Torna a Foglio Lapis - aprile 2001
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Un lungo percorso per maturare e lanciare due progetti centrati su legalità e lavoro – Qualche problema di comprensione e qualche sordità burocratica non  alterano più di tanto un bilancio complessivamente positivo - Nella maggior parte dei casi, infatti, il contatto personale ha funzionato e alla diffidenza iniziale ha fatto seguito una partecipazione convinta e a volte calorosa
 

Ci sono voluti quattro anni di preparazione per arrivare all’ideazione e al lancio dei nostri più importanti progetti: legalità e lavoro. Quattro anni di viaggi in lungo e in largo nel nostro paese, osservando i posti, gli ambienti, ma soprattutto ascoltando per ore ed ore ciò che bambini, genitori, insegnanti, gruppi del volontariato, sindacalisti, avevano da dirci: ognuno con una propria storia, ognuno con la speranza che servisse veramente a qualcosa raccontare i fatti propri a quei pellegrini curiosi – noi – che si informavano sulle condizioni educative.

E ci sono voluti anche miracoli: un tassista a Napoli, papà di due bambine, dopo quattro giorni che ci accompagnava nelle scuole, nelle carceri minorili e in tutte quelle realtà di borgata dove vivono il loro inferno quotidiano migliaia di persone, bambini compresi, non volle essere pagato perché riconobbe il valore e la necessità di ciò che stavamo facendo. E che responsabilità ci siamo sentiti sulle spalle per non tradire quell’uomo e per essere all’altezza della sua immensa fiducia in noi.

Abbiamo visto scuole che assomigliavano a carceri e carceri che si davano una elegante parvenza di deliziose casette, per far recuperare, ci dicevano, il senso estetico dell’ordine, della bellezza a quei ragazzi ormai entrati in una devianza cronica dalla quale difficilmente si esce. E sorgeva spontanea una domanda: perché non pensarci prima, a rendere quelle orribili scuole con le sbarre alle finestre ed i muri sudici più gradevoli ai bambini che fanno il loro ingresso nella prima istituzione della società civile? Molti genitori lamentavano il fatto che alla fine del periodo scolastico obbligatorio i loro figli non sapevano nemmeno riempire un bollettino postale o scrivere una lettera per chiedere un lavoro. Altri lamentavano un fatto ancor più grave e cioè che dopo l’istruzione di base la sola alternativa al proseguimento degli studi era il lavoro nero e in alcune realtà unicamente l’appartenenza ad associazioni criminose che reclutano molto volentieri le giovani leve.

Così piano piano si è andato delineando nella nostra testa il cammino che avremmo dovuto intraprendere per dare effettivamente una mano nelle difficili questioni della condizione giovanile. Legalità e lavoro: questo doveva diventare  il nostro piano d’azione. Da qui l’idea d’invitare i magistrati a uscire dalle loro aule ed entrare nelle scuole, soprattutto tra i bambini più piccoli, per correggere quella ormai secolare percezione della giustizia che traspare per esempio da un’interpretazione superficiale del libro di Pinocchio. Ci siamo chiesti quanti insegnanti si siano presi la briga di spiegare ai ragazzi che il “giudice ingiusto” di Collodi non è altro in realtà che la denuncia simbolica della miseria, somma di tutte le ingiustizie del mondo. Chi meglio dei magistrati può finalmente chiarire l’equivoco?

E per tutti quei giovani desiderosi di poter entrare a pieno diritto nel mondo del lavoro una volta concluso il periodo dell’obbligo scolastico abbiamo ipotizzato un contatto fra scuola e società produttiva: con un indirizzo tecnico-pratico negli istituti comprensivi che possa indirizzarli verso l’artigianato e la piccola impresa.

Preparate le bozze dei progetti grazie alle competenze specifiche che volontariamente si sono messe a disposizione, siamo partiti. L’idea era quella di cercare di capire, incontrando città per città i rappresentanti delle due categorie, magistrati ed artigiani, la reale fattibilità, soprattutto il reale interesse che avrebbe poi mobilitato i protagonisti delle due iniziative. Il nostro calvario comprendeva 25 stazioni, ma eravamo fermamente intenzionati ad abbandonarlo immediatamente se fin dalle prime città ci fossimo resi conto che sarebbe mancata la collaborazione locale. La nostra sicurezza nel proporlo poi alle istituzioni doveva nascere dalla certezza che la gente approvava la nostra idea. E così è stato: dalle Alpi ai mandorli in fiore del Sud magistrati ed artigiani hanno offerto la loro disponibilità a mobilitarsi per la realizzazione di queste due iniziative ritenute a buona ragione “necessarie” da praticamente tutti i rappresentanti incontrati. Una strana coincidenza però ha voluto che nella medesima città del Centro Italia abbiamo udito le sole due voci non in sintonia con le altre. La rappresentante degli artigiani pareva interessata unicamente alla nostra consistenza come organizzazione: quante divisioni ha il Papa? E l’uomo della magistratura ci ha lasciato di stucco dicendo che prima voleva sincerarsi di non essere alle prese con una banda di satanisti, e ha tentato di impressionarci ordinando davanti a noi al suo segretario l’invio di due fax, al ministero di Grazia e Giustizia e alla Pubblica Istruzione, per verificare la legittimità della nostra iniziativa.

 Anche l’esordio della nostra opera con le istituzioni romane non è stato privo di qualche asperità. Due alti funzionari ministeriali ci hanno detto che l’andare a cercare il (sacrosanto per noi) parere della gente sui due progetti non aveva nessuna importanza, tutto quello che serviva era una corretta stesura esplicativa dei progetti stessi. Siamo ovviamente d’accordo che questo è necessario, ma certamente non  meno del riscontro, faticosamente realizzato sul campo attraverso i nostri contatti personali, che le due iniziative sono apprezzate e caldeggiate dagli interessati. Dobbiamo forse ricordare a lor signori che cosa significa democrazia?

Marilena Farruggia Venturi

presidente della Lapis

FOGLIO LAPIS - APRILE 2001