- In
una notte
-
- ci
sono mille notti:
-
- «Le
Mille e una notte»…
-
- That is the question.
Se
è in testa “Remain”, Federico Rampini precipitevolissimevolmente
dall’America attesta:
NEW
YORK E LONDRA GEMELLE SENZA PAURA
Qui in America con il no a
Trump, in Europa con il sì alla UE, le grandi città sono sempre più
simili. Per il coraggio di puntare sul futuro
Per
noi newyorchesi una sola metropoli al mondo è paragonabile alla
nostra. Per dimensioni, varietà, vitalità culturale, ma anche per la
vocazione al business e alla finanza, Londra è “la gemella
rivale”. Qui in America non ci sono città così simili alla Grande
Mela: Los Angeles ha tanto sole, mare e cinema; San Francisco è
piccina, carina e hi-tech; Washington ruota attorno alla politica e
basta.
Ora
emerge un’altra somiglianza. Londra ha votato per rimanere
nell’Unione europea. Non ha mai condiviso gli slogan anti-immigrati
della campagna Brexit. New York è una delle città meno razziste
d’America, non è qui che Donald Trump può fare il pieno di voti
promettendo di espellere 11 milioni di immigrati. Il paragone ha un
valore più generale. Analizzando la mappa del voto Brexit in Gran
Bretagna, e le roccaforti del consenso a Trump negli Stati Uniti,
emerge questo dato: dove ci sono più immigrati, lì fanno meno paura.
Le sacche del risentimento e della xenofobia sono situate in
un’America profonda che di stranieri ne ha relativamente pochi. Qui
a New York ma anche a San Francisco e Los Angeles, metropoli
multietniche dove noi bianchi siamo ormai minoranza (40% i bianchi
definiti “caucasici”, di origini europee, esclusi cioè i latinos),
i flussi migratori non provocano reazioni di rigetto.
Le
spiegazioni? La prima è semplice: noi che ne abbiamo così tanti,
sappiamo apprezzare il ruolo benefico degli immigrati. Sappiamo che
l’economia di New York o di Londra si fermerebbero senza di loro:
dai ristoranti agli alberghi, dall’edilizia agli ospedali. Camerieri
o fattorini, scienziati o medici, gli stranieri ci circondano dalla
mattina alla sera, è assurdo pensare di sopravvivere senza di loro.
Abbiamo anche la dimostrazione −
almeno qui a New York di cui posso parlare con certezza −
che l’aumento degli immigrati non fa salire la criminalità. La
Grande Mela ne ha assorbiti un milione in più nell’ultimo decennio,
e i reati hanno continuato a scendere: vivo in una città più
multietnica e al tempo stesso più sicura di vent’anni fa. Dunque,
se li conosci davvero, ti fanno meno paura. New York e Londra hanno
elaborato un “software” della convivenza civile, un capitale
sociale che fluidifica l’integrazione e riduce il potenziale
minaccioso dell’“invasione straniera”.
Una
variante di questa spiegazione allarga lo sguardo alla storia. New
York stratifica generazioni successive di immigrati. Un ruolo
importante lo ebbero gli ebrei, accorsi qui perché la Germania li
sterminava e l’Europa non li voleva. La comunità ebraica, anche
dopo essersi integrata, affermata sia in termini di potere che di
successo economico, non dimentica le proprie origini e il passato. Una
delle ragioni per cui New York è politicamente a sinistra, molto
liberal, sta nell’orientamento della sua componente jewish: respinge
la xenofobia anche quando le vittime sono gli altri. Un riflesso
simile si è verificato più di recente con gli asiatici. Pur essendo
mediamente ricchi (il loro reddito è superiore a quello dei bianchi)
gli “asian-american” nel 2012 votarono per Barack Obama con
percentuali altissime, paragonabili ai neri. Nel caso degli asiatici
la ragione è la stessa che per la comunità ebraica: anche se oggi
stanno bene, non vogliono dimenticare un passato in cui gli
“indesiderati” erano loro.
Come
spiegare invece il successo di Brexit nella provincia inglese, o di
Trump in certe aree degli Stati Uniti che sono ancora molto bianche?
Una ragione è semplice. “Quelli” non vogliono diventare più
simili a New York e Londra. I provinciali che affluiscono qui in
vacanza e passeggiano coi naso all’insù fra Times Square e il nuovo
World Trade Center, vanno la sera a un musical di Broadway, girano in
bici a Central Park, se ne tornano a casa loro come se fossero stati
in un Paese straniero: divertiti dall’esperienza, ma contenti di
ritrovare le loro certezze, le loro sicurezze, i luoghi e i volti
familiari. Il caos newyorchese li diverte come un giro sulle montagne
russe, ma non hanno nessuna voglia di viverci, sulle montagne russe.
La “seconda transizione demografica”, com’è stato definito
l’impatto trasformativo delle nuove migrazioni, la vogliono tenere
lontana da casa loro.
Magari
fosse andata così! Ma la fantastica è anche una realistica che
potrebbe lacerare il continente con disuguaglianze e conflitti
destinate ad essere regolate dalla Legge di Cameron:
“Se preparato con la
dovuta incoscienza, lo scenario peggiore trova sempre il modo di
diventare realtà”.
E
fu “Brexit”.
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