomentazioni di Douat e Mucchielli è facile rispondere che è vero, l’abbandono delle aule scolastiche non porta automaticamente alla delinquenza, ma è altrettanto vero che la delinquenza pesca a piene mani fra i disadattati della scuola. Se è dunque sbagliato, o quanto meno limitativo, considerare la dispersione scolastica come un problema di ordine pubblico, è invece corretto presumere che intervenendo sul disagio nella scuola, oltre a compiere opera meritoria e doverosa in sé, si sottraggono alla criminalità terreni di potenziale reclutamento. I due specialisti francesi contestano anche la distinzione “manichea” fra buoni e cattivi: da una parte gli assenteisti che alimentano la delinquenza, dall’altra quelli che al contrario pur trovandosi in situazione di disagio non turbano l’ordine pubblico. Fermo restando che i primi devono rispondere di quello che fanno, l’insistenza su questa classificazione viene sospettata di “accentuare gli antagonismi, i risentimenti e lo spirito di concorrenza già così ben presenti nella nostra società contemporanea, fino alle nostre scuole che pure dovrebbero garantire <l’eguaglianza repubblicana>”.

                                                          f. s.

                                         

    


                                                  

 
 

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