Dopo
l'interminabile periodo della pandemia, la scuola italiana
riprende il suo cammino con molte speranze e qualche superstite
timore. Non pochi studenti e docenti esprimono una preoccupazione:
si teme che le misure restrittive abbiano creato profonde
divisioni
Al
nuovo anno scolastico è affidato un obiettivo supplementare
accanto a quelli tradizionali di natura pedagogica: superare
finalmente il lunghissimo immobilismo determinato dalla
pandemia, dimenticare quella drammatica esperienza, rientrare
insomma nella normalità didattica. Non sarà
facile, perché ancora non è finita. É
vero che i dati ufficiali segnalano un vistoso arretramento
dei contagi e un altrettanto vistoso calo della gravità
e soprattutto della letalità. Ma è altrettanto
vero che all'insegna del “non dobbiamo abbassare la
guardia” si tende a conservare un approccio tutt'altro
che innovativo, a conservare alcune restrizioni, a insistere
quasi ossessivamente sulla necessità della vaccinazione
di massa, che non potendo essere obbligatoria viene perseguita
attraverso una restrizione di carattere generale, surrettiziamente
imposta con la necessità del certificato verde per
accedere a svariati servizi.
I
primi dati dopo l'avvio delle lezioni smentiscono certi
timori della vigilia: il ritorno a scuola non ha moltiplicato
i contagi. Dunque si va avanti, con un ricorso alla didattica
a distanza il più possibile limitato. L'esperienza
ha infatti dimostrato che la mancata compresenza dei docenti
e degli alunni, e soprattutto degli alunni fra di loro,
contraddice al bisogno naturale di socialità, particolarmente
sentito dai giovanissimi. Lezioni in presenza dunque, e
la didattica a distanza confinata alle situazioni di emergenza,
che fortunatamente sono sempre più rare.
Così
la scuola va avanti, in un'atmosfera di attesa attraversata
da qualche inquietudine e qualche eccesso di zelo che si
registra in ogni ordine di studi, dalla primaria all'università.
Come quello del docente che assegna tre punti in più
nel voto d'esame agli studenti regolarmente vaccinati. O
quello degli insegnanti nelle scuole secondarie che dopo
avere invitato i ragazzi vaccinati ad alzare la mano, creando
in questo modo una frattura nella classe, prima ancora psicologica
che sanitaria, dicono alla minoranza ormai segnata a dito
degli alunni con le mani abbassate che è meglio se
ne stiano a casa. A proposito di questi comportamenti c'è
chi parla di disumanizzazione, ed è difficile dargli
torto.
L'esperienza
pandemica ha determinato inoltre un relativo aggravamento
del fenomeno della dispersione scolastica. Questo è
accaduto anche in altri Paesi, per esempio in Francia come
riferisce il quotidiano Le Monde. Secondo dati forniti dal
ministero dell'Educazione nazionale, su un totale di dodici
milioni di studenti che affollano le scuola francesi 500
mila sembravano a rischio di dispersione nei primi mesi
delle chiusure. Successivamente la situazione è migliorata
e il fenomeno dispersivo è risultato in via di miglioramento:
ma non è certo scomparso. Intanto si è fatta
strada un'altra preoccupazione: la scuola indebolita dalla
pandemia ha accentuato le diseguaglianze fra gli studenti,
aggravando le conseguenze delle disagiate condizioni di
partenza per ragioni familiari o sociali. É lo stesso
allarme che risuona in Italia: come era naturale aspettarsi,
la didattica a distanza ha avuto conseguenze negative soprattutto
sugli alunni meno motivati, o su quelli che non potevano
disporre di validi aiuti in famiglia o di adeguate attrezzature
didattiche.
La
scuola della ripartenza dovrà farsi carico anche
di questo, rimuovendo l'ennesimo ostacolo sulla strada dell'eguaglianza
e rispettando quello che è forse il più importante
fra i suoi compiti, abbattere le barriere che separano i
nostri ragazzi per ragioni del tutto estranee alle loro
individualità. Le misure imposte dalla pandemia hanno
approfondito le divisioni di sempre rendendo ancora più
ardua la missione della scuola, che è chiamata a
superarle.
f.
s.
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