Come
si contrae un contratto – Mille dollari al mese per
sette giorni lavorativi la settimana: più meno come ai
tempi di Giulio II, papa guerriero – Una citazione di
Gianni Rodari offre una possibilità consolatoria
attraverso una storia di santi e di diavoli: perché non
provare riprendendosi piena libertà di parola? – Un
orologio che segna sempre le 10,25
–
CO.CO.CO?
CO.CO.CO?
–
CO.PRO?
CO.PRO?
Si parlava di Collaborazione Coordinata Continuativa,
che è un tipo di contratto contratto in tempo determinato,
e di Collaborazione su Progetto, nuovo tipo di contratto
ancora più contratto, veramente striminzito.
– Poveri, precari, senza certezza riguardo al futuro.
Tra vent’anni, quelli che ora ne hanno quaranta, andranno
in pensione CO.CO.CO. la metà della pensione minima
garantita oggi, – diceva la Giovanna.
La
Giovanna viene fuori dalla scuola media-elementare
“Margaritone” di Arezzo il cui edificio è ridotto a una
voragine come ci fosse caduta una bomba sganciata qui da
Bagdad, durante le Mille e una notte. Ecco! Vedete?
Ha
poi frequentato l’Istituto Statale d’Arte ad Arezzo, poi
il DAMS a Bologna.
Il
23 febbraio 2005, quest’anno, si è recata a Roma, alla
“TECHNICOLOR”, fuori Porta Tiburtina, passato il Grande
Raccordo Anulare, per un colloquio d’assunzione. Le hanno
subito chiesto se era disposta a lavorare anche il sabato e
la domenica, per mille dollari al mese, che è la paga
minima garantita a un soldato americano in Iraq.
–
Siamo
entrati in guerra?… Ma siamo matti!?… Siamo andati fuori
di testa?… E io dovrei lavorare, per mille dollari, anche
la domenica?… Non c’è più religione! – dice la
Giovanna. E aggiunge: – Socci-mel-bèn! Come fa una città
grassa come Ferrara a essere diventata così guerrafondista?
guerrafondente come la cioccolata?
–
… Forse
volevi dire: grassa come Bologna, che fu nutrita a paté di
fegato da Guazza l’Oca, nell’ignorantità! – le dico
io.
– Insisto,
Ferrara! – dice lei.
–
Bologna!
– insisto io. E mi rifaccio a Erasmo da Rotterdam, dottore
in teologia a Torino, spettatore magno cum gemitu
delle imprese guerresche di Giulio II a Bologna, che scrive:
“Viaggiando per la campagna vidi la povertà dei
contadini, la cui intera fortuna consisteva in due mucche,
che avevano difficoltà a mantenere la famiglia, e che gli
esattori del papa mungevano di un ducato a testa: Julius
pontifex, terrenus Juppiter, tonabat et fulminabat”.
Erasmo era venuto in Italia nel 1506 portato dal desiderio
di vedere finalmente la terra madre della nuova cultura.
La
Giovanna è la nostra eroina, stupefacente, perché possiamo
farne uso senza fare i nostri Proci comodi
come stavano in casa d’Ulisse, e ora a Roma! Lei sostiene
che se i Proci continuano a fare i propri Proci comodi
come stavano in casa d’Ulisse e ora a Roma, va a finire
che ogni bidello scolastico diventa un “bidè piccolo
piccolo”…
–
Ti
sei fatta il bidello? – le domando.
–
No…
È troppo piccolo! – risponde lei.
Al
DAMS ha discusso una tesi sulle coreografie di “Pierino e
il Lupo” di Prokofiev. E qui viene il bello! Spunta fuori
la Grammatica della fantasia. Gianni Rodari.
<<Una
volta Pierino giocava con il pongo. Passa un prete come
Budget Bozzo, satanista, che accusa il Papa di essere legato
all’Islam che vuole scalare le mura di Ferrara, e gli
domanda: – Cosa fai? – Faccio un prete come te.
Passa
un cow-boy travestito da cespuglio come Bush, e gli domanda:
– Cosa fai? – Faccio un cow-boy come te.
Passa
un indiano e gli domanda: – Cosa fai? – Faccio un
indiano come te.
Poi
passa un diavolo che era buono, ma poi diventa cattivo perché
Pierino gli tira addosso la cacca, il diavolo piangeva perché
era tutto sporco di merda, poi diventa ancora buono>>.
Salta
agli occhi, in questa bellissima storia, l’uso del
linguaggio escrementizio in funzione liberatoria. Il
bambino, che l’ambiente (ma quale ambiente?… Ci sarà
una strada, una casa, una scuola che funziona così?) ha
messo in condizione di esprimersi senza censure
(liberamente, poveramente), si è affrettato a usare di
questa libertà per i suoi fini, cioè per esorcizzare
qualche senso di colpa connesso con l’apprendimento delle
funzioni corporali a infinite dimensioni, perché armoniche.
Si tratta di “parole proibite”, che “non stanno
bene”, che “non bisogna dire”, secondo il modello
culturale familiare: Pronunciarle significa dunque rifiutare
di subire quel modello repressivo, rovesciare nel riso il
senso di colpa.
Passa
attraverso questo scatto una più ampia operazione di
autoliberazione dalla paura, da tutte le paure. Il bambino
personifica i suoi nemici, tutto ciò che sa di colpa e di
minaccia, e li scaglia l’uno contro l’altro come le
scaglie d’un pesce d’aprile (chi ci riesce?),
divertendosi a umiliarli.
Va
notato che l’operazione non è poi tanto lineare. Il
diavolo, all’inizio, è affrontato con una certa prudenza.
È “un diavolo buono”. Non si sa mai. L’esorcismo
implicito nell’aggettivo adulatorio viene enormemente
rafforzato dal gesto: per domare il diavolo gli si butta
addosso della “cacca”, cioè, in qualche modo, il
contrario dell’acqua benedetta. Ma succede anche nei sogni
che un oggetto rappresenti il suo contrario, no?…
CO.CO.CO?
CO.CO? CO.CO
CO.PRO?
CO.PRO?
È
l’orologio a CO.CO?
Ora
il diavolo ha perduto la maschera rassicurante della bontà.
È quello che è “cattivo”. Ma il riconoscimento avviene
quando si può sfidare la sua cattiveria e ridere di lui,
perché è tutto insudiciato: “sporco di merda”.
Il
“riso di superiorità” che permette al bambino di
trionfare sul diavolo gli consente anche il suo recupero:
dal momento che non fa più paura, il diavolo può
ridiventare “buono”, ma a livello di marionetta. Era un
diavolo vero che è stato bombardato di escrementi: ora esso
è ridimensionato, ridotto a giocattolo. Gli si può
perdonare… forse anche per essere perdonati di aver usato
le “brutte parole”? Un resto di inquietudine, o una
rivalsa della censura interna, che la storia non è bastata
a travolgere del tutto...
–
Che
strage! Sono in uno Stato!… Ho i capelli che mi si
rifiutano.
–
Perché?
Hanno il naso?
–
… Al
mio orologio, che non è assolutamente attendibile, sono
sempre le 10 e 25.
–
Perché
vuoi attendere un orologio?
–
Il
paradosso è che senza orologio, senza “parà d’osso”,
non c’è ironia, comicità, comicittà più al mondo che
tenga! Di questa generale fortuna coniugata con le stragi,
sono stato io il primo a meravigliarmi (demirabat ipse
quid ibi cuiquam placeret), – il diavolo dice.
Salito,
saluto la Giovanna alla stazione di Bologna, mentre il
Ritardo arriva in treno.
(2 Agosto 1980 – 1° Aprile 2005)
Filippo Nibbi
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