La
partecipazione dei giovani italiani ai percorsi di formazione
tecnico-professionale è superiore alla media OCSE.
Ma questo non facilita l'accesso dei nostri diplomati
al mondo del lavoro. Come migliorare il sistema
In
un suo recente rapporto l'OCSE (Organizzazione per la cooperazione
e lo sviluppo economico, ne fanno parte 38 paesi fra i quali
l'intera Europa centro-occidentale) analizza la situazione
attuale nel campo dell'istruzione secondaria superiore,
con particolare riferimento alla formazione tecnico-professionale.
É particolarmente interessante stralciare da questo
studio i dati che si riferiscono all'Italia e metterli a
confronto con la media OCSE.
La
prima situazione che questo confronto mette a fuoco riguarda
il rapporto fra l'istruzione e l'acceso al mondo del lavoro.
La quota dei ragazzi italiani (fra i 15 e i 19 anni) che
ha accesso all'istruzione tecnico-professionale è
decisamente superiore a quella media dei trentotto paesi
OCSE, 40 per cento contro il 23. Eppure soltanto poco più
della metà, dunque molto meno che negli altri paesi
considerati, trova un impiego corrispondente agli studi
entro uno-due anni dal diploma.
La
spiegazione non può limitarsi alla congiuntura economica,
che si può considerare più o meno equivalente
nei trentotto paesi OCSE, va invece considerata all'interno
di una serie di criticità. Per esempio la quota di
NEET (ton in educati on, complemento ad training, che cioè
non lavorano né sono impegnati in processi di istruzione
e formazione), nell'insieme dell'OCSE raggiunge il 14 per
cento, mentre nel nostro paese, dove il dato viene misurati
su base regionale, sale dal 10 per cento del Trentino fino
al 40 della Sicilia.
Ma
il dato forse più significativo si riferisce alla
posizione della scuola nei pubblici bilanci. Nell'insieme
dei paesi raggruppati nell'OCSE le spese per l'istruzione
raggiungono il 5,1 per cento (dato del 2020), in Italia
non superano il 4,2 per cento. Quasi un punto percentuale
di differenza può sembrare poca cosa, corrisponde
invece a una quantità di risorse che se riversate
sulle necessità della scuola potrebbero migliorare
sensibilmente il sistema. Senza considerare che anche un
uso corretto dei finanziamenti disponibili potrebbe liberare
risorse.
Sarebbe
così possibile ancorare strettamente la formazione
tecnico-professionale all'esperienza personale nei luoghi
di produzione: in modo da rendere più concreto l'apprendimento
e da facilitare, dopo il diploma, l'accesso dei nostri giovani
al mondo del lavoro.
r.
f. l.
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