Un
esperimento avviato undici anni or sono in India apre la
strada a un nuovo metodo pedagogico, l’istruzione non
invasiva – Si basa sul libero accesso al computer da
parte di gruppi di bambini, con l’intervento ridotto al
minimo di mediatori adulti – Nato per combattere la
dispersione scolastica e l’analfabetismo in aree
disagiate, il sistema si è rivelato di utilità molto
più generale, per esempio come supporto alle scuole
rurali
Si
chiama Hole in the
Wall, buco nel muro, l’esperimento che nel 1999 prese
le mosse in uno slum indiano, una di quelle baraccopoli in cui si accalca
un’umanità derelitta, priva si risorse e di servizi. Si
chiama così perché proprio in un muro era stato
incastonato un computer con connessione internet, al quale i
bambini del quartiere potevano avere libero accesso. Già un
mese dopo l’installazione, ricorda Sugata Mitra, uno
specialista indiano che insegna tecnologia educativa
all’università britannica di Newcastle, fu possibile
constatare che i bambini non avevano soltanto imparato a
usare il computer, ma avevano anche acquisito competenze
matematiche e linguistiche, imparando o migliorando il loro
inglese. Altri computer furono piazzati nelle aree più
sperdute dell’immenso paese, confermando i primi
risultati.
Parlando
lo scorso luglio a una conferenza organizzata a Oxford dal
TED, un’organizzazione che si propone di diffondere le
idee innovative, Mitra ha elencato questi risultati. Con il
libero e pubblico accesso a postazioni internet, meglio se
in gruppo, i bambini possono imparare a usare i computer,
apprendere quel tanto d’inglese che serve per usare la
posta elettronica e i motori di ricerca, impadronirsi delle
tecniche elementari per trovare dati e informazioni. In
questo modo quelli di loro che frequentano regolarmente la
scuola riescono a superare gli esami prima del dovuto. Si
abituano inoltre all’interazione sociale e imparano a
formarsi opinioni indipendenti. L’esperimento Hole
in the Wall ha permesso inoltre di misurare la qualità
dell’insegnamento nel contesto indiano, arrivando alla
conclusione che il rendimento scolastico è inversamente
proporzionale alla distanza della scuola dai grandi centri
urbani.
Questo
è visibile anche in un paese ben diversamente dotato, come
il Regno Unito: anche qui si registra un declino della
qualità educativa quando si passa dalle aree più
sviluppate a quelle economicamente più svantaggiate. La
ragione, in India come in Gran Bretagna, consiste nel fatto
che gli insegnanti migliori preferiscono lavorare in scuole
collocate nelle zone più felici dal punto di vista
economico e sociale. Questa realtà di fondo fa guardare con
particolare interesse ai risultati dell’esperimento
indiano, in particolare a un perfezionamento del sistema che
si è rapidamente fatto strada: quello di prevedere la
presenza il più possibile discreta di osservatori adulti
proti a dare una mano nelle ricerche. Costoro non devono
necessariamente avere competenze didattiche, vanno
semplicemente considerati fra le “fonti” normalmente
consultabili in rete.
Un
ulteriore sviluppo del sistema chiama in causa i cosiddetti eMediators,
mediatori elettronici, generalmente docenti in pensione che
possono essere raggiunti non soltanto dagli Holes
in the Wall, ma anche dalle scuole, per esempio istituti
in aree rurali bisognosi di qualche apporto, e interagire
con i soliti canali offerti dalla rete: posta elettronica,
Skype, videoconferenze. Si fa dunque strada un concetto,
quello dell’istruzione non invasiva, o minimamente
invasiva: gruppi di bambini motivati all’apprendimento
attraverso il computer, con intervento dall’alto ridotto
il più possibile. Il professor Mitra si dice convinto che
proprio lungo queste linee si svilupperà il futuro
dell’istruzione: sarà interessante vedere che cosa ne
pensano il corpo dei docenti e i suoi rappresentanti
sindacali.
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f. s.
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