FOGLIO LAPIS - OTTOBRE - 2014

 
 

Graduale eliminazione del precariato e delle supplenze annuali, copertura delle cattedre vacanti, maggiore offerta di musica, arte, sport – Questi alcuni  punti qualificanti della riforma annunciata dal governo– Assunzione di 150 mila precari e concorso per altri 40 mila – Ridisegnate le carriere dei docenti, premiato il merito piuttosto che l'anzianità di servizio – E ancora: interventi su edilizia, digitalizzazione, sostegno ai disabili – Niente male, se seguiranno i fatti

 

La buona scuola. Se non altro il titolo italiano che si è voluto dare alla riforma fa tirare un sospiro di sollievo. Per una volta ci è stato risparmiato lo stucchevole ricorso all'inglese tipo jobs act, anche se nel testo offerto in rete dal ministero dell'istruzione non manca qualche cedimento all'anglomania imperversante: i ragazzi che la scuola, secondo l'accorata denuncia di Lorenzo Milani, perde per strada sono chiamati early leavers, mentre la capacità di cavarsela nella vita, che l'esperienza scolastica dovrebbe trasmettere ai ragazzi, viene senz'altro identificata nell'arte del problem solving. A parte questi nei, inevitabile omaggio al difetto di stile che ormai da anni affligge la politica italiana (a chi è saltato in mente di battezzare question time le sedute parlamentari dedicate alle interpellanze?), la riforma annunciata dal presidente del consiglio Matteo Renzi e dal ministro dell'istruzione Stefania Giannini mostra l'ambiziosa volontà di incidere profondamente il tessuto della nostra scuola.

Prima di tutto si vogliono guarire due piaghe, il precariato e le supplenze annuali. Poi si vuole innovare la struttura della professione docente attraverso l'introduzione di un nuovo criterio per gli avanzamenti di carriera: all'anzianità di servizio, che li ha fin qui determinati, verrà sostituito il merito. Tradizionalmente legati agli scatti automatici, di fronte a questa innovazione i sindacati brontolano, ma la pillola amara è fortemente addolcita da un altro annuncio: per l'anno scolastico che scatterà nell'autunno del 2015 è prevista l'assunzione di circa 150 mila insegnanti precari, e poco più tardi altri 40 mila docenti entreranno in ruolo per concorso. Si tratta di coprire le cattedre scoperte, eliminare le supplenze, aumentare i docenti di sostegno per i disabili, migliorare l'offerta formativa in materia di lingue straniere e di musica, arte e sport, procedere verso il tempo pieno nella scuola primaria.

Gli insegnanti vengono dunque invitati a “mettersi in gioco”. Devono darsi da fare per migliorare la loro condizione, la loro professione dovrebbe dunque acquisire un dinamismo nuovo, non più legato alla semplice progressione dell'età. Ogni tre anni i due terzi dei docenti (scelti attraverso i criteri ufficiali di valutazione basati sul sistema dei crediti, a loro volta fondati sul rendimento delle classi, sulla partecipazione a corsi di aggiornamento e così via) vedranno il loro stipendio mensile aumentato di circa sessanta euro. Il primo scatto è dunque fissato al 2018. Questo meccanismo si propone anche d'innescare una sorta di mobilità dei docenti, che per migliorare la loro condizione hanno interesse a dirigersi verso le scuole che vantano risultati più modesti, nelle quali più facilmente possono accumulare crediti.

Molta enfasi viene posta sul rilancio dell'educazione musicale e artistica e dello sport (si fa notare in proposito che un terzo dei nostri ragazzi è in condizioni di sovrappeso), mentre si sottolinea l'urgenza di una più diffusa digitalizzazione della scuola: attualmente soltanto il dieci per cento delle scuole primarie e il ventitré per cento delle secondarie è adeguatamente attrezzato. Infine l'edilizia scolastica, che come si sa ha bisogno interventi urgenti in migliaia di edifici. Tutto questo richiede un'ingente quantità di risorse finanziarie: tre miliardi di euro solo per l'ondata di assunzioni del prossimo anno. Proprio nelle pieghe degli asfittici bilanci pubblici si nasconde più di un dubbio sulla possibilità che una riforma così ambiziosa raggiunga i suoi obiettivi.

Il governo fa notare che si tratta (si tratterebbe?) del più massiccio investimento che sia mai stato fatto nella scuola italiana. Ad ogni buon conto si cercherà di incoraggiare gli investimenti privati: perché non dovrebbero puntare anche sulla scuola pubblica? S'invita infatti a considerarla “non come un capitolo di spesa della pubblica amministrazione, ma come un investimento di tutto il paese su se stesso”. In fondo, come recita l'introduzione al rapporto ministeriale, l'istruzione è il solo rimedio strutturale per la disoccupazione.

                                                          Alfredo Venturi 
                                         

    


                                                  

 
 

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