Una
volta il telefono portatile era severamente vietato in
classe, ma da qualche tempo in molte scuole degli Stati
Uniti se ne è scoperta la grande utilità per
l'insegnamento – Ora il programma BYOD (bring your
own device: porta il tuo dispositivo) si va
diffondendo a macchia d'olio – I ragazzi ne sono
entusiasti, così come la maggior parte dei docenti e dei
genitori – Ma c'è anche chi teme alcune
controindicazioni: pericolo di distrazioni e
diseguaglianze
Si
fa un gran parlare di digitalizzazione della scuola, e non
ci sono dubbi sul fatto che la tecnologia, se
appropriatamente usata, può costituire un elemento
utilissimo all'insegnamento-apprendimento. Anche la riforma
della scuola recentemente annunciata dal governo italiano,
di cui si parla in altra parte di questo giornale, contiene
la promessa di una sempre maggiore dotazione di strumenti
informatici per le classi. Negli Stati Uniti a questa
strategia, che rimane irrinunciabile, se ne affianca da
qualche tempo un'altra: utilizzare i dispositivi di proprietà
dei ragazzi. Partito dalle scuole di Fairfax, una piccola
città della Virginia, il sistema si va allargando a macchia
d'olio negli altri stati dell'Unione. La sua sigla è BYOD (bring
your own device, porta con te il tuo
apparecchio), ed è decisamente innovativo rispetto al
passato, quando il telefono portatile doveva restare fuori
dalla classe.
Oggi
che quasi tutti i ragazzi si trastullano con dispositivi
come gli iPhone o gli smart, apparecchi che non si limitano
ai collegamenti telefonici ma permettono l'accesso a
internet e si configurano come veri e propri strumenti
informatici, si è pensato che tanto vale usarli anche a
scopo didattico. Le prime esperienze a Fairfax e altrove,
informa il Washington Post, hanno confermato che
l'intuizione era azzeccata. I ragazzi ne sono entusiasti,
l'idea di poter condurre una ricerca sul proprio
“telefonino”, o di poterlo usare per documentare uno
studio con disegni, fotografie o citazioni, è per loro
davvero elettrizzante. Tanto più che i giovani amano
mostrare la propria perizia nell'usare strumenti
informatici, e il fatto di poterlo fare sul proprio
apparecchio è particolarmente appagante. Inoltre i
risultati del lavoro fatto in classe rimangono in memoria e
dunque si possono portare a casa, rivedere, elaborare.
L'innovazione
piace anche alla maggior parte dei docenti, soprattutto ai
più giovani. Il Post cita una di loro, Grace
Romanelli, insegnante di scienze, che ha appassionato i suoi
allievi con la ricostruzione nei loro cellulari, attraverso
una ricerca fatta di testo, immagini ferme e in movimento,
del microscopio e del suo funzionamento. Sempre più
sofisticati, ricchi di applicazioni, in grado di fotografare
e riprendere in video, dotati di memorie sempre più capaci,
i dispositivi portatili assomigliano sempre più a veri e
propri computer e vanno persino oltre, si prestano dunque
come ausilio didattico per l'intera gamma delle materie
d'insegnamento.
Anche
i genitori accolgono con prevalente favore questa
innovazione. Ma non manca chi esprime qualche riserva. Per
esempio sul necessario controllo, perché avere in mano il
cellulare senza che nessuno verifichi l'uso che se ne fa può
anche rappresentare una forma di distrazione, e in questo
caso l'effetto sarebbe l'esatto opposto di ciò che si vuole
perseguire. Un'altra riserva riguarda i problemi connessi
con la qualità dei dispositivi, da quelli più evoluti e
dunque costosi a quelli più a buon mercato: una diversità
che potrebbe alimentare gelosie e una pericolosa “invidia
sociale”. C'è infine la possibilità che qualche allievo
possa essere privo di questa dotazione personale: i fautori
dell'iniziativa replicano che in questo caso tocca ai
docenti colmare la lacuna e ripristinare l'eguaglianza fra i
banchi attingendo alle risorse tecnologiche dell'istituto.
Intanto il programma BYOD dilaga, accompagnato
dall'entusiasmo dei ragazzi che vedono per così dire
ufficializzato l'uso dei loro adorati cellulari.
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r. f. l.
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