FOGLIO LAPIS - OTTOBRE - 2011

 
 

Troppo pochi laureati e troppi laureati a spasso -  Questa duplice realtà italiana discende dal fatto non s'investe abbastanza nell'istruzione - Infatti siamo penultimi nell'Unione Europea come percentuale del pil che si destina alla scuola – Ne consegue un'insufficiente preparazione media ad affrontare la serrata competizione internazionale con società più acculturate -  A sua volta questo frena le prospettive di sviluppo, dunque la possibilità di superare la crisi

 

Ha un bel ripetere il presidente della Repubblica che “una scuola moderna richiede un'adeguata quota di risorse pubbliche”, visto che si tratta di “un motore fondamentale del rinnovamento etico e del benessere sociale”. Lo stesso Giorgio Napolitano deve precisare che accanto alla necessità di “stabilire un nuovo ordine di priorità nella spesa pubblica” c'è anche quella di “abbattere il peso abnorme del nostro debito”. Fatto sta che l'analisi dei dati internazionali conferma che proprio un maggiore investimento nell'istruzione potrebbe mettere in moto meccanismi virtuosi in grado, fra l'altro, di restituire competitività al sistema, dunque di rilanciare l'economia e in ultima analisi di abbattere l'”abnorme debito pubblico”.

Il problema principale è come sempre quello dei tempi: la crisi incalza, chi ci governa si trova, dopo avere a lungo assicurato che tutto andava per il meglio o quasi, con l'acqua alla gola, dunque annaspa e cerca rimedi immediati. Tende così a trascurare la scuola, che è sì in grado di ripagare con gli interessi le risorse che assorbe, ma soltanto nel medio-lungo termine. Purtroppo la politica è per natura miope, attenta com'è alle frequenti scadenze elettorali che impongono di catturare i consensi di oggi, non quelli del futuro. Dunque un potere principalmente preoccupato di riproporsi sa fare soltanto investimenti a breve e spesso nemmeno quelli.

Queste malinconiche considerazioni ci vengono suggerite dalla lettura di alcuni recenti dati comparati sull'istruzione secondaria e superiore nei ventisette paesi dell'Unione         Europea. Si tratta di statistiche fornite proprio dalla Commissione di Bruxelles. Presa nel suo complesso, l'Unione destina al livello educativo alto lo 0,92 del prodotto interno lordo. Ma in una classifica paese per paese che vede la Danimarca in testa con l'1,57 per cento e la Slovacchia all'ultimo posto con lo 0,62, l'Italia è penultima: 0,67 per cento.

Poiché questa situazione non è certo limitata alla stretta attualità, ma è costante da molti anni, ne risulta una posizione altrettanto insoddisfacente anche per numero di laureati. Se nell'Unione Europea i laureati in età professionale, cioè fra i venticinque e i sessantaquattro anni, sono 26 su cento, in Italia sono soltanto il 15 per cento. Stavolta siamo terzultimi, dunque nella graduatoria dominata dal Regno Unito (35 per cento), dalla Francia (29) e dalla Germania (27), ci lasciamo alle spalle soltanto la Romania (14 per cento) e Malta (13). Un'altra classifica desolante (per noi) è quella relativa al numero di adulti di età 25-64 che abbiano almeno completato la scuola secondaria superiore. La media dell'Unione è il 72,7 per cento, in testa i paesi baltici e la Repubblica Cèca, fra l'88 e il 92 per cento, l'Italia è in fondo con il 55,2: più in basso soltanto Spagna, Portogallo e Malta, rispettivamente al 52,6, al 31,9 e al 28,7. L'Italia porta proprio il fanalino di coda in un'altra classifica, quella relativa all'occupazione di chi ha un titolo d'istruzione superiore. La media europea è l'82 per cento, la vetta è occupata dalla Svezia con l'88: noi chiudiamo la serie con un desolante 76 per cento. Questo significa che un quarto degli italiani e delle italiane con istruzione superiore è senza lavoro.

Visto che ci siamo, ecco un'altra cifra che denuncia i ritardi del nostro sistema educativo. Secondo uno studio del periodico specializzato Tuttoscuola, ogni anno fra i 190 e i 200 mila ragazzi abbandonano la secondaria superiore. Si fa notare che il dato sta storicamente diminuendo, ma resta drammaticamente alto. Davvero uno sconcertante sistema, il nostro, se è vero che nelle statistiche ministeriali si tende a massimizzare il numero degli studenti bocciati, come è stato recentemente notato. Ci si domanda la ragione, considerato che un'autorità scolastica dovrebbe al contrario rammaricarsi di quel sostanziale fallimento che è la bocciatura. Ma la ragione è molto semplice: si vuole sottolineare che la linea dura, quella che premiando il merito castiga il demerito, sta per così dire mietendo vittime. Molti bocciati molto onore.  E allora non meravigliamoci se, in occasione del recente esperimento sulla velocità dei neutrini, un comunicato del ministero dell'istruzione, università e ricerca ha esaltato una fantomatica galleria di oltre settecento chilometri, costruita con un forte contributo italiano, che lo avrebbe reso possibile,

                                                          Fredi Sergent 
                                         

    


                                                  

 
 

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