Un
sistema scolastico a suo tempo considerato fra i migliori
del mondo registra da qualche tempo esiti insoddisfacenti
– Un quinto dei giovani al termine degli studi è privo
di una qualificazione atta all’inserimento nel mondo
produttivo – Inoltre i livelli di alfabetizzazione
risultano del tutto insoddisfacenti nel confronto
internazionale – Si discute sull’alternativa
innovazione-tradizione
“Chiedete
ai genitori in che modo sia possibile dare ai loro figli il
migliore avvio possibile nella vita, e nella maggior parte
dei casi vi risponderanno: con una buona istruzione”. Così
s’inizia un editoriale che il quotidiano The Press
di Wellington, Nuova Zelanda, ha dedicato ai temi educativi
del paese oceanico (The Press, 15 agosto 2001). E’
curioso notare, per l’osservatore italiano, come alcuni
fra i problemi denunciati in quella terra agli antipodi
siano qualitativamente simili a quelli che affliggono ormai
tradizionalmente la scuola italiana. Si direbbe che fra le
tante accezioni del termine globalizzazione, ci sia anche
quella che si riferisce al malessere scolastico.
Si
fa dunque notare come il sistema educativo neozelandese, una
volta considerato fra i migliori del mondo, mostri da
qualche tempo la corda. L’immagine della scuola nazionale
nella pubblica opinione si è vistosamente deteriorata, e le
ragioni sono principalmente due. Prima di tutto il fatto che
il venti per cento dei ragazzi che lasciano la scuola lo
fanno prematuramente, e senza avere conseguito alcuna
qualificazione professionale: dunque l’inserimento nel
mondo del lavoro è per loro un’impresa particolarmente
ardua. Il problema si accentua in alcune aree, come la Costa
occidentale dove la percentuale sale al 37 per cento.
Inoltre gli stessi livelli di alfabetizzazione sono del
tutto insoddisfacenti: in una scala da uno a cinque quasi un
quinto dei giovani neozelandesi fra i 16 e i 25 anni sono
confinati da un’indagine internazionale al livello uno.
L’editorialista
di The Press non deve certo arrampicarsi sugli
specchi per commentare le conseguenze di una simile
situazione, che accumula gli effetti della scarsissima resa
e della dispersione scolastica: per una larga parte della
popolazione giovanile l’insuccesso educativo restringe
ogni possibilità di inserimento nella società. In pratica
può chiamare in causa “l’intero spettro di problemi
sociali connessi con l’emarginazione”, a cominciare
dalla difficoltà di trovar lavoro. Paradossalmente, lo
stato di piena occupazione che attualmente si registra in
Nuova Zelanda viene censito fra le cause della dispersione
scolastica: infatti la disponibilità di posti di lavoro
rappresenta di per sé un’attraente alternativa alla
scuola. Ma si tratta, in questa epoca sempre più marcata
dal possesso delle tecniche di informazione e comunicazione,
di un vantaggio illusorio, e limitato ai gradini più bassi
della scala professionale.
Un’altra
ragione dei prematuri abbandoni scolastici consiste
semplicemente nel fatto che i ragazzi hanno la sensazione di
perdere tempo, visto che non vedono a portata di mano le
necessarie qualificazioni atte all’inserimento nel mondo
del lavoro. Per questo è allo studio una riforma che
prevede il rilascio di un certificato di idoneità
articolato a seconda delle specifiche competenze
individuali. Uno strumento flessibile che potrebbe
incoraggiare molti a non mollare la scuola, ma che al tempo
stesso rischia, secondo i critici, di abbassare il livello
generale dell’istruzione.
Secondo
altri, del resto, la chiave per affrontare questa crisi sta
nell’affrontare l’altro tema, quello dei livelli di
alfabetizzazione. Di questo problema si è occupato il
parlamento di Wellington, raccomandando al sistema
scolastico uno sforzo per ottimizzare questo primario
compito educativo. La palla è dunque nel campo degli
specialisti: tocca a loro stabilire se valga la pena di
conservare l’approccio innovativo, che insegna le parole a
partire da immagini e significati, o se non sia invece il
caso di ripiegare sul sistema tradizionale, quello che
associava lettere e suoni. Probabilmente la formula giusta
consiste in un uso equilibrato dei due metodi, calibrato
sulle necessità dei singoli studenti. Fermo restando che,
indipendentemente dal tipo di didattica scelto e applicato,
la qualificazione e l’aggiornamento degli insegnanti è la
premessa di qualsiasi miglioramento possibile.
Il
problema di un adeguamento del sistema scolastico alle
esigenze dei singoli e della società nel suo insieme, nella
valutazione degli specialisti ma anche dell’opinione
pubblica, è ormai sentito come grave e impellente: come una
priorità nazionale, se non un’emergenza. La sua soluzione
richiederà investimenti di risorse anche finanziarie, ma il
governo di Wellington non esiti, invita l’editorialista di
The Press: infatti “la quantità di denaro
richiesta è sicuramente inferiore ai costi sociali di lungo
termine provocati dall’esclusione di tanti neozelandesi
dall’economia del futuro”.
f.s.
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