FOGLIO LAPIS - OTTOBRE - 2016

 
 

In Italia il tasso di natalità è da anni in continuo calo – Nel 2015 raggiunto il minimo storico: otto nascite ogni mille abitanti – Nel confronto internazionale, fra i Paesi maggiori soltanto in Giappone si registra un dato inferiore – Nascite in calo nell'intera Europa, mentre in Africa una demografia galoppante ha triplicato in mezzo secolo la popolazione complessiva – Ripercussioni sulla scuola e sul fenomeno migratorio

 

Nel nostro Paese nascono ogni anno otto bambini ogni mille abitanti: con questo dato registrato nel 2015 è stato raggiunto il minimo storico nel secolo e mezzo di storia demografica dell'Italia unita. Tanto per offrire un termine di paragone: in alcuni Paesi africani il tasso di natalità è attorno al cinquanta per mille, oltre sei volte il dato italiano. Se si considera che il nostro andamento demografico è più o meno simile a quello della maggior parte dei Paesi europei (dove la sola Irlanda registra un tasso decisamente superiore, oltre il 15 per mille), e che l'intero continente africano è caratterizzato da una natalità galoppante, si vede con chiarezza una delle cause principali dei flussi crescenti di migranti che cercano con ogni mezzo di passare dall'Africa all'Europa. É come un sistema di vasi comunicanti: da una parte una popolazione in vertiginosa crescita (gli africani erano trecento milioni mezzo secolo fa, ora hanno largamente superato il miliardo) in condizioni medie economicamente precarie, dall'altra Paesi relativamente prosperi con demografia declinante.

Fatto sta che il dato demografico italiano lascia intravvedere in prospettiva, se non sarà corretto, un progressivo calo della popolazione, un calo che sarà necessariamente compensato dall'apporto dei migranti. Il governo di Roma cerca di affrontare questa ennesima emergenza ma la sua recente campagna, culminata in una giornata d'informazione e formazione sulla fertilità umana (fertility day, come è stata battezzata con il solito provinciale ricorso all'inglese), ha suscitato non poche polemiche. Non soltanto per la caduta di gusto di alcuni manifesti, in cui alla faccia del “politicamente corretto” si contrapponevano felici famigliole dai connotati europei e gruppi etnicamente diversi dediti alla droga, ma anche per la strategia comunicativa nel suo insieme. Ha infatti poco senso, questa la critica prevalente, invitare gli italiani a fare più figli, quando invece si tratta di rimuovere le cause che li dissuadono dal prendersi una simile responsabilità. Cioè le incertezze dell'economia e del lavoro, la mancanza di interventi specifici per chi mette al mondo dei bambini,la carenza di strutture di accoglienza per i neonati, e così via.

Il decremento demografico ha ovvie ripercussioni sul sistema educativo. Negli ultimi vent'anni il numero di alunni del primo ciclo è calato di oltre il tre per cento. Questo il dato nazionale, che però è la risultante di tendenze geograficamente molto differenziate. Il calo è infatti molto marcato nelle regioni meridionali, dove supera il venti per cento, mentre al centro e soprattutto al nord si registra al contrario un incremento, che nelle regioni nordoccidentali raggiunge addirittura il 18 per cento. Al di là delle cause strettamente economiche, questa differenza è dovuta anche al fatto che le comunità straniere, più folte al centro-nord, hanno tassi di natalità più alti, influendo decisamente sulle frequentazioni scolastiche.

Campagne d'incoraggiamento alla procreazione si svolgono in molti Paesi, ma sono generalmente accompagnate da concrete misure di carattere fiscale e assistenziale che rendono tutto più facile. É il caso della Francia, per esempio, dove una tendenza alla denatalità simile alla nostra è stata corretta con provvedimenti politici, tanto che la popolazione non solo si è assicurata il necessario ricambio ma ha ripreso a crescere. Storicamente i regimi autoritari sono stati in prima fila nelle politiche demografiche. Come il fascismo in Italia, che all'insegna del motto “se le culle sono vuote la nazione invecchia e decade” promosse attraverso benefici fiscali e istituzioni come l'Opera nazionale maternità e infanzia una strategia che portò a un deciso incremento delle nascite. Per tacere della famosa tassa sul celibato, che agiva a monte del fenomeno riproduttivo, colpendo pesantemente chiunque non se la sentisse di metter su famiglia.

Certo complica le cose anche questo precedente, che porta con sé la tendenza a identificare con l'autoritarismo qualsiasi campagna per la natalità. Esattamente come il concetto di patria, che dall'uso che ne fece il regime fascista fu screditato al punto di finire avvolto in una sorta di verecondo pudore, anche l'invito a riempire le culle è come condizionato da questo marchio. Sarebbe ora di superare simili pregiudizi, e operare concretamente per determinare un contesto favorevole ad assicurare al futuro un solido sviluppo demografico che non dipenda soltanto dall'apporto degli stranieri.

   

 

                                                          f. s. 
                                         

    


                                                  

 
 

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