Graduale
eliminazione del precariato e delle supplenze annuali,
copertura delle cattedre vacanti, maggiore offerta di
musica, arte, sport – Questi alcuni
punti qualificanti della riforma annunciata dal
governo– Assunzione di 150 mila precari e concorso per
altri 40 mila – Ridisegnate le carriere dei docenti,
premiato il merito piuttosto che l'anzianità di servizio
– E ancora: interventi su edilizia, digitalizzazione,
sostegno ai disabili – Niente male, se seguiranno i
fatti
La
buona scuola. Se non altro il titolo italiano che si è
voluto dare alla riforma fa tirare un sospiro di sollievo.
Per una volta ci è stato risparmiato lo stucchevole ricorso
all'inglese tipo jobs act, anche se nel testo
offerto in rete dal ministero dell'istruzione non manca
qualche cedimento all'anglomania imperversante: i ragazzi
che la scuola, secondo l'accorata denuncia di Lorenzo Milani,
perde per strada sono chiamati early leavers, mentre
la capacità di cavarsela nella vita, che l'esperienza
scolastica dovrebbe trasmettere ai ragazzi, viene senz'altro
identificata nell'arte del problem solving. A parte
questi nei, inevitabile omaggio al difetto di stile che
ormai da anni affligge la politica italiana (a chi è
saltato in mente di battezzare question time le
sedute parlamentari dedicate alle interpellanze?), la
riforma annunciata dal presidente del consiglio Matteo Renzi
e dal ministro dell'istruzione Stefania Giannini mostra
l'ambiziosa volontà di incidere profondamente il tessuto
della nostra scuola.
Prima
di tutto si vogliono guarire due piaghe, il precariato e le
supplenze annuali. Poi si vuole innovare la struttura della
professione docente attraverso l'introduzione di un nuovo
criterio per gli avanzamenti di carriera: all'anzianità di
servizio, che li ha fin qui determinati, verrà sostituito
il merito. Tradizionalmente legati agli scatti automatici,
di fronte a questa innovazione i sindacati brontolano, ma la
pillola amara è fortemente addolcita da un altro annuncio:
per l'anno scolastico che scatterà nell'autunno del 2015 è
prevista l'assunzione di circa 150 mila insegnanti precari,
e poco più tardi altri 40 mila docenti entreranno in ruolo
per concorso. Si tratta di coprire le cattedre scoperte,
eliminare le supplenze, aumentare i docenti di sostegno per
i disabili, migliorare l'offerta formativa in materia di
lingue straniere e di musica, arte e sport, procedere verso
il tempo pieno nella scuola primaria.
Gli
insegnanti vengono dunque invitati a “mettersi in
gioco”. Devono darsi da fare per migliorare la loro
condizione, la loro professione dovrebbe dunque acquisire un
dinamismo nuovo, non più legato alla semplice progressione
dell'età. Ogni tre anni i due terzi dei docenti (scelti
attraverso i criteri ufficiali di valutazione basati sul
sistema dei crediti, a loro volta fondati sul rendimento
delle classi, sulla partecipazione a corsi di aggiornamento
e così via) vedranno il loro stipendio mensile aumentato di
circa sessanta euro. Il primo scatto è dunque fissato al
2018. Questo meccanismo si propone anche d'innescare una
sorta di mobilità dei docenti, che per migliorare la loro
condizione hanno interesse a dirigersi verso le scuole che
vantano risultati più modesti, nelle quali più facilmente
possono accumulare crediti.
Molta
enfasi viene posta sul rilancio dell'educazione musicale e
artistica e dello sport (si fa notare in proposito che un
terzo dei nostri ragazzi è in condizioni di sovrappeso),
mentre si sottolinea l'urgenza di una più diffusa
digitalizzazione della scuola: attualmente soltanto il dieci
per cento delle scuole primarie e il ventitré per cento
delle secondarie è adeguatamente attrezzato. Infine
l'edilizia scolastica, che come si sa ha bisogno interventi
urgenti in migliaia di edifici. Tutto questo richiede
un'ingente quantità di risorse finanziarie: tre miliardi di
euro solo per l'ondata di assunzioni del prossimo anno.
Proprio nelle pieghe degli asfittici bilanci pubblici si
nasconde più di un dubbio sulla possibilità che una
riforma così ambiziosa raggiunga i suoi obiettivi.
Il
governo fa notare che si tratta (si tratterebbe?) del più
massiccio investimento che sia mai stato fatto nella scuola
italiana. Ad ogni buon conto si cercherà di incoraggiare
gli investimenti privati: perché non dovrebbero puntare
anche sulla scuola pubblica? S'invita infatti a considerarla
“non come un capitolo di spesa della pubblica
amministrazione, ma come un investimento di tutto il paese
su se stesso”. In fondo, come recita l'introduzione al
rapporto ministeriale, l'istruzione è il solo rimedio
strutturale per la disoccupazione.
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Alfredo Venturi
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