Troppo
pochi laureati e troppi laureati a spasso -
Questa duplice realtà italiana discende dal fatto
non s'investe abbastanza nell'istruzione - Infatti siamo
penultimi nell'Unione Europea come percentuale del pil che
si destina alla scuola – Ne consegue un'insufficiente
preparazione media ad affrontare la serrata competizione
internazionale con società più acculturate -
A sua volta questo frena le prospettive di
sviluppo, dunque la possibilità di superare la crisi
Ha un bel ripetere il presidente della Repubblica che
“una scuola moderna richiede un'adeguata quota di risorse
pubbliche”, visto che si tratta di “un motore
fondamentale del rinnovamento etico e del benessere
sociale”. Lo stesso Giorgio Napolitano deve precisare che
accanto alla necessità di “stabilire un nuovo ordine di
priorità nella spesa pubblica” c'è anche quella di
“abbattere il peso abnorme del nostro debito”. Fatto sta
che l'analisi dei dati internazionali conferma che proprio
un maggiore investimento nell'istruzione potrebbe mettere in
moto meccanismi virtuosi in grado, fra l'altro, di
restituire competitività al sistema, dunque di rilanciare
l'economia e in ultima analisi di abbattere l'”abnorme
debito pubblico”.
Il problema principale è come sempre quello dei
tempi: la crisi incalza, chi ci governa si trova, dopo avere
a lungo assicurato che tutto andava per il meglio o quasi,
con l'acqua alla gola, dunque annaspa e cerca rimedi
immediati. Tende così a trascurare la scuola, che è sì in
grado di ripagare con gli interessi le risorse che assorbe,
ma soltanto nel medio-lungo termine. Purtroppo la politica
è per natura miope, attenta com'è alle frequenti scadenze
elettorali che impongono di catturare i consensi di oggi,
non quelli del futuro. Dunque un potere principalmente
preoccupato di riproporsi sa fare soltanto investimenti a
breve e spesso nemmeno quelli.
Queste malinconiche considerazioni ci vengono
suggerite dalla lettura di alcuni recenti dati comparati
sull'istruzione secondaria e superiore nei ventisette paesi
dell'Unione
Europea. Si tratta di statistiche fornite proprio
dalla Commissione di Bruxelles. Presa nel suo complesso,
l'Unione destina al livello educativo alto lo 0,92 del
prodotto interno lordo. Ma in una classifica paese per paese
che vede la Danimarca in testa con l'1,57 per cento e la
Slovacchia all'ultimo posto con lo 0,62, l'Italia è
penultima: 0,67 per cento.
Poiché questa situazione non è certo limitata alla
stretta attualità, ma è costante da molti anni, ne risulta
una posizione altrettanto insoddisfacente anche per numero
di laureati. Se nell'Unione Europea i laureati in età
professionale, cioè fra i venticinque e i sessantaquattro
anni, sono 26 su cento, in Italia sono soltanto il 15 per
cento. Stavolta siamo terzultimi, dunque nella graduatoria
dominata dal Regno Unito (35 per cento), dalla Francia (29)
e dalla Germania (27), ci lasciamo alle spalle soltanto la
Romania (14 per cento) e Malta (13). Un'altra classifica
desolante (per noi) è quella relativa al numero di adulti
di età 25-64 che abbiano almeno completato la scuola
secondaria superiore. La media dell'Unione è il 72,7 per
cento, in testa i paesi baltici e la Repubblica Cèca, fra
l'88 e il 92 per cento, l'Italia è in fondo con il 55,2: più
in basso soltanto Spagna, Portogallo e Malta,
rispettivamente al 52,6, al 31,9 e al 28,7. L'Italia porta
proprio il fanalino di coda in un'altra classifica, quella
relativa all'occupazione di chi ha un titolo d'istruzione
superiore. La media europea è l'82 per cento, la vetta è
occupata dalla Svezia con l'88: noi chiudiamo la serie con
un desolante 76 per cento. Questo significa che un quarto
degli italiani e delle italiane con istruzione superiore è
senza lavoro.
Visto che ci siamo, ecco un'altra cifra che denuncia i
ritardi del nostro sistema educativo. Secondo uno studio del
periodico specializzato Tuttoscuola, ogni anno fra i 190 e i 200 mila ragazzi abbandonano la
secondaria superiore. Si fa notare che il dato sta
storicamente diminuendo, ma resta drammaticamente alto.
Davvero uno sconcertante sistema, il nostro, se è vero che
nelle statistiche ministeriali si tende a massimizzare il
numero degli studenti bocciati, come è stato recentemente
notato. Ci si domanda la ragione, considerato che un'autorità
scolastica dovrebbe al contrario rammaricarsi di quel
sostanziale fallimento che è la bocciatura. Ma la ragione
è molto semplice: si vuole sottolineare che la linea dura,
quella che premiando il merito castiga il demerito, sta per
così dire mietendo vittime. Molti bocciati molto onore.
E allora non meravigliamoci se, in occasione del
recente esperimento sulla velocità dei neutrini, un
comunicato del ministero dell'istruzione, università e
ricerca ha esaltato una fantomatica galleria di oltre
settecento chilometri, costruita con un forte contributo
italiano, che lo avrebbe reso possibile,
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Fredi Sergent
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