Una
direttiva del ministro dell'istruzione invita le
università giapponesi a ridurre o sopprimere i
dipartimenti umanistici e di scienze sociali, e riservare
un ruolo centrale alle discipline scientifiche e
tecnologiche – Le proteste dal mondo accademico e da
molti cittadini – Il dibattito richiama la celebre
denuncia che Charles Snow affidò oltre mezzo secolo fa al
suo saggio sulle “due culture” - L'errore di
sottovalutare l'intima coesione del sapere
Era
il 1959 quando uno studioso inglese, Charles P. Snow,
pubblicò il suo celebre saggio “Le due culture”. Vi
sosteneva una tesi molto semplice: a differenza da altre
epoche del pensiero, fra il sapere umanistico e quello
scientifico si va approfondendo un baratro. E questo porta a
un impoverimento generale, con scienziati che ignorano
Shakespeare e letterati che non sanno nulla di Newton, gli
uni separati dagli altri da un sottile reciproco disprezzo.
Sulla scia del libro di Snow si aprì un dibattito che
spaziava dalla nostalgia del buon tempo antico, quando tutti
i saperi confluivano nell'ideale di una conoscenza
universale e personaggi come Dante o Leonardo sapevano
destreggiarsi fra arte e scienza, alla difesa della
specializzazione imposta dal progresso scientifico e
tecnologico. In appoggio a quest'ultimo punto di vista si
poneva l'accento sul concetto di utilità: sapere ciò che
serve, insegnare e imparare ciò che serve. Già, ma proprio
questo è il punto: che cosa è ciò che serve?
Questo
tema così controverso è rilanciato da un'iniziativa del
governo giapponese. I responsabili delle università
nazionali hanno ricevuto lo scorso mese di giugno una
direttiva del ministro dell'istruzione con cui vengono
invitati a sopprimere i dipartimenti consacrati agli studi
umanistici e alle scienze sociali, o a mutarne i programmi
verso discipline “di maggiore utilità”. In un Giappone
che fatica a risollevarsi da una lunga crisi economica e
finanziaria, la mossa governativa è stata vista come un
tentativo di tagliare le spese dell'istruzione superiore,
indirizzando la formazione verso obiettivi di immediata
resa, che si ravvisano evidentemente nel primato delle
discipline scientifiche e tecnologiche. Ma è proprio questo
uno dei punti più dibattuti, accanto alla difesa della
straordinaria tradizione umanistica del Giappone. “La
cattiva abitudine di valutare l'apprendimento accademico in
termini di utilità è ancora viva nel nostro paese”. Così
Takamitsu Sawa, rettore dell'università della
prefettura di Shiga, in un articolo pubblicato dal
quotidiano The Japan Times.
Il
professor Sawa ricorda certi precedenti, per esempio negli
anni Sessanta del Novecento il governo d Tokyo annunciò il
proposito di confinare gli studi umanistici e le scienze
sociali nelle sole università private. Ancor prima, durante
la seconda guerra mondiale, gli studenti di scienze naturali
e ingegneria venivano esonerati dalla coscrizione, si
mandavano invece preferibilmente al fronte quelli che
studiavano lettere, arte e scienze sociali, evidentemente
considerati una perdita meglio tollerabile per il paese.
Eppure, fa notare Sawa, la maggior parte dei giapponesi ai
vertici della politica, della burocrazia e dell'economia ha
una formazione umanistica, che ha loro garantito spirito
critico e capacità di pensiero, giudizio ed espressione. Lo
spirito critico, aggiunge, è alla base delle società
democratiche, e liberali, mentre la sua mancanza favorisce
le derive totalitarie. Inoltre guardiamoci attorno, conclude
Sawa: le prime università del mondo, come Oxford,
Cambridge, Stanford e Harvard, si guardano bene dal
confinare in un ghetto le discipline classiche.
Critiche alla mossa governativa provengono anche dal
mondo produttivo, che pure dovrebbe essere il beneficiario
dell'iniziativa: la componente umanistica nella formazione
dei manager è importante, fa sapere un responsabile
dell'industria nipponica. “Armonia fra scienza e
umanesimo”: è quanto chiede Hiroshi Noro, un lettore del Japan
Times. E ricorda una personale esperienza, una malattia
che lo portò in ospedale. Se sono guarito e tornato
rapidamente a una vita normale è stato non soltanto grazie
all'abilità tecnica di chi mi ha curato, ma anche per il
calore comunicativo dei medici e delle infermiere. Quel
personale opera a un livello così eccellente, a parere di
Noro, perché nella sua formazione ha avuto un ruolo,
accanto alle discipline scientifiche, una giusta dose di
studi umanistici. Come sosteneva Snow oltre sessantacinque
anni or sono, bisogna ristabilire un rapporto virtuoso fra i
saperi. Ma i tempi non sembrano propizi al riguardo: dalle
nostre parti per esempio si preferisce limitare, fin quasi a
farlo scomparire, l'insegnamento del latino, sulla base
della grossolana spiegazione che trattandosi di una lingua
morta non serve a niente. Accenti analoghi in Spagna, dove
si riduce ai minimi termini l'insegnamento della filosofia.
- f.
s.
-
|