Nell’area
densamente urbanizzata attorno al capoluogo campano i dati
sul grado d’istruzione dei giovani di leva non
differiscono di molto dalla media delle tre province
coinvolte nell’indagine – Gli stimoli metropolitani
incidono soltanto marginalmente sul fenomeno: eppure il
riscatto della grande città implica necessariamente una
forte domanda di istruzione – Di qui l’attualità del
progetto Lapis-Centro D. Dolci
La
tabella che vedete qui a fianco riassume la carriera
scolastica di un campione di 1182 ragazzi napoletani sui 18
anni: quanti si sono presentati nel febbraio e nel maggio
scorsi alla visita di leva-selezione. Ci si attendeva che i
dati relativi a questa provincia, fortemente urbanizzata e
di fatto praticamente coincidente con l’area metropolitana
del capoluogo, differissero sensibilmente dalla media
riscontrata nelle tre province coinvolte nell’indagine,
visto che nelle altre due, Bari e Catanzaro, è
assai
più forte la componente rurale. Si registrano invece
differenze soltanto marginali. Come si vede nella tabella
l’8,9 per cento dei ragazzi napoletani dichiara di aver
concluso la propria esperienza scolastica con la quinta
elementare: questo dato è peggiore di quello complessivo,
visto che nelle tre province la percentuale scende al 7,7
per cento. Situazione migliore, al contrario, per quel che
riguarda gli studi superiori: infatti i diciottenni
napoletani che dichiarano di avere finito la scuola in terza
media sono il 49,6 per cento (dato medio 54,8), mentre quasi
il 40 per cento (contro il 36) indica “altre” classi.
Che queste “altre” classi debbano principalmente
intendersi le medie superiori, e che il gruppo comprenda
anche studi non ancora conclusi al momento dell’indagine,
è confermato dalle risposte ad altri quesiti. Rimane
naturalmente il fatto che si tratta comunque di livelli
insoddisfacenti, e che molto meno della metà della
popolazione maschile impegnata negli studi oltre l’obbligo
scolastico è un dato del tutto insufficiente ai bisogni di
una grande città in questo volgere di secolo, per non
parlare della specifica tradizione culturale di Napoli. Così
come è inadeguato a una realtà come quella napoletana il
disimpegno di troppe famiglie nei confronti della vita
scolastica dei figli: infatti le famiglie che non hanno
assistito i figli nell’impegno scolastico e non hanno
insistito per una regolare frequenza sono a Napoli
rispettivamente il 19,1 e il 20,7 per cento del totale (i
corrispondenti dati medi delle tre province sono un pochino
più bassi: 16,6 e 19,1 per cento).
E
veniamo alle abitudini di lettura. Anche qui lo stimolo
della grande città sembra non agire, se non in misura
minima. Si dichiarano lettori abituali il 57,9 per cento dei
ragazzi napoletani (contro il 56 della media
interprovinciale), ed è leggermente più praticato nella
metropoli campana il consumo giovanile di libri. Dicono di
leggere abitualmente libri il 20,4 dei ragazzi, un lieve
progresso rispetto al 17,1 per cento della media nelle tre
province. Ma si tratta pur sempre di un dato desolante,
della conferma che quattro giovani su cinque, e persino più
della metà di coloro che hanno proseguito gli studi oltre
l’obbligo, sono refrattari alla lettura di libri. Sono
addirittura meno della media, a Napoli, i giovani che
dichiarano di leggere giornali: il 25,7 per cento contro il
26,5 complessivo emerso dalla nostra indagine.
Tutto
questo non fa che confermare l’attualità e l’urgenza
del progetto elaborato dalla Lapis e dall’Associazione
Centro per lo sviluppo creativo “Danilo Dolci”. Si
tratta dell’iniziativa che abbiamo illustrato nel Foglio
Lapis numero 6 del giugno scorso: la creazione di una
scuola-laboratorio affiancata da un centro studi (che
saranno intitolati al maestro Alberto Manzi),
l’indimenticabile autore-animatore del programma
televisivo di alfabetizzazione “Non è mai troppo
tardi”) in cui verranno sperimentati e applicati criteri
didattici d’avanguardia. Il programma scientifico su cui
si fonderà l’iniziativa, che dobbiamo al prof. Antonino
Mangano dell’università di Messina, si propone di
affrontare i malesseri generati dalla “scuola
anacronistica” puntando su alcuni obiettivi di fondo:
lotta all’alienazione scolastica e alla dipendenza dai
modelli, apprendimento come processo di ricerca, promozione
della curiosità come metodo di ricerca, addestramento a
pensare in termini di interdipendenza.
s.f.
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La
nostra indagine
Questo
sondaggio è stato svolto attraverso la consegna di un
formulario contenente quattordici domande a ognuno dei
giovani che gli scorsi febbraio e maggio 1999 si sono
presentati alla visita di leva-selezione presso i gruppi
selettori di Napoli, Bari e Catanzaro. Il campione
complessivo è risultato di 3368 giovani, una parte
variabile dei quali ha ritenuto di non rispondere a
questa o quella domanda. I dati sono stati elaborati dal
Centro di sperimentazione e ricerca sull’immaginario
di Torino. Si tratta di risposte libere e volontarie, e
ovviamente non verificate per ragioni di riservatezza.
Questo ha determinato alcune incongruenze: per esempio
il numero di coloro che hanno dichiarato una frequenza
scolastica di meno di cinque anni è superiore al numero
di quanti si dicono sprovvisti di titolo di studio.
Questa e alcune altre contraddizioni si spiegano proprio
con la precaria condizione culturale rilevata
dall’indagine, forse anche con il timore di segnalare
all’autorità, nonostante la garanzia
dell’anonimato, comportamenti irregolari propri o
della propria famiglia. Al di là dei valori numerici,
che del resto sono implicitamente convalidati dalla loro
sostanziale omogeneità nelle tre province, i risultati
del sondaggio vanno comunque valutati come indicazioni
di tendenza e di stati d’animo, come un’istantanea
del modo di porsi dei diciottenni nei confronti della
loro esperienza scolastica.
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