Una
fra le zone più isolate del pianeta, nel folto
della foresta amazzonica, collegata alla Rete tramite
Starlink. Uno choc bene accolto: mi raccomando non toglieteci
Internet, dicono i Marubo
“Il
vero progresso è quello che mette la tecnologia nelle
mani di tutti” è uno degli aforismi attribuiti
ad Henry Ford e a cui, forse, si è ispirato il patron
di “X” (ex Twitter) Elon Musk. Attraverso il
lancio di seimila satelliti a bassa orbita e con l’ausilio
del servizio Starlink ha collegato alla Rete zone remote
della Terra, dal Sahara agli atolli del Pacifico. Da settembre
2023 fra i “beneficiari” la popolazione indigena
dei Marubo, una tribù amazzonica stanziata in una
delle zone più isolate del pianeta.
La
comunità conta circa duemila elementi e da tempo
abita in capanne sparse per centinaia di chilometri lungo
il fiume Itui che si addentra nel cuore della foresta pluviale.
Hanno rituali immutati da anni ed anni fra cui: prendono
l’ayahuasca per connettersi con gli spiriti della
foresta e intrappolano le scimmie ragno per tenerle come
animali domestici o per prepararne zuppe. Possiedono una
lingua propria ed alcuni villaggi richiedono anche una settimana
per essere raggiunti. Il loro fiero isolamento ha permesso
finora alla popolazione di preservare le proprie tradizioni
ed il particolare stile di vita.
Se
l’avvento del web ha portato con sé innegabili
benefici quali la possibilità di accedere a contenuti
globali, interagire a grandi distanza con i propri cari,
chiedere aiuto in caso di necessità, poter usufruire
di nuove opportunità educative e lavorative, etc.
solo per citarne alcune. E’ anche vero che la repentina
esposizione tecnologica, a cui sono stati esposti, ha avuto
come contraltare l’indiscutibile rischio di erodere
e stravolgere sedimentate radici culturali. Internet, salutato
all’inizio come una meravigliosa novità, ha
palesato nel giro di poco tempo l’altra faccia della
medaglia, il proprio lato oscuro, le insidie che noi occidentali
ben conosciamo e su cui continuiamo a riflettere.
Emblematico
a tal riguardo è ciò che Tsainama Marubo,
una settantatreenne del villaggio, confessa a Jack Nicas
e Victor Moriyama, rispettivamente fotografo e cronista
del New York Times: “si è aperto un mondo a
noi sconosciuto, ma ora i giovani si sono impigriti e ora
le cose sono peggiorate”. Molti ragazzi trascorrono
gran parte del loro tempo davanti agli schermi, perdendo
l’interesse per le tradizioni locali e i lavori comunitari.
Abituati fin da piccoli a partecipare attivamente alla vita
del villaggio, oggi sempre più giovani si dedicano
a video su YouTube, giochi online o social media, spesso
importando modelli di vita occidentali che sono distanti
dalla loro cultura.
L’esposizione
repentina ed improvvisa alle nuove tecnologie, senza un
adeguato lavoro preparatorio, ha provocato un vero e proprio
shock culturale ed emotivo con il risultato dell’insorgenza
della "pigrizia digitale": i giovani preferiscono
vivere in un mondo virtuale piuttosto che contribuire ai
lavori tradizionali come la pesca, la caccia o l'agricoltura,
che sono essenziali per la sussistenza della comunità.
Questo, con l’andar del tempo. potrebbe portare a
una graduale perdita di competenze e conoscenze ancestrali,
tramandate di generazione in generazione, in nome di un
presunto progresso, per giunta non richiesto.
Interrogati
su come immaginano il proprio futuro la risposta ha dell’incredibile
e, al contempo, dell’emblematico: “per favore
non portateci via internet”.
Clemente
Porreca
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