FOGLIO LAPIS - SETTEMBRE - 2001

 
 

Un sistema scolastico a suo tempo considerato fra i migliori del mondo registra da qualche tempo esiti insoddisfacenti – Un quinto dei giovani al termine degli studi è privo di una qualificazione atta all’inserimento nel mondo produttivo – Inoltre i livelli di alfabetizzazione risultano del tutto insoddisfacenti nel confronto internazionale – Si discute sull’alternativa innovazione-tradizione

 

Chiedete ai genitori in che modo sia possibile dare ai loro figli il migliore avvio possibile nella vita, e nella maggior parte dei casi vi risponderanno: con una buona istruzione”. Così s’inizia un editoriale che il quotidiano The Press di Wellington, Nuova Zelanda, ha dedicato ai temi educativi del paese oceanico (The Press, 15 agosto 2001). E’ curioso notare, per l’osservatore italiano, come alcuni fra i problemi denunciati in quella terra agli antipodi siano qualitativamente simili a quelli che affliggono ormai tradizionalmente la scuola italiana. Si direbbe che fra le tante accezioni del termine globalizzazione, ci sia anche quella che si riferisce al malessere scolastico.

Si fa dunque notare come il sistema educativo neozelandese, una volta considerato fra i migliori del mondo, mostri da qualche tempo la corda. L’immagine della scuola nazionale nella pubblica opinione si è vistosamente deteriorata, e le ragioni sono principalmente due. Prima di tutto il fatto che il venti per cento dei ragazzi che lasciano la scuola lo fanno prematuramente, e senza avere conseguito alcuna qualificazione professionale: dunque l’inserimento nel mondo del lavoro è per loro un’impresa particolarmente ardua. Il problema si accentua in alcune aree, come la Costa occidentale dove la percentuale sale al 37 per cento. Inoltre gli stessi livelli di alfabetizzazione sono del tutto insoddisfacenti: in una scala da uno a cinque quasi un quinto dei giovani neozelandesi fra i 16 e i 25 anni sono confinati da un’indagine internazionale al livello uno.

L’editorialista di The Press non deve certo arrampicarsi sugli specchi per commentare le conseguenze di una simile situazione, che accumula gli effetti della scarsissima resa e della dispersione scolastica: per una larga parte della popolazione giovanile l’insuccesso educativo restringe ogni possibilità di inserimento nella società. In pratica può chiamare in causa “l’intero spettro di problemi sociali connessi con l’emarginazione”, a cominciare dalla difficoltà di trovar lavoro. Paradossalmente, lo stato di piena occupazione che attualmente si registra in Nuova Zelanda viene censito fra le cause della dispersione scolastica: infatti la disponibilità di posti di lavoro rappresenta di per sé un’attraente alternativa alla scuola. Ma si tratta, in questa epoca sempre più marcata dal possesso delle tecniche di informazione e comunicazione, di un vantaggio illusorio, e limitato ai gradini più bassi della scala professionale.

Un’altra ragione dei prematuri abbandoni scolastici consiste semplicemente nel fatto che i ragazzi hanno la sensazione di perdere tempo, visto che non vedono a portata di mano le necessarie qualificazioni atte all’inserimento nel mondo del lavoro. Per questo è allo studio una riforma che prevede il rilascio di un certificato di idoneità articolato a seconda delle specifiche competenze individuali. Uno strumento flessibile che potrebbe incoraggiare molti a non mollare la scuola, ma che al tempo stesso rischia, secondo i critici, di abbassare il livello generale dell’istruzione.

Secondo altri, del resto, la chiave per affrontare questa crisi sta nell’affrontare l’altro tema, quello dei livelli di alfabetizzazione. Di questo problema si è occupato il parlamento di Wellington, raccomandando al sistema scolastico uno sforzo per ottimizzare questo primario compito educativo. La palla è dunque nel campo degli specialisti: tocca a loro stabilire se valga la pena di conservare l’approccio innovativo, che insegna le parole a partire da immagini e significati, o se non sia invece il caso di ripiegare sul sistema tradizionale, quello che associava lettere e suoni. Probabilmente la formula giusta consiste in un uso equilibrato dei due metodi, calibrato sulle necessità dei singoli studenti. Fermo restando che, indipendentemente dal tipo di didattica scelto e applicato, la qualificazione e l’aggiornamento degli insegnanti è la premessa di qualsiasi miglioramento possibile.

Il problema di un adeguamento del sistema scolastico alle esigenze dei singoli e della società nel suo insieme, nella valutazione degli specialisti ma anche dell’opinione pubblica, è ormai sentito come grave e impellente: come una priorità nazionale, se non un’emergenza. La sua soluzione richiederà investimenti di risorse anche finanziarie, ma il governo di Wellington non esiti, invita l’editorialista di The Press: infatti “la quantità di denaro richiesta è sicuramente inferiore ai costi sociali di lungo termine provocati dall’esclusione di tanti neozelandesi dall’economia del futuro”.

 

f.s.

 

 
 

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