Una
prospettiva che fa discutere: di fronte alla carenza di
insegnanti bisognerà prima o poi ricorrere al contributo
di personale straniero - C'è chi alza la consueta barriera
nazional-sindacale, chi al contrario saluta la novità
come un segno dei tempi nuovi e ne attende un arricchimento
per la scuola italiana
A
giudicare dagli affollatissimi concorsi e dall'altissimo
rapporto docenti-allievi non si direbbe: ma non è molto
lontano il giorno in cui l'offerta nazionale di personale
insegnante sarà inferiore alla domanda che sale dalla scuola.
Come vogliono le leggi del mercato, bisognerà a quel punto
allargare l'offerta oltre le frontiere, in altre parole
importare insegnanti. Nel momento in cui i crescenti flussi
migratori provocano da una parte reazioni di rigetto, proposte
discriminatorie, richieste di rigide barriere, dall'altro
un'accesa discussione sui tempi, sui modi, sulle tecniche
di una integrazione comunque necessaria, la prospettiva
ha introdotto un nuovo capitolo di discussione. Insegnanti
stranieri? Ma non ci sono da sistemare, prima, moltitudini
di precari? Questa una fra le prime reazioni sindacali,
del tutto legittima ma non tale da intaccare il merito della
questione. Infatti la necessità di reclutare personale docente
all'estero si imporrà comunque, prima o poi, indipendentemente
dalla sorte dei precari che pure merita una doverosa attenzione.
Altra reazione polemica: ma gli insegnanti, non sono oggi
in soprannumero? E' vero, lo sono oggi: ma qui si parla
di domani, forse di dopodomani. La prospettiva è dunque
perfettamente realistica, e non è tempo perduto ragionarci
sopra.
Una
prima considerazione che si impone è che la futura importazione
di docenti si iscrive in una linea già ben nota. Un tempo
i lavoratori stranieri erano quasi esclusivamente minatori,
agricoltori, operai generici: si esportavano e si importavano
braccia piuttosto che cervelli. Oggi non più, un mercato
del lavoro senza frontiere ha ormai coinvolto i settori
più qualificati: alla carenza di personale nei paesi più
sviluppati si affianca infatti lo sviluppo tecnologico-educativo
di molti fra i componenti di quello che con espressione
assai datata si continua a chiamare Terzo Mondo. Per esempio
l'India, paese poverissimo eppure ricco di sapere e tecnologia,
dispone di un personale informatico assai qualificato, che
da qualche tempo ha cominciato ad affollare uffici e laboratori
negli Stati Uniti, in Gran Bretagna, in Germania. Non c'è
dunque nulla di strano nel fatto che questa tendenza si
allarghi ora al personale docente.
Del
resto non si vede perché davanti a classi sempre più multietniche
non ci dovrebbe essere anche in cattedra un multietnico
avvicendamento. Tutte le considerazioni che sono state fatte
a proposito dei benefici didattici, oltre che umani e civili,
che può comportare la presenza fra i banchi di bambini o
ragazzi stranieri, si possono applicare anche a una analoga
diversità che si manifesti dalla parte degli insegnanti.
Questa diversità che arricchisce non ha niente a che fare,
ovviamente, con la natura dei programmi scolastici: si parla
infatti di docenti stranieri in scuole italiane. Certo bisognerà
vigilare, come nel caso delle presenze straniere fra i banchi,
sulle eventuali insofferenze e intolleranze: difficile non
ricordare, di fronte alla prospettiva di un corpo docente
multinazionale, la pretesa manifestata qualche tempo fa
da parte dei dirigenti politici di una parte d'Italia scossa
da pulsioni secessioniste, Costoro volevano che si allontanassero
i maestri provenienti da altre parti del paese. Una pretesa
che estendeva dunque alla categoria degli insegnanti l'antico
motto del più vieto provincialismo italico: mogli e buoi
dei paesi tuoi…
C'è
anche un altro modo, più pessimistico, di leggere la novità
dei docenti d'importazione. Si può infatti pensare che questa
prospettiva rientri in un'altra tendenza consolidata, in
fondo complementare rispetto a quella considerata più sopra,
quella degli stranieri che coprono i posti di lavoro lasciati
volontariamente vacanti dagli italiani. Questo è un discorso
delicato, che investe il tema ben noto di una professione
docente che molti respingono perché ormai privata di ogni
prestigio sociale e di ogni attrattiva economica. In altri
termini: se in un futuro più o meno prossimo dovremo cercare
all'estero parte del corpo insegnante, sarà anche perché
non saremo riusciti a restituire alla professione pedagogica
la sua decaduta nobiltà. Al punto da affiancare questa attività
ai molti mestieri rifiutati dagli italiani e quindi occupati
dagli immigrati: dalla raccolta dei pomodori ai turni di
notte in fonderia. Una politica volta a ridare smalto alla
professione docente, del resto in se' necessaria per adeguare
la scuola alla sfida del nuovo secolo, potrebbe eliminare
questo aspetto della questione, riducendo il futuro ricorso
agli insegnanti stranieri a una dimensione fisiologica e
dunque meglio capace di superare le molte prevedibili resistenze.
f.l.
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