La
terapia attraverso i suoni ha una storia antica,
affondando le radici addirittura nell'epoca dei Sumeri –
Nell'età romantica il ricorso alla musica si sposta
dall'ambito prettamente medico a quello psicoterapeutico,
poi si allarga sul versante pedagogico – I due approcci,
ricettivo e attivo, con i quali è possibile accostarsi
alla musicoterapia – Preziosa in particolare per curare
i disturbi che comportano una “chiusura” generale
dell'individuo
Già
presso la
civiltà sumera si componevano melodie sacre con lo scopo di
guarire i malati e le prime pagine di estetica musicale,
scritte dai classici, parlano del potere della musica di
ripristinare armonia nel corpo e nella mente. In epoca
medievale e fino al 1550 la musica era una delle materie
comunemente studiate nell’ambito accademico medico.
Durante il Rinascimento viene studiato il rapporto della
musica con gli affetti umani ed il suo potere
regolarizzante, del sangue e del funzionamento organico in
genere. In epoca romantica la musicoterapia scompare dalle
discipline prettamente mediche per spostarsi in ambito
psicoterapeutico.
Dal
XX secolo la musicoterapia viene sfruttata anche in ambito
pedagogico, per incoraggiare i bambini nel processo
espressivo e/o per favorirne l’apertura e la coesione
sociale. Sono stati riscontrati molti risultati positivi nel
trattamento dei disturbi dell’apprendimento o di quelli
linguistici, per esempio portando bambini che avessero un
blocco dell’espressività verbale ad esprimersi e ad
instaurare un dialogo sonoro, sciogliendo così il nodo che
li costringeva ad un totale rifiuto della “parola”.
Altro
aspetto dell’utilizzo della musicoterapia in ambito
pedagogico è quello di gruppo. Secondo uno studio condotto
da Hans Guenther Bastian con il supporto dell’Università
di Francoforte, le classi alle quali erano stati offerti più
stimoli ed insegnamenti musicali presentavano minori
difficoltà nella concentrazione ed una più salda coesione
sociale.
La
musicoterapia può essere esercitata principalmente secondo
due approcci: quello ricettivo e quello attivo.
L’approccio ricettivo, un tempo detto “passivo”, non
prevede alcuna partecipazione del cliente all’evento
sonoro, che questi si limiterà ad ascoltare. Il termine
“passivo” non era tuttavia il più appropriato in quanto
un ascolto accurato è tutt’altro che passivo, si tratta
infatti di prestare grande concentrazione ai suoni così
come ai loro effetti sul proprio corpo e sul proprio sistema
nervoso. L’approccio attivo prevede invece la diretta
partecipazione del cliente all’evento sonoro. Egli viene
infatti coinvolto in un’empatia per rispondere alla quale
viene fornito di strumenti della più varia natura.
Diretta
conseguenza dell’approccio attivo è il momento
improvvisativo. Mentre nella realtà verbale il fatto di
parlare contemporaneamente è impensabile, nella musica è
perfino auspicabile. Il soggetto non si trova quindi nella
spiacevole posizione di dover rispondere a delle domande e
di partecipare ad un classico dialogo terapeutico. Ogni
intervento è musicalmente plausibile e vi è la possibilità
di creare, provare e scegliere se approfondire o abbandonare
un elemento per un altro. Questo fa sì che il contatto e la
relazione con il terapeuta si allarghi ad un campo di
possibilità espressive pressoché illimitato.
La musicoterapia è quindi molto
indicata nella cura di tutti quei disturbi psicologici che
portano ad una generale chiusura dell’individuo. Chiusura
che naturalmente può essere controproducente anche a
livello medico in caso di cura concomitante per malattie
gravi. Tuttavia i campi di applicazione spaziano dalle
terapie riabilitative (per esempio in caso di coma) a quelle
di disturbi come l’emicrania o l’acufene.
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Laura Venturi
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