FOGLIO LAPIS - OTTOBRE - 2016

 
 

Disturbi psichici di varia natura sono frequentissimi nelle popolazioni carcerarie di molti Paesi – Due modalità per la terapia psicologica e psichiatrica in questo contesto ambientale – L'importanza della musicoterapia, che per esempio permette di tenere sotto controllo gli impulsi attraverso l'improvvisazione – E addirittura apre la strada alla possibilità di elaborare psicologicamente il reato per il quale si sta scontando la detenzione

 

Secondo le statistiche, il 56% dei carcerati statunitensi presenta sintomi di disturbo mentale o è già stato trattato per disturbi psichici in passato. Manie, depressioni e sintomi psicotici sarebbero i disturbi più diffusi. In Cina tra il 49% e il 71% dei carcerati uomini è affetto da un disturbo della personalità, mentre in Norvegia è il 48% dei detenuti ad aver ricevuto nella propria vita almeno un trattamento per il ripristino della sanità mentale (il 95% come conseguenza di una tossicodipendenza).  Sono molti quelli che soffrono di paranoia, tendenza al suicidio e all’isolamento.

Sono pochi i criminali che finiscono nei reparti di psichiatria forense, gli altri, nelle carceri normali, hanno disturbi mentali che rimangono non diagnosticati o che non presentano sintomi sufficienti per essere classificati come malattie. Siamo comunque davanti a disturbi che hanno bisogno di considerazione e trattamento.

Ci sono due correnti principali circa l’obiettivo della terapia psicologica o psichiatrica in contesto forense. La prima, sviluppata da Andrews e Bonta nel 1990, è quella del modello “RNR”, che ha come scopo principale la riduzione del rischio di recidività dell’atto criminale. I fattori di rischio principali, che la terapia dovrebbe occuparsi di ridurre, sono l’atteggiamento antisociale, la tossicodipendenza e i problemi nel controllo degli impulsi. La seconda corrente, la “GLM” (Good Lives Model), sviluppata da Ward nel 2002, vede come obiettivo della terapia con i criminali il ripristino della loro salute e stabilità mentale e del loro benessere generale, cosa che non può che influire positivamente anche sul comportamento sociale e quindi ridurre il rischio di recidiva.

In questa ottica risultano rilevanti i risultati delle analisi di Cohen (1987), Thaut (1989) e Moss (2004), che elencano tra i risultati della musicoterapia con i carcerati elementi quali lo sviluppo della capacità decisionale e di autodeterminazione, il miglioramento dell’autocontrollo, della capacità di rilassarsi autonomamente e del classificare e portare ad espressione le proprie sensazioni. Abbiamo già menzionato come i detenuti con disturbi psichici presentino spesso problemi di controllo e gestione degli impulsi e l’utilità della musicoterapia in questo contesto è indiscussa. L’improvvisazione musicale, per esempio, non è altro che la gestione e materializzazione fisica degli impulsi.

Un altro problema diffuso, specie dopo un lungo soggiorno in una struttura carceraria, è quello delle percezioni olfattive, tattili, gustative e uditive. Il fatto di essere sottoposti a relativamente pochi stimoli sensibili, o se non altro a stimoli piuttosto monotoni, comporta lo sviluppo di disturbi percettivi veri e propri, che a loro volta rischiano di incoraggiare nel detenuto uno stato di alienazione che potrebbe creargli grossi disagi una volta uscito di prigione. Dickinson, Miller e Adams (2013) descrivono quanto la musicoterapia sia utile nel ripristinare un collegamento cosciente tra i pensieri, le emozioni e le sensazioni fisiche.

La carenza di empatia porta all’aggressività, questo un principio riconosciuto dalla comunità scientifica che si occupa di psicologia forense. Come ci raccontano alcune delle carcerate stesse che hanno partecipato ad un progetto di musicoterapia nel carcere americano “Edna Mahan”, nel New Jersey, l’attività musicale (in questo caso di gruppo) è stata in grado di far sì che uscissero dall’isolamento e che iniziassero a comunicare tra loro, ad esprimere e a vivere i propri sentimenti e a dare loro una forma. Risultati di questo tipo chiaramente aprono la strada per affrontare l’elaborazione psicologica del reato effettuato, altro grande obiettivo della terapia forense.     

 

                                                          Laura Venturi 
                                         

    


                                                  

 
 

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