I
festeggiamenti per il primo secolo e mezzo di unità
nazionale hanno avuto, nonostante le residue polemiche e
le inevitabili cadute retoriche, una risonanza inattesa
nella sensibilità popolare – Ma hanno anche rivelato un
paradosso: gli eventi che si celebrano sono ben poco
presenti nei programmi scolastici, in particolare assenti
nella scuola primaria – Ben oltre la ricorrenza, è
evidente la necessità di rilanciare nella nostra scuola
l’insegnamento della storia
Chi
l’avrebbe mai detto? Ci si aspettava che questo paese
inquieto, assillato da mille problemi, per giunta percorso
da una vena di astiose polemiche antinazionali, reagisse con
noncuranza, se non con fastidio, alle celebrazioni per i
centocinquant’anni da quel 17 marzo in cui il primo
parlamento italiano, riunito a Palazzo Carignano, proclamò
Vittorio Emanuele II re d’Italia annunciando così
l’unità del paese. Si pensava a un’occasione di pura
retorica, e infatti la retorica c’è stata, inevitabile in
simili circostanze: ma c’è stato anche un inatteso
trasporto popolare. Folla alle manifestazioni, balconi
imbandierati, applausi per chi, come il presidente della
repubblica Giorgio Napolitano, seguendo l’esempio di
predecessori come Sandro Pertini o Carlo Azeglio Ciampi, ha
invitato gli italiani a non trascurare i valori che
portarono all’unità, e a trarne l’ispirazione per
rilanciare le sorti del paese.
Eppure,
a ben vedere, la cosa non dovrebbe sorprendere troppo.
Nell’aprile del 2008 la rivista Reset
condusse un sondaggio da quale risultò che il settanta
per cento degli italiani consideravano positivamente
l’unità nazionale, mentre addirittura settantasette su
cento davano su Giuseppe Garibaldi, il più popolare fra i
padri della patria, un giudizio favorevole. Questo non
toglie che permangano pareri critici sulla vicenda
risorgimentale. La vicenda unitaria non può certo
entusiasmare chi rimpiange le precedenti articolazioni
politiche, anche se per certi aspetti impresentabili, né
chi vorrebbe rinchiudersi nelle riserve privilegiate delle
regioni ricche, né infine quei cattolici integralisti che
non perdonano il carattere inevitabilmente anti-temporalista,
dunque anti-vaticano, del risorgimento. È vero che
quest’ultimo punto è stato diplomaticamente smussato
dalla Chiesa, che nell’occasione ha preferito sottolineare
il contributo di molti cattolici al processo unitario.
Paradossalmente,
si può dire che proprio le tendenze centrifughe hanno
provocato per reazione una sorta di risveglio del sentimento
nazionale, sia pure a volte improvvisato e approssimativo
come sono spesso le cose in questo nostro benedetto paese.
Non a caso le città dove i privati hanno esposto più
tricolori sono proprio quelle del nord, dove è più
rappresentata la visione larvatamente secessionista, quella
che non perdonerà mai a Garibaldi di avere unito a una
florida Italia “europea” un sud “levantino”,
parassitario e sprecone, né a Vittorio Emanuele di avere
accettato il trasferimento della capitale a Roma “ladrona”.
Per questo è stata a lungo contestata l’idea di fare del
17 marzo una giornata festiva, idea che alla fine è
prevalsa anche grazie alla discreta pressione del presidente
Napolitano. Ma gli amministratori appartenenti alla Lega
nord, il cui fervore federalista è attraversato da vistose
venature separatiste, hanno partecipato ai riti celebrativi
solo per dovere istituzionale.
Molti
dei temi proposti dalla ricorrenza dei centocinquant’anni
sono stati approfonditi in numerosi convegni di studi. Ci
preme ricordarne uno, del quale riferiremo non appena ne
avremo a disposizione gli atti. Si è svolto a metà marzo
nell’aula magna dell’università di Ferrara e aveva per
tema “La scuola nell’Italia unita: quale eredità? Un
bilancio 150 anni dopo”. Un secolo e mezzo di scuola
italiana: tema davvero suggestivo. Specialisti convenuti da
tutto il paese si sono soffermati su argomenti che vanno
dalla legge Casati al risorgimento nella manualistica
scolastica, dalla scuola di Edmondo De Amicis al “Bel
Paese” di Antonio Stoppani, dal rapporto istruzione-Chiesa
all’iconografia e alla didattica del processo unitario.
Questo
compleanno dell’Italia unita impone di registrare un
paradosso. Gli eventi che si celebrano sono quasi ignorati
nei programmi scolastici: in particolare della vicenda
risorgimentale non c’è più traccia nella scuola primaria
mentre è marginalmente sfiorata alla fine della secondaria
di primo grado. Ora, è singolare che quello stesso processo
di cui così autorevolmente sono stati riproposti i valori,
per il quale è stata istituita una festività nazionale, e
che per giunta ha fatto registrare tanto favore popolare,
non sia materia di studio approfondito nelle nostre scuole.
Il problema riguarda del resto la storia nel suo insieme,
così trascurata da alcuni decenni, quasi che si volesse
cancellare nelle nuove generazioni la memoria collettiva, la
sedimentazione dei valori, delle conoscenze e delle
problematiche ereditati dal passato. Non che historia
sia necessariamente magistra
vitae: ma certo un paese smemorato, esattamente come una
persona vittima di amnesie, non può fare molta strada in un
futuro che ci pretende culturalmente sempre meglio
attrezzati.
Alfredo Venturi
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