FOGLIO LAPIS - OTTOBRE - 2010

 
 

Dal “dio” della parola all’”io” che della parola fa l’uso che crede – Dunque non soltanto “pane” al pane e “vino” al vino: perché nelle parole, nei loro echi interni, nelle sorprese e nei fraintendimenti si annida una smisurata libertà creativa – La strana vicenda paneolitica del Cappotto a motore e della Teletrasmissione dei corpi – La paura dell’”Aldiquà” e un’ottima ragione per tenere chiusi, la sera, i cancelli del cimitero

 

Se si facesse girare il pane anziché accumulare soldi, la fame sarebbe vinta.

         – Devo dirti un miliardo di rose. Te le spedirò.

         – Siamo sole – dicono le stelle.

Durante il Paneolitico le parole che nella loro dimessa quotidianità stabiliscono un rapporto naturale misterioso immediato con le autentiche radici di ogni uomo, divennero comportamentali. Troppo. Disposte in comportamenti stagni, persona per persona, sondano, esondano, sbalordirono… Eccome!

         Ecco me:

Tengo Diego in collo, un bambino di appena due anni e mezzo. Mi dice:

"Hai sentito cosa ha detto il pappagallo?"

– No. Che ha detto?

"Chicchirichì"....

Diego è piccolo come un nano. Già parla come un grande. Conosce a menadito l'uso delle parole, i loro echi interni, le sorprese, i fraintendimenti.

Nel medesimo nanosecondo, la Giovanna, sola come un cane, scende col Bobone verso il fiume. E il Bobone è un cane.

Ale che va pazzo quando vede i pesci, giunti al fiume dice:

"Guarda Bobo, guarda!"…

E il Bobone, guarda guarda, i pesci non li vede.

– Perché?

"Perché", dice la Giovanna, "è un cane da penna, non da pinna"… Ecco. Sta così:

All'origine del Paneolitico c'è un "dio" della parola che determina i comportamenti di ogni essere mediante la parola data da un "io" che fraintende tutto…

 Ma che dici?

– Ho detto quello che c'ho detto. Ognuno può verificarlo quando vuole, se s'intende di parole. E lo dico per dire "pane" al pane e "vino" al vino.

Facendo delle parole un uso troppo attillato, attillatissimo, durante il Paneolitico, fu inventato il Cappotto a motore e la Teletrasmissione dei corpi.

Il Cappotto a motore consiste in due ante e una piattaforma su cui appoggiare i piedi con le rotelle – ma allora, le rotelle ce l'hanno i piedi o la piattaforma?... o qualcuno ha "perso le rotelle" e ha messo la testa sotto i piedi? Ha il parabrezza. La mattina, lo indossi, esci, vai al lavoro, giri, fatti tutte le tue cose. La sera rientri e ti appendi nell'armadio.

La Teletrasmissione dei corpi, li smolecolarizza qui e li rimette insieme là… li "sbriciola" (si dovrebbe dire come per il pane) e li rimbriciola. Nel ricomporli, può mancare la testa o un braccio, ma si ritrovano sempre, come le valige. Il tutto avviene in un nanosecondo in postazi diversi.

Il Paneolitico è pieno di urla di gente che affoga teletrasmessa da Palèmmo a Bellino – Toh!... Bellino, lui! – che si ritrova un occhio solo e in fronte, come Polifemo. E a chi càpita, non è capìta…

"Mi arrivano voci

ogni tanto

dai muri

della strada

Si rivolgono proprio a me, dottore, sa?...

Certo che ne ho paura!

Chi non ha paura dell'Aldiquà?"

Concludo con una bambina a cui la sera passando davanti al cimitero, le chiese il fratellino:

"Perché sono chiusi i cancelli del cimitero?"

Rispose:

"Sennò rubano le anime".

                                                          Filippo Nibbi 
                                         

    


                                                  

 
 

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