FOGLIO LAPIS - OTTOBRE - 2018

 
 

Nonostante i programmi, le promesse e l'ingente spesa a carico dei bilanci pubblici, il sistema educativo italiano continua a perdere colpi – Non soltanto per il fenomeno sempre impressionante della dispersione, ma anche per la condizioni degli edifici, che sono per il settanta per cento fuori norma – Come se non bastasse, perfino la gita scolastica può essere una pericolosa avventura

 

É partito il nuovo anno scolastico e come al solito la scuola italiana riflette amaramente su se stessa. Che cosa non va? Beh, un sacco di cose. Cominciamo dagli edifici che qualche settimana fa hanno accolto otto milioni e  mezzo di ragazzi, per il novanta per cento frequentatori di istituti statali, e circa un milione fra docenti, personale amministrativo e ausiliario. Di questi immobili, solamente meno di un terzo è in condizioni regolari secondo le norme di legge. Il settanta per cento dell'edilizia scolastica italiana, infatti, risulta fuori norma, e in questi tempi di bilanci ridotti all'osso non è certo la scuola fra le destinazioni prioritarie: infatti i fondi stanziati per ovviare a queste gravissime lacune attraverso ristrutturazioni o altri interventi straordinari sono drammaticamente insufficienti.

Se molti alunni devono seguire le lezioni in ambienti inadeguati (per esempio privi di strutture antisismiche in zone di frequenti terremoti), a volte il disagio persiste anche quando escono dall'aula. Per le gite scolastiche, ad esempio: secondo un rapporto della Polizia stradale dal controllo del 43 per cento dei mezzi impiegati a questo scopo sono emerse irregolarità più o meno gravi nel quindici per cento dei casi. A volte i mezzi avevano le gomme lisce, altre volte le cinture di sicurezza non funzionavano. Gli agenti hanno registrato persino alcuni casi di autisti alla guida con tassi alcolemici superiori alla soglia di tolleranza. Ve l'immaginate: un autista ubriaco alla guida di un autobus carico di ragazzi!

Ma veniamo alla sostanza delle missione educativa. Anche qui la situazione è deprimente. L'antico problema della dispersione scolastica è ben lungi dall'essere risolto. “La scuola ha un problema solo, i ragazzi che perde”, scriveva tanti anni fa Lorenzo Milani. In realtà ne ha molti altri, di problemi, ma quello denunciato dal priore di Barbiana è senz'altro il più grave. Secondo una recente inchiesta del settimanale L'Espresso, negli ultimi vent'anni sono stati tre milioni e mezzo i ragazzi che hanno abbandonato la scuola prima di concludere il ciclo primarie-secondarie. La cifra è impressionante, corrisponde a quasi un terzo di quanti dal 1995 a oggi hanno iniziato a frequentare la secondaria di secondo grado, le medie superiori per intenderci.

É appena il caso di notare quanto negativamente questo dato influisca sulle prospettive di crescita del Paese, che già si colloca nella parte bassa delle classifiche internazionali per numero di laureati. La dispersione infatti investe anche l'università, che dove approda all'incirca la metà dei diplomati, e dalla quale esce con la corona d'alloro all'incirca poco più della metà di coloro che si sono iscritti. Le conseguenze sociali di tutto questo sono ovvie. I dati sull'occupazione rivelano che c'è un rapporto proporzionale fra prospettive d'impiego e livello di studi: in altre parole chi è uscito dalla scuola anzitempo, come quei tre milioni e mezzo dispersi nell'ultimo ventennio, ha maggiori probabilità di restare disoccupato. Per il sistema Italia si tratta non soltanto di una missione incompiuta ma anche di un gigantesco spreco di risorse. Anche di carattere finanziario: le spese sostenute per formare quel numero sempre crescente di giovani che dopo la laurea se ne vanno a lavorare all'estero. Vogliamo tenerli con noi? Proviamo, per cominciare, a guarire i mali della scuola.

 

 

                                                          r. f. l. 
                                         
 

    


                                                  

 
 

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