FOGLIO LAPIS - APRILE - 2011

 
 

I festeggiamenti per il primo secolo e mezzo di unità nazionale hanno avuto, nonostante le residue polemiche e le inevitabili cadute retoriche, una risonanza inattesa nella sensibilità popolare – Ma hanno anche rivelato un paradosso: gli eventi che si celebrano sono ben poco presenti nei programmi scolastici, in particolare assenti nella scuola primaria – Ben oltre la ricorrenza, è evidente la necessità di rilanciare nella nostra scuola l’insegnamento della storia

 

Chi l’avrebbe mai detto? Ci si aspettava che questo paese inquieto, assillato da mille problemi, per giunta percorso da una vena di astiose polemiche antinazionali, reagisse con noncuranza, se non con fastidio, alle celebrazioni per i centocinquant’anni da quel 17 marzo in cui il primo parlamento italiano, riunito a Palazzo Carignano, proclamò Vittorio Emanuele II re d’Italia annunciando così l’unità del paese. Si pensava a un’occasione di pura retorica, e infatti la retorica c’è stata, inevitabile in simili circostanze: ma c’è stato anche un inatteso trasporto popolare. Folla alle manifestazioni, balconi imbandierati, applausi per chi, come il presidente della repubblica Giorgio Napolitano, seguendo l’esempio di predecessori come Sandro Pertini o Carlo Azeglio Ciampi, ha invitato gli italiani a non trascurare i valori che portarono all’unità, e a trarne l’ispirazione per rilanciare le sorti del paese.

Eppure, a ben vedere, la cosa non dovrebbe sorprendere troppo. Nell’aprile del 2008 la rivista Reset condusse un sondaggio da quale risultò che il settanta per cento degli italiani consideravano positivamente l’unità nazionale, mentre addirittura settantasette su cento davano su Giuseppe Garibaldi, il più popolare fra i padri della patria, un giudizio favorevole. Questo non toglie che permangano pareri critici sulla vicenda risorgimentale. La vicenda unitaria non può certo entusiasmare chi rimpiange le precedenti articolazioni politiche, anche se per certi aspetti impresentabili, né chi vorrebbe rinchiudersi nelle riserve privilegiate delle regioni ricche, né infine quei cattolici integralisti che non perdonano il carattere inevitabilmente anti-temporalista, dunque anti-vaticano, del risorgimento. È vero che quest’ultimo punto è stato diplomaticamente smussato dalla Chiesa, che nell’occasione ha preferito sottolineare il contributo di molti cattolici al processo unitario.

Paradossalmente, si può dire che proprio le tendenze centrifughe hanno provocato per reazione una sorta di risveglio del sentimento nazionale, sia pure a volte improvvisato e approssimativo come sono spesso le cose in questo nostro benedetto paese. Non a caso le città dove i privati hanno esposto più tricolori sono proprio quelle del nord, dove è più rappresentata la visione larvatamente secessionista, quella che non perdonerà mai a Garibaldi di avere unito a una florida Italia “europea” un sud “levantino”, parassitario e sprecone, né a Vittorio Emanuele di avere accettato il trasferimento della capitale a Roma “ladrona”. Per questo è stata a lungo contestata l’idea di fare del 17 marzo una giornata festiva, idea che alla fine è prevalsa anche grazie alla discreta pressione del presidente Napolitano. Ma gli amministratori appartenenti alla Lega nord, il cui fervore federalista è attraversato da vistose venature separatiste, hanno partecipato ai riti celebrativi solo per dovere istituzionale.

Molti dei temi proposti dalla ricorrenza dei centocinquant’anni sono stati approfonditi in numerosi convegni di studi. Ci preme ricordarne uno, del quale riferiremo non appena ne avremo a disposizione gli atti. Si è svolto a metà marzo nell’aula magna dell’università di Ferrara e aveva per tema “La scuola nell’Italia unita: quale eredità? Un bilancio 150 anni dopo”. Un secolo e mezzo di scuola italiana: tema davvero suggestivo. Specialisti convenuti da tutto il paese si sono soffermati su argomenti che vanno dalla legge Casati al risorgimento nella manualistica scolastica, dalla scuola di Edmondo De Amicis al “Bel Paese” di Antonio Stoppani, dal rapporto istruzione-Chiesa all’iconografia e alla didattica del processo unitario.

Questo compleanno dell’Italia unita impone di registrare un paradosso. Gli eventi che si celebrano sono quasi ignorati nei programmi scolastici: in particolare della vicenda risorgimentale non c’è più traccia nella scuola primaria mentre è marginalmente sfiorata alla fine della secondaria di primo grado. Ora, è singolare che quello stesso processo di cui così autorevolmente sono stati riproposti i valori, per il quale è stata istituita una festività nazionale, e che per giunta ha fatto registrare tanto favore popolare, non sia materia di studio approfondito nelle nostre scuole. Il problema riguarda del resto la storia nel suo insieme, così trascurata da alcuni decenni, quasi che si volesse cancellare nelle nuove generazioni la memoria collettiva, la sedimentazione dei valori, delle conoscenze e delle problematiche ereditati dal passato. Non che historia sia necessariamente magistra vitae: ma certo un paese smemorato, esattamente come una persona vittima di amnesie, non può fare molta strada in un futuro che ci pretende culturalmente sempre meglio attrezzati.

                                                          Alfredo Venturi

                                         

    


                                                  

 
 

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