L'”ultimo
maestro”, ben noto ai lettori del Foglio Lapis,
si è fatto promotore di un'interessante iniziativa.
Spiega agli alunni di oggi la scuola del tempo che fu,
quella dei calamai e delle punizioni
Tutto
è cominciato all’inizio della scuola, a settembre.
Un’amica maestra che insegna presso la scuola elementare
“A.Saffi” di Cesena mi ha chiesto se potevo
fare un incontro con le sue due terze per parlare della
scuola di una volta, del tempo dei nonni. Avevo infatti
un duplice requisito: età dei nonni dei bambini e
maestro (ora in pensione) che ha dimestichezza coi piccoli.
Lì
per lì sono rimasto un po’ perplesso perché
non avevo materiale necessario: non potevo presentarmi a
mani vuote avvalendomi della sola parola.
Mi
è venuto in mente un amico, ex professore, che da
una vita reperisce oggetti del passato, soprattutto del
mondo contadino ormai estinto. E infatti l’amico,
appena ha saputo il mio obiettivo a favore dei bimbi di
scuola elementare, è stato subito disponibile e,
rovistando nel suo “museo” ha trovato quanto
poteva servirmi da mostrare ai piccoli scolari: una vecchia
cartella anni ‘50, una scarpa di duro cuoio col fondo
di legno e le brocche (bullette antiscivolo e anti…
usura!), abbecedari d’epoca, quaderni (piccoli, come
si usava in passato: il quadernone è arrivato negli
anni ‘80) scritti in bella grafia, rigorosamente con
pennino e inchiostro.
L’amico
mi ha pure rifornito di un repertorio di pennini che si
usavano fino agli anni ‘50 e i primi ‘60, dalle
più varie forme, dai più semplici ai più
sofisticati che ricordano una torre gotica. E cannucce,
su cui andavano innestati, assieme a un calamaio che stava
nel vecchio banco di legno a due posti, nell’apposito
foro. Ogni mattina il bidello passava a mettere inchiostro.
Lì si intingeva il pennino e si scriveva sulla bianca
pagina usando a mano a mano la carta assorbente per asciugare
e non fare sbavature. Spesso il pennino, troppo carico di
inchiostro, faceva cadere una goccia sul foglio provocando
una macchia che non si poteva cancellare! La maestra, pronta,
assestava uno schiaffo allo/a sventurato/a! Quante lacrime!
Con
tutto questo armamentario mi sono presentato all’appuntamento
con la prima scuola, la “A.Saffi” di Cesena.
Ho terminato il mio incontro con la prova tanto attesa della
scrittura: alunno per alunno veniva da me seguito per scrivere
(con quanta emozione!) il proprio nome col pennino. Pennino
che non funziona come la penna biro: bisogna tenere la cannuccia
inclinata in un certo modo, premere in maniera diversa.
Si accorgono che anche per scrivere ci vuole calma e pazienza.
Però il risultato poi appaga e vorrebbero continuare.
“Perché
non torni anche domani?” chiedono in diversi.
La maestra interviene spiegando: “Il maestro tornerà
più avanti… Deve andare anche in altre scuole”.
Il
pezzo forte dei miei interventi è il racconto delle
punizioni di una volta, quando si usavano le maniere forti:
dallo scappellotto allo schiaffo, dalla tirata di orecchi
ai colpi assestati con una bacchetta sulle mani. Fino alla
punizione delle punizioni: in ginocchio sui ceci o sui grani
di mais. A tal proposito mostro, con l’ausilio della
LIM, una foto in cui si vede una bambina sulle cui ginocchia,
appena sollevate dai ceci, si notano gli incavi sulla carne
a cui aderisce ancora qualche cece.
Bambini
dell’era digitale, abituati agli effetti speciali,
provano un brivido alla vista di questo orrido spettacolo.
A casa racconteranno quanto hanno visto e fatto con me,
ma sarà soprattutto la punizione dei ceci al centro
del loro interesse.
Un
altro pezzo forte su cui faccio leva per coinvolgere i piccoli
è un cappellino che certi chiamano il cappello della
vergogna: le orecchie d’asino! Una volta erano un
simbolo di vergogna, ora invece tutti le vogliono mettere
sulla testa e provare il piacere di essere mandati dietro
la… lavagna. Lavagna che però non c’è
più o quantomeno non sta più sui trespoli
ma appesa al muro, in castigo pure lei. E così si
pongono davanti a quella, rivolti alla classe, sorridenti.
“Non così” dico “bisogna stare
con le spalle alla classe, rivolti al muro. Faccia al muro.
E non ridendo ma vergognosi e con la testa bassa”.
Vedendo
che i bambini erano entusiasti del mio intervento, ho pensato
di estendere il Progetto ad altre scuole della Romagna che
lo desiderassero. Gratuitamente, s’intende. E così
è stato: dopo Cesena, S.Martino in Strada, Predappio,
Fiumana, S.Sofia, Galeata, Civitella, Cusercoli, S.Piero
in Bagno, Forlimpopoli, Forlì...
Le
richieste sono state finora numerose e a tutte ho aderito
con entusiasmo. Perchè per diventare maestro si impiega
una vita – questo è il mio motto - ma poi tale
si rimane anche dopo il pensionamento.
Tornare
a scuola, in classe, mi dà gioia, gratificato dalla
festosa accoglienza dei piccoli alunni. Esco dall’aula
con la soddisfazione di aver dato testimonianza di un passato
ormai così lontano dalle nuove generazioni.
Termino
con due simpatici commenti di due miei ex scolari di diversi
anni fa: Samuele e Saide. Alla vista di una foto scattata
nella classe 3a di Predappio, scrive Samuele: “Ciao
Maestro, guardando questa foto di te in classe, di fianco
alla LIM, mi è venuta un po’ di nostalgia,
bei ricordi… la nostra lavagna era vecchio stile,
però: più retrò”. Al che ho così
risposto: “Bei ricordi, Samuele. La nostra lavagna
era retrò, ma sopra ci lavoravo con creatività
che penso abbiate apprezzato…”. Invece Saide:
“Maestro, vedendola davanti alla lavagna, mi sono
immaginata lì nel banco e sono tornata indietro nel
tempo, per fortuna senza la lavagna LIM!”.
Chiaro
il senso: sarà anche utile la LIM, ma la vecchia
lavagna di ardesia racchiude la poesia del tempo, il fascino
della manualità e della creatività.
Maurizio
Boscherini
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