FOGLIO LAPIS - OTTOBRE- 2024

 

Una fra le zone più isolate del pianeta, nel folto della foresta amazzonica, collegata alla Rete tramite Starlink. Uno choc bene accolto: mi raccomando non toglieteci Internet, dicono i Marubo

 

Il vero progresso è quello che mette la tecnologia nelle mani di tutti” è uno degli aforismi attribuiti ad Henry Ford e a cui, forse, si è ispirato il patron di “X” (ex Twitter) Elon Musk. Attraverso il lancio di seimila satelliti a bassa orbita e con l’ausilio del servizio Starlink ha collegato alla Rete zone remote della Terra, dal Sahara agli atolli del Pacifico. Da settembre 2023 fra i “beneficiari” la popolazione indigena dei Marubo, una tribù amazzonica stanziata in una delle zone più isolate del pianeta.

La comunità conta circa duemila elementi e da tempo abita in capanne sparse per centinaia di chilometri lungo il fiume Itui che si addentra nel cuore della foresta pluviale. Hanno rituali immutati da anni ed anni fra cui: prendono l’ayahuasca per connettersi con gli spiriti della foresta e intrappolano le scimmie ragno per tenerle come animali domestici o per prepararne zuppe. Possiedono una lingua propria ed alcuni villaggi richiedono anche una settimana per essere raggiunti. Il loro fiero isolamento ha permesso finora alla popolazione di preservare le proprie tradizioni ed il particolare stile di vita.

Se l’avvento del web ha portato con sé innegabili benefici quali la possibilità di accedere a contenuti globali, interagire a grandi distanza con i propri cari, chiedere aiuto in caso di necessità, poter usufruire di nuove opportunità educative e lavorative, etc. solo per citarne alcune. E’ anche vero che la repentina esposizione tecnologica, a cui sono stati esposti, ha avuto come contraltare l’indiscutibile rischio di erodere e stravolgere sedimentate radici culturali. Internet, salutato all’inizio come una meravigliosa novità, ha palesato nel giro di poco tempo l’altra faccia della medaglia, il proprio lato oscuro, le insidie che noi occidentali ben conosciamo e su cui continuiamo a riflettere.

Emblematico a tal riguardo è ciò che Tsainama Marubo, una settantatreenne del villaggio, confessa a Jack Nicas e Victor Moriyama, rispettivamente fotografo e cronista del New York Times: “si è aperto un mondo a noi sconosciuto, ma ora i giovani si sono impigriti e ora le cose sono peggiorate”. Molti ragazzi trascorrono gran parte del loro tempo davanti agli schermi, perdendo l’interesse per le tradizioni locali e i lavori comunitari. Abituati fin da piccoli a partecipare attivamente alla vita del villaggio, oggi sempre più giovani si dedicano a video su YouTube, giochi online o social media, spesso importando modelli di vita occidentali che sono distanti dalla loro cultura.

L’esposizione repentina ed improvvisa alle nuove tecnologie, senza un adeguato lavoro preparatorio, ha provocato un vero e proprio shock culturale ed emotivo con il risultato dell’insorgenza della "pigrizia digitale": i giovani preferiscono vivere in un mondo virtuale piuttosto che contribuire ai lavori tradizionali come la pesca, la caccia o l'agricoltura, che sono essenziali per la sussistenza della comunità. Questo, con l’andar del tempo. potrebbe portare a una graduale perdita di competenze e conoscenze ancestrali, tramandate di generazione in generazione, in nome di un presunto progresso, per giunta non richiesto.

Interrogati su come immaginano il proprio futuro la risposta ha dell’incredibile e, al contempo, dell’emblematico: “per favore non portateci via internet”.

                                                                Clemente Porreca  

 

 


                                                  

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