Si
tratta di uno dei punti più controversi della “buona
scuola” - La regolarizzazione di circa novantamila
insegnanti, finora titolari di contratti a tempo
determinato – Ma tutti gli altri alla scadenza di
trentasei mesi non potranno più rinnovare il rapporto –
Tutto questo non corregge affatto uno dei difetti della
scuola italiana, le carenze degli organici – Una volta
ancora si conferma che l'istruzione ha bisogno di maggiore
attenzione e più investimenti
Uno dei
tormentoni che hanno accompagnato il percorso della legge
107/15 è stato l’immissione in ruolo di 150.000 docenti,
in realtà poco più di 148.000, poi divenuti 138.000, poi
102.701, oggi ancora a quota 90.000 circa.
Pur plaudendo l’operazione, occorre precisare che non si tratta di
nuovi posti ma della stabilizzazione di personale che da
anni lavora nella scuola, che il piano straordinario di
immissioni in ruolo è anche conseguenza del pronunciamento
della Corte di Giustizia Europea, avvenuto a novembre
scorso, in cui si ribadiva che non era possibile reiterare
contratti a tempo determinato oltre i 36 mesi ma che questi
andavano trasformati in contratti a tempo indeterminato. I
ricorsi degli insegnanti per vedersi riconosciuto questo
diritto si sono decuplicati, tant’è che nella L. 107/15
è stato “… istituito
un fondo per i pagamenti in esecuzione di provvedimenti
giurisdizionali aventi ad oggetto il risarcimento dei danni
conseguenti alla reiterazione di contratti a termine per una
durata complessiva superiore a trentasei mesi,…”.
Paradossale
è invece la soluzione che la legge ha dato al problema
della stabilizzazione: “A decorrere dal 1º settembre 2016, i contratti di lavoro a tempo
determinato stipulati con il personale docente, educativo,
amministrativo, tecnico e ausiliario presso le istituzioni
scolastiche ed educative statali, per la copertura di posti
vacanti e disponibili, non possono superare la durata
complessiva di trentasei mesi, anche non continuativi.” In
questo modo chi non riuscirà ad essere immesso in ruolo
nell’arco del triennio, non avrà altra scelta che
cambiare lavoro perché non gli sarà data più
l’opportunità di avere incarichi a tempo determinato
nella scuola.
I numeri
dell’ organico non sono cambiati, rispetto a quello
determinatosi in seguito ai tagli di circa 143.000 posti
fatti dalla c.d. “riforma” Gelmini, e con esso le
criticità della scuola.
Sempre più
spesso, quando è assente un insegnante, assistiamo:
·
alla distribuzione degli alunni in altre classi;
all’utilizzo di insegnanti di sostegno, nelle
secondarie di secondo grado questo fenomeno è esteso anche
agli Insegnanti Tecnico Pratici che sono in compresenza nei
laboratori con i docenti teorici;
·
all’utilizzo dei collaboratori scolastici a fare
vigilanza per intere ore.
È superfluo
dire le responsabilità a cui vanno incontro gli insegnanti,
i collaboratori scolastici e lo stesso Dirigente scolastico
e/o quantificare il danno arrecato alla didattica.
Da molti
anni la carenza di organico nella scuola è cronica e in
questa legge anche se non compare la parola taglio, di fatto
questo avviene, quando nelle Regioni con un incremento
considerevole di nuove iscrizioni di alunni, in qualche caso
oltre 3000, senza che questo dia luogo ad un incremento
proporzionale di organico, l’effetto prodotto è identico
ad un taglio di posti di pari numero.
In una
situazione analoga, se non peggiore, è il personale ATA. La
legge di stabilità 2015 ha tradotto il concetto di
modernizzazione e digitalizzazione contenuto nel documento
“La Buona Scuola”, da cui ne derivava un minore bisogno
di assistenti amministrativi, in un taglio di 2020 posti di
personale ATA e alla non attribuzione di supplenze brevi
agli assistenti amministrativi nelle scuole con più di 3
unità in organico di diritto e ai collaboratori scolastici
per i primi 7 giorni di assenza.
Non è
difficile immaginare la difficoltà in cui si troveranno le
scuole, in particolare quelle istituzioni scolastiche con
tanti plessi in cui già da tempo al mattino è
l’insegnante ad aprire la scuola e l’unico collaboratore
scolastico la chiude.
Un accenno
va fatto anche ai CPIA (Istruzione degli Adulti), istituiti
con DPR 263/12 e che dal 1 settembre 2015 hanno trasformato
i precedenti CTP, dipendenti da Direzioni Didattiche o
scuola secondarie di I grado, in istituzioni scolastiche
autonome. Questo passaggio ha comportato problemi
nell’assegnazione dei locali da parte dell’Ente locale
alle nuove istituzioni scolastiche; difficoltà nel
passaggio dei beni e attrezzature dai vecchi CTP ai nuovi
CPIA e, naturalmente, complicazioni per l’adeguamento
dell’organico a fronte della complessità di queste
istituzioni. Questa è solo una parte della realtà che le
scuole sono chiamate ad affrontare ogni giorno.
È innegabile
che questa legge rappresenta una inversione di tendenza con
quanto fatto finora dai precedenti governi ma è altrettanto
indispensabile prevedere delle soluzioni alla precarietà
del personale e mettere le basi per il rinnovo del
contratto, un passaggio importante in quanto dovrà recepire
le norme che in questi anni sono state emanate e
senz’altro diventerà la linea di demarcazione tra il
vecchio e il nuovo modo di intendere la scuola.
Su una cosa penso si possa
essere d'accordo ed è che la scuola italiana necessita di
maggior attenzione che va tradotta in maggiori investimenti.
- Alessandro
Di Giorgio
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