È
accaduto in un aeroporto inglese: ai controlli di polizia
una classe in gita è stata brutalmente sezionata – Da
una parte i giovani italiani che potevano entrare,
dall’altra i loro compagni immigrati costretti a tornare
indietro – Nazionalità non gradite: questa la
spiegazione delle autorità britanniche – Quei ragazzi
avevano i documenti perfettamente in regola, e si
trovavano sotto la responsabilità della scuola,
rappresentata dagli insegnanti accompagnatori
Sui loro passaporti c’è scritto Albania, Burkina
Faso, Peru, Ucraina. Tutte dizioni che non piacciono affatto
ai poliziotti di frontiera di sua maestà britannica. Tanto
che sei studenti di una scuola italiana, l’istituto
tecnico Vittorio Emanuele II di Bergamo, sono stati
rispediti a casa, proprio perché titolari di passaporti così.
Ma prima erano stati sottoposti a una mortificante procedura
poliziesca: impronte digitali, foto segnaletiche, alcune ore
d’isolamento. Tutto questo perché originari di “paesi
non graditi”, secondo la sconcertante spiegazione della
polizia. È accaduto all’aeroporto londinese di Luton. Una
classe di una quarantina di studenti-lavoratori,
frequentatori di corsi serali, era appena atterrata e si
apprestava alla sua escursione fra le bellezze della
capitale inglese. Ma prima c’erano da sbrigare le formalità
dei controlli di polizia, visto che la Gran Bretagna non
aderisce agli accordi di Schengen sulla libera circolazione
delle persone all’interno dell’Unione europea.
Il caso è esploso proprio al controllo. No, questi
qui non possono passare, hanno sentenziato gli agenti
rigirandosi fra le mani i passaporti “alieni”. Vane le
proteste degli interessati e dei loro compagni. Vano anche
l’intervento degli insegnanti accompagnatori: questi
ragazzi sono sotto la nostra responsabilità, inoltre hanno
le carte in regola perché nell’organizzazione della gita
abbiamo seguito alla lettera le istruzioni del consolato
generale britannico di Milano. Niente da fare: i sei
venivano trattenuti in aeroporto, schedati e guardati a
vista. Dopo molte ore, venivano scortati dagli agenti su un
aereo che li riportava al punto di partenza, lo scalo
bergamasco di Orio al Serio. La preside dell’istituto,
Gabriella Lo Verro, insiste sulla regolarità dei documenti
e annuncia: chiederò che sia fatta chiarezza.
Ci sembra che il fatto si commenti da sé. Le
discriminazioni sono tutte odiose, questa in particolare è
anche inspiegabile, è avvenuta infatti in un paese dalle
solide tradizioni di tolleranza, contraddistinto da una fra
le più variegate società multietniche. Basti vedere
l’articolo qui accanto, che riferisce lo sforzo di
coniugare i concetti d’identità e di diversità nelle
scuole d’Inghilterra. Siamo di fronte a comportamenti che,
immaginiamo, hanno la loro profonda ragion d’essere
nell’imperativo della lotta al terrorismo. Ma quale
terrorismo? Quale minaccia possono costituire sei ragazzi
integrati in una società europea, al punto da svolgervi
un’attività lavorativa e da frequentarvi regolari corsi
di studio, inquadrati in un gruppo numeroso posto sotto la
responsabilità di alcuni insegnanti? Nessuna minaccia, è
chiaro, semplicemente “nazionalità non gradite”.
Il male che il terrorismo ha fatto a chi lo ha subito
non consiste soltanto nelle vittime, nelle devastazioni e
nell’insicurezza che ormai da anni domina le nostre vite.
Consiste anche nel peggioramento dei nostri costumi, nella
tendenza all’imbarbarimento, nella libertà garantita
soltanto alle “nazionalità gradite”, nelle norme
d’eccezione, per tacere delle varie guerre preventive e
della democrazia modello esportazione. Consiste in
comportamenti non soltanto ingiusti ma anche goffamente
controproducenti, perché il risentimento di chi li subisce
potrebbe anche conoscere derive incontrollate. Il problema
è chiaro, almeno a parole: come reagire al terrorismo senza
regalare al terrorismo altri proseliti.
f.
s.
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