FOGLIO LAPIS - APRILE - 2011

 
 

C’è uno stridente contrasto fra le solenni formulazioni che impegnano gli Stati a garantire vita, libertà e sicurezza e la realtà che viviamo – Per tanta parte dell’umanità, alle prese con bisogni elementari insoddisfatti, è difficile far sentire la propria voce – La lezione sempre attuale di Mazzini a proposito del dovere come principio educatore: scopo della vita non è la propria felicità, ma rendere migliori se stessi e gli altri

 

Ci ricordiamo di Severn Suzuki, la dodicenne che nel 1992 parlò davanti all’assemblea delle Nazioni Unite, esprimendo tutto il disagio e la rabbia del trovarsi ad essere bambina in un mondo in cui doveva aver paura di “stare fuori al sole perché ci sono i buchi nell’ozono, respirare l’aria perché non si sa che sostanze chimiche possa contenere”, ricordando pubblicamente ai politici presenti che “siamo tutti parte di una famiglia, di cinque miliardi di individui, anzi, di trenta milioni di specie, che tutti condividiamo la stessa aria, acqua e terreno (…) che dovremmo tutti agire come un singolo mondo verso un singolo obiettivo”? La bambina che dichiarò di non riuscire a smettere di pensare che così come è nata in Canada avrebbe potuto trovarsi nelle favelas di Rio o morire di fame in Somalia, o essere vittima di guerra o mendicante  da qualche altra parte, che accusò tutti di insegnarle a scuola il rispetto, la responsabilità, la generosità, quando questi principi sono poi completamente ignorati dagli adulti, quegli adulti che hanno creato le condizioni per cui andando a pescare a Vancouver trovava pesci pieni di tumori. La bambina che con voce candida ricordò a tutti che erano padri e madri e zii e nonni, prima che professionisti di economia e politica, che erano gli stessi che amavano dire ai loro bambini che tutto è a posto. Purtroppo le sue parole sembrano quasi fantascienza.

L’articolo 3 della Dichiarazione Universale dei Diritti dell’Uomo, varata nel 1948 dalle Nazioni Unite, recita: “Ogni individuo ha diritto alla vita, alla libertà ed alla sicurezza della propria persona”. Severn Suzuki reclamò questo diritto. Suo e di tutti quei bambini che sentono i loro diritti fondamentali violati in partenza, che sentono la loro libertà e le loro possibilità ridotte a causa di ingombranti questioni di cui si trovano ad essere i confusi eredi. Questioni che seguono logiche perverse e per loro incomprensibili.

La costruzione di centrali nucleari è stata forse abbastanza prudente nella prospettiva di tutelare il diritto alla vita, alla libertà e alla sicurezza di ogni individuo? Non che nessuno pensi in anticipo a ciò che possono significare i rischi, non che nessuno consideri con senno e sensibilità certe questioni. Il regista giapponese Akira Kurosawa nel 1990 pose come soggetto del sesto episodio del lavoro cinematografico “Sogni” proprio l’esplosione di una centrale nucleare in Giappone, seguita all’eruzione del vicino vulcano Fuji. Dopo una fuga di massa, su una scogliera a picco sul mare si trovano una madre con due bambini e due uomini. Uno di questi prima di buttarsi in mare dichiarerà di essere uno degli ingegneri responsabili di aver costruito la centrale in quella posizione, uno di quelli a causa dei quali la madre stava piangendo in nome del diritto alla vita dei due bambini. L’altro tenterà invano e con gesti disperati di allontanare, sventolando il suo giubbotto, la nube radioattiva dalla madre e dai piccoli.

L’articolo 22 della Dichiarazione Universale dei Diritti dell’Uomo recita: “Ogni individuo in quanto membro della società, ha diritto alla sicurezza sociale nonché alla realizzazione, attraverso lo sforzo nazionale e la cooperazione internazionale ed in rapporto con l'organizzazione e le risorse di ogni Stato, dei diritti economici, sociali e culturali indispensabili alla sua dignità ed al libero sviluppo della sua personalità.” Il problema è che troppi individui soffrono dell’insoddisfazione di bisogni primari quali gli alimenti, la sessualità, la sicurezza e il senso di appartenenza; questioni queste che ostacolano se non impediscono il libero sviluppo della loro personalità. Questi individui, essendo di fatto non-indipendenti, non potranno che essere passivi come individui sociali, non potranno che rinunciare all’esercizio del loro potere civico. Gli altri, quelli che hanno i bisogni fondamentali soddisfatti, succede che siano avviliti e colti da senso di impotenza in relazione alle tematiche sociali. É perché il “libero sviluppo” della loro personalità avviene nell’ambito di una cultura troppo spesso anestetizzante, una cultura del comodo e del dovuto, del benessere e, soprattutto, dell’individuo.

Si pensa ai diritti, e troppo poco ai doveri.  Scriveva Mazzini nel 1860: “Perché vi parlo io dei vostri doveri prima di parlarvi dei vostri diritti? (…) Colla teoria della felicità, del benessere dato per oggetto primo alla vita, noi formeremo uomini egoisti, adoratori della materia, che porteranno le vecchie passioni nell'ordine nuovo e lo corromperanno pochi mesi dopo. Si tratta dunque di trovare un principio educatore superiore a siffatta teoria che guidi gli uomini al meglio, che insegni loro la costanza nel sacrificio, che li vincoli ai loro fratelli senza farli dipendenti dall'idea d'un solo o dalla forza di tutti. E questo principio é il DOVERE. Bisogna convincere gli uomini (…) che lo scopo della loro vita non é quello di essere più o meno felici, ma di rendere sé stessi e gli altri migliori - che il combattere l'ingiustizia e l'errore a beneficio dei loro fratelli, e dovunque si trova, é non solamente diritto, ma dovere: dovere da non negligersi senza colpa - dovere di tutta la vita.”

La visione alienata del meccanismo sociale come qualcosa di estraneo all’individuo è semplicemente deleteria. Chi ha la fortuna di non dover soffrire dell’insoddisfazione dei bisogni primari, deve mettersi nella prospettiva di essere parte delle questioni nazionali e internazionali che considera, deve capire che non dire significa lasciar dire, che non pensare significa lasciare che altri pensino, che non decidere significa lasciare decidere altri.

                                                          Laura Venturi

                                         

    


                                                  

 
 

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