Chi
le farfalle cerca sotto l’arco di Tito? Se lo domandava
Giosue Carducci (Odi barbare) e più di un secolo dopo non
ha ancora ricevuto risposta – Quel che è certo è che
il tempo ammazza chi cerca di ammazzarlo, e che sognare
farfalle può determinare imbarazzanti problemi di statica
– E se il tempo andasse a ritroso e dunque la vita
procedesse all’incontrario, dalla morte alla nascita?
Riflettevo
con ragazze e ragazzi: «Non facciamo che escogitare modi
per ammazzare il tempo e intanto il tempo ammazza noi»…
Per
dar loro il modo di fare l'esperienza "tattile"
della frase che avevo appena detto, lessi dal Dizionario
Garzanti della lingua italiana alla voce farfalla:
"insetto con quattro ali membranose variamente
colorate, apparato boccale, succhiatore a proboscide, corpo
distinto in capo, torace e addome: andare a caccia di
farfalle, correr dietro alle farfalle, (fig.)
perder tempo in cose futili"… «Ecco!» ripetevo
loro: «Non facciamo che escogitare modi per ammazzare il
tempo e intanto il tempo ammazza noi»…
– Dovremmo
decrescere anziché crescere? – domandò una ragazza. E
iniziai una novella per lei, che diceva come un indovinello:
«Era un organismo contrario: invece di crescere,
decresceva, si involgeva, regrediva. Se continuava così,
presto, invece di morire, sarebbe di nuovo nato»…
– Cos'era?
– chiesi.
– Un
uomo in gambero. Veramente in gambero! – disse la ragazza.
E iniziai a conferire le previsioni della bisnonna sulla
farfalla:
- Quattro
farfalle prendono il tè in giardino
- Siedono volando senza toccare le
sedie col cuscino
- Il loro chiacchierare è un muovere
di ali
- Si avvita nell'aria in leggerissime
spirali
- Il silenzio le ascolta incantato
disteso sul prato
- Rosa e celeste è la mattina
- La vita ha la trasparenza dell'acqua
sorgentina
- Tutto tace e sussurra in un morbido
soffio
- Non si vedono gli urli, l'orrore
- Il cristallo che taglia le ali, al
suo scoppio.
Feci
osservare a ragazze e ragazzi l'orrore di una farfalla
conservata sotto il cristallo nel laboratorio di Scienze
dove eravamo. Era sotto gli occhi di tutti, evidentissimo,
lo spillo infilzato nella testa con cui qualche squilibrato
aveva "tagliato le ali" alla farfalla.
– Come
potete osservare – dissi – le previsioni della bisnonna
sulla farfalla erano esatte.
Poi
ci fu un sogno:
«Questa
notte in un sogno, di per sé già molto leggero, ho sognato
farfalle. Tale doppio lievissimo evento ha provocato forti
correnti ascensionali: per non levitare ho dovuto
aggrapparmi al cuscino. Non bastando, per contrappeso, è
stato necessario inserire nel sogno cemento, bisonti, balene
e maiali. Ridiscesa sul letto ho ripreso a sognare di ali.
Dondolavano le mie farfalle, al vento come ragnatele,
parlavano fra loro di leggerissime questioni: dell'odore del
miele, del sapore della luce delle stelle, di una nuova
acconciatura per le antenne, usando parole di miele e non di
suoni, sospese in quel mondo di velo che è sospeso fra la
terra e il cielo, bevevano il tè in tazzine fatte di
foglioline. Aleggiava una quiete perfetta appena increspata
dal ritmato ruotare dell'ala che tiene sospesa, dal leggero
crepitìo della mattina ormai accesa. È il vento il parlare
delle farfalle, un alfabeto che si dice con le ali,
declinato sull'azzurro degli opali. Una lingua iridescente
nata per parlare dell'alto, del vuoto, del niente. Una
lingua senza gravità. Una lingua graziosa, con molti fonemi
in comune con la lingua della rosa, una lingua di sfumature,
senza accenti, ricca di bianchi, di luci, di argenti. Una
lingua che a seconda delle stagioni si può diversamente
colorare, parlata solo da popoli in grado di volare».
«Falla…
farfalla questa esperienza, su!» suggerisce la bisnonna,
esponente di una scuola dove si può – anzi, si deve –
suggerire per farsi capire: «Vi sono, nella vita di ognuno,
esperienze che al momento in cui si compiono sembrano del
tutto occasionali e contingenti. Ma, quando a distanza di
molto tempo ci voltiamo a considerare il cammino percorso,
esse assumono impreveduta rilevanza: tessere di un mosaico
che è andato componendosi a poco a poco, primi tratti di un
disegno che non ci sarà dato vedere nella sua compiutezza,
perché il tratto definitivo coinciderà col termine della
vita. Tuttavia, avvicinandosi l'età a questo traguardo,
sempre più spesso ci troviamo a constatare la loro
pertinenza e necessità: baluginanti stelline che, in un
cielo di passato dove ogni distanza è abolita, una dopo
l'altra ci sorprendono quasi a dirci, luminose epifanie, di
non essere state invano, a tutte dando ora un senso il
nostro presente, futuro di quel passato».
Diventai
rosso come un gambero. Camminavo all'indietro. Ma a scuola
mi chiamano Farfalla.
Filippo
Nibbi, Giovanna De Carli
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