La
cosiddetta civiltà dell'immagine pareva avere confinato
la parola scritta in un universo marginale - Per esempio
in Italia le statistiche sulla scarsa propensione alla
lettura si accompagnavano alla denuncia di capacità di
scrittura sempre più ridotte - L'avvento delle nuove
tecnologie, con il loro facile radicamento fra i più
giovani, ha invertito la tendenza - Oggi si scrive di
nuovo, nelle forme contratte e gergali del "messaggino"
ma anche nei modi potenzialmente illimitati del "blog"
La preposizione
per, o anche la sillaba
corrispondente, ovunque si trovi, non è che una x
intesa come segno di moltiplicazione, e una semplice k evita
la doppia battuta ch: in modo tale che una parola come perché
si riduce a un sincopato xke. Si risparmia spazio e tempo
nello scrivere gli sms, i messaggini ormai dilaganti sui
minuscoli schermi dei telefoni cellulari. La tendenza alla
contrazione delle parole, alla loro sostituzione con
ingegnose omofonie, è del resto universale: in inglese per
esempio, una lingua che già di per sè non si perde certo
in lungaggini, per scrivere for you si ricorre a una sorta
di rebus, 4u, e per salutare (see you) è sufficiente
digitare cu. Si fa prima, e non ci sono difficoltà di
comprensione.
Per alcuni questo
è un fenomeno irritante, che mortifica la scrittura e le
sue regole. Ma non è così, a ben vedere. Al contrario, la
contrazione delle parole non è che l'altra faccia di
quello che bisogna considerare un rilancio della
scrittura, una sorta di pedaggio che la lingua scritta è
chiamata a pagare per essere veicolata sui nuovi mezzi
universali di comunicazione verbale. Erano alcuni decenni
che si lamentava la progressiva eclissi dello scrivere, e
parallelamente del leggere. La televisione stava sostituendo
libri e giornali, a malapena temperando la tendenza con le
sue rassegne stampa o con i programmi dedicati all'editoria.
Il telefono aveva inferto un colpo mortale all'antica
consuetudine di scambiarsi lettere e cartoline. I sondaggi
rivelavano che in Italia, ma non soltanto lì, i giovani
voltavano le spalle alla parola scritta: scarsa propensione
alla lettura, specchio a sua volta di una declinante capacità
di impadronirsi del testo scritto, di interpretarlo e di
capirlo. Di qui il ripiego su una oralità approssimativa,
elementare, di scarso impatto e di ancor minore impegno.
É stato a questo
punto che hanno fatto irruzione il computer e il telefono
cellulare. L'uno e l'altro dotati di tastiera, cioè di uno
strumento che permette non soltanto la scelta di funzioni e
comandi, ma anche la composizione di parole, frasi,
concetti. A cinquemila anni dall'invenzione della scrittura,
eccone dunque la riscoperta adattata ai tempi nuovi e ai
nuovi mezzi. I ragazzi che non avrebbero mai affrontato il
foglio bianco della lettera, si trovano perfettamente a loro
agio con i tasti microscopici del cellulare: e così una
buona parte della comunicazione che avevano fin qui affidato
alle loro interminabili telefonate ha imboccato questa nuova
strada. Prima parole che appena dette volavano, ora testi
che rimangono, magari per poco, e che dunque permettono la
rilettura, la verifica, la risposta meditata. Il messaggino
è diventato nel mondo giovanile e adolescenziale il veicolo
comunicativo per eccellenza. Linguaggio contratto? Ma se
Parigi è valsa una messa, il ritorno alla scrittura vale
certamente qualche libertà espressiva. Sarebbe certo
prematuro e un po' troppo ottimistico parlare di un nuovo
umanesimo alle porte, ma accontentiamoci, con i tempi che
corrono la riscoperta dell'alfabeto è già un evento da
festeggiare. Haec nobis fausta dies, albo signanda
lapillo...
Parallelamente,
il computer ha aperto possibilità di espressione che ancora
non sono state fino in fondo esplorate. Se il messaggino ha
riproposto la comunicazione scritta a distanza fra persone
che altrimenti ne farebbero a meno, la posta elettronica
copre invece tutte le potenzialità comunicative. Sia dei
refrattari cronici allo schema
lettera-busta-francobollo-imbucare, sia di coloro che ancora
non avevano perduto l'abitudine di scriversi. Offrendo ai
primi una sorta di cellulare di estrema potenza, a
tutti i vantaggi della certezza, della chiarezza,
della velocità. Una recente decisione amministrativa ha
equiparato, in Italia, la posta elettronica alla lettera
raccomandata: anche la burocrazia si è dunque inchinata di
fronte alla maestà del progresso.
Leggerete in
questo stesso numero un intervento specifico sull'altro
grande veicolo comunicativo che ha fatto irruzione
attraverso internet: il weblog, o diario di rete. Il blog,
come si chiama sbrigativamente. Permette di scrivere
indirizzandosi al mondo intero, perfino a chi non conosce la
lingua usata, visto che esistono programmi di traduzione
online, per quanto di qualità non proprio eccellente,
almeno per ora. Permette anche lo scambio, l'interazione
immediata. Nel blog si può scegliere ogni tema, ogni stile:
si può scrivere a piacimento perché o xke, see you o cu.
Si può essere telegrafici o logorroici. Non ci sono vincoli
di spazio né di tempo, ci sono soltanto o ci dovrebbero
essere le frontiere del buongusto, ma questo è un discorso
che porterebbe lontano: in ogni caso è evidente che ogni
blogger individua i suoi interlocutori, appunto attraverso
la scelta del tema, dell'approccio, del linguaggio. Avrà,
in altre parole, gli interlocutori che si merita.
L'affermarsi dei
blog testimonia, così come la grande alluvione dei
messaggini, un bisogno universale di comunicazione, in un
mondo che tende a ridurre l'espressione individuale a
vantaggio di comportamenti omologanti, molto spesso legati
alle esigenze puramente mercantili del consumo. Ci si può
rispondere che in un certo senso anche questa è una moda
che omologa: è vero, in un certo senso è così. Ma è
anche vero che la potenzialità di questi mezzi ne allarga
la funzione in misura assolutamente imprevedibile. Ci si può
aspettare di tutto: per esempio che dalle riflessioni
affidate a un blog scaturiscano risposte nuove agli
interrogativi che angosciano il pianeta, o che dall'universo
minimo degli sms sgorghino fresche vene di poesia.
Alfredo
Venturi
|