In
materia di diffusione delle tossicodipendenze, ci si
limita spesso a parlare del fenomeno in sé, non delle
cause che lo determinano – É lo stesso errore che si
compie quando si parla di “Facebook dipendenza”
trascurando le dinamiche che vi conducono – Perché
tanti giovani sentono l'esigenza di drogarsi: questa la
materia di cui dovremmo occuparci – Il problema di fondo
è la compressione che la società di oggi esercita sulla
libertà di compiere scelte individuali
“Perché
un libro sull'amore? Perché rispetto alle epoche che ci
hanno preceduto, nell'età della tecnica l'amore ha cambiato
radicalmente forma. Da un lato è diventato l'unico spazio
in cui l'individuo può esprimere davvero se stesso, al di
fuori dei ruoli che
è costretto ad assumere in una società tecnicamente
organizzata, dall'altro questo spazio, essendo l'unico in
cui l'io può dispiegare se stesso e giocarsi la sua libertà
fuori da qualsiasi regola e ordinamento precostituito, è
diventato il luogo della radicalizzazione
dell'individualismo, dove uomini e donne cercano nel tu il
proprio io, e nella relazione non tanto il rapporto
dell'altro, quanto la possibilità di realizzare il proprio
sé profondo, che non trova più espressione in una società
tecnicamente organizzata, che declina l'identità di
ciascuno di noi nella sua idoneità e funzionalità al
sistema di appartenenza." Scrive Umberto Galimberti
nell’introduzione a “Le cose dell’amore”, cogliendo
con acume la compressione che le aree più individuali della
personalità tendono a subire nel corso dei giorni,
schiacciate dai ritmi serrati di preoccupazioni, doveri e
burocrazie.
Queste
zone compresse della personalità, private di quella che
dovrebbe essere la loro naturale e continuativa espressione,
non possono che cercare sfogo, uno sfogo che diventa
irruento e destabilizzante. Possono trovarlo nelle relazioni
amorose, che diventano per questo particolarmente delicate,
possono trovarlo nella fruizione di forme d’arte che
aiutino a scaricare, si pensi alla diffusione di pellicole
violente o che esaltino certe forme di “insanità
mentale”. Possono trovarlo dentro al dimentico dinamismo di una
discoteca.
Quando
accade che l’uomo ritrovi le parti “trascurate” di sé
e le riconosca come legate alla propria indole, avverte
tutto l’estraniamento quotidiano e non riesce a digerirlo
se non con la ricerca di qualcosa che anestetizzi, insieme a
quella degli spazi di sfogo. Certamente diverse situazioni
sono in grado di assicurare, tramite lo sfogo stesso, anche
un’azione anestetica della problematica, secondo un
processo che potremmo definire catartico. Sono però
presenti anche prodotti o situazioni direttamente legati
all’esigenza di anestetizzazione. Si pensi alle droghe, il
cui uso e la cui diffusione anche in fasce d’età
sorprendentemente basse è in continuo aumento.
Consideriamo
tre dei possibili aspetti dell’assunzione delle droghe, o,
almeno, di certi tipi di droga. Primo, l’energia.
L’ebbrezza dell’energia che sale, che permette di
divorare la notte. Una delle problematiche principali
dell’uomo della società contemporanea è quella
energetica: lo stile di vita sedentario – sedentarissimo -
unito con i ritmi disumani cui è sottoposto, crea stati di
funzionamento disarmonico del corpo ed elevati livelli di
stanchezza e spossatezza. Si producono continuamente nuovi
integratori energetici che nelle pubblicità donano grandi
sorrisi di sollievo a coloro che li assumono, e si dimentica
che tutto ciò non è normale e che la perenne spossatezza
non è uno stato naturale dell’organismo. Come al solito,
si curano i sintomi e non solo non ci si preoccupa delle
radici, ma si seppelliscono nell’ignoranza.
Il
secondo aspetto è quello dell’oblio, della dimenticanza.
Un po’ perché l’attenzione si sposta, un po’ per
effetto chimico diretto, certe aree del cervello si
spengono, ed è proprio un bel sollievo, dimenticare d’un
tratto quella sensazione di discrepanza tra il modo in cui
si vive e quello in cui si intuisce sarebbe meglio vivere
(meglio, quindi più naturale, più vicino alla natura). Un
bel sollievo avere pace per un po’ da tutti quegli input
di cui il cervello è bombardato fin dalla più tenera
infanzia. É la loro qualità ad essere sbagliata. Sono
molti, sono rapidi e superficiali e intensi insieme.
Soprattutto, con possibilità di riflessione o replica
praticamente annullata, anche perché immediatamente arriva
l’input successivo.
Un
altro aspetto importante dell’assunzione di droghe da
parte dei giovani è quello delle relazioni interpersonali e
degli effetti di rilassamento e disinibizione che certe
sostanze provocano. Infatti, rapportarsi all’altro sembra
sempre più difficile. Media e tecnologia non fanno che
costruire copie, estraggono continuamente dei modelli dal
corso delle cose, situando l’individuo in un interregno
atemporale e solitario tra le sue immagini eternizzate (da
fotografie, video, segnali iscritti nella grande pagina del
web) e i
modelli di queste immagini (tutto il materiale multimediale
di cui è fruitore). Uno spazio dal quale il normale fluire
delle cose (del quale vorrebbe essere monumento) è
lontanissimo. É uno spazio in cui l’individuo si trova
solo, proprio per la presenza, tra lui e la realtà, di
tutti questi oggetti-intermediari o modelli-intermediari.
Ma
non facciamo un errore simile a quello di coloro che hanno
dato il nome alla patologia che si chiama “Facebook
dipendenza”. É miope come dedicarsi alla cura localizzata
di foruncoli sulla pelle che sono però provocati da una
malattia cronica. É un bell’errore prospettico,
demonizzare Facebook in sé (o la tecnologia in sé) e non
accettarlo come aderente orografia della società e dei suoi
problemi. Non prendiamoci in giro, sono ben lontani dal sito
e dalla sua natura le dinamiche che conducono alla
“Facebook dipendenza”. Così come il problema, per gli
adolescenti, non è certo l’esistenza o l’accessibilità
delle droghe, bensì tutto ciò che li conduce a sentirne
l’esigenza.
-
Laura Venturi
-
|