FOGLIO LAPIS - OTTOBRE - 2010

 
 

Centinaia di milioni di “amici”, e ogni giorno decine di migliaia di nuove registrazioni – Lo straordinario sviluppo di un seme gettato nella Harvard University - È la “rete nella rete”, uno strumento di comunicazione e condivisione dalle formidabili potenzialità – Una realtà in buona parte, ma non soltanto, giovanile che smentisce il luogo comune della gioventù chiusa in se stessa – E apre una prospettiva di globalizzazione finalmente positiva

 

Facebook, il grande social network, è continuamente oggetto di dibattito e critica. É qualcosa che ha rivoluzionato il senso di vivere sociale, partendo dalle generazioni più giovani, che lo acquisiscono come naturalmente proprio, ed estendendosi gradualmente come abitudine anche tra coloro alla cui formazione era estraneo un simile assetto sociale.

Si fa un gran parlare del carattere virtuale delle relazioni comunitarie che si istaurano tramite i mezzi tecnologici, ma questa, come fa notare Guido Martinotti, studioso e professore di Sociologia urbana, è una contraddizione in termini, dal momento che ogni comunità, per definizione, è composta di soggetti umani reali.

Come sottolinea il professore, siamo legati a un’idea piuttosto banale della rete, che la raffigura come demolitrice delle relazioni umane “vere”. Da molte ricerche sociologiche emerge invece il fatto che mezzi di questo tipo non facciano che incoraggiare i rapporti tra le persone.

Facebook nasce da un’idea di Mark Zuckerberg, destinato in origine ad essere utilizzato solo dagli studenti di Harvard. Adesso conta centinaia di milioni di utenti nel mondo, con decine di migliaia di nuove registrazioni al giorno. La filosofia diffusa dal social network è quella del Web 2.0, caratterizzata dallo sviluppo di una dimensione sociale basata su una gestione autonoma della rete e mirata, tra l’altro, alla condivisione.

Facebook è generalmente parte integrante della vita di chi vi è iscritto, che tende a connettersi più volte al giorno e a rendere pubblici, tra le persone che ha elencato come amiche, numerosi aspetti della propria quotidianità. Spesso, nella geniale “bacheca”, vengono pubblicati gli impegni, le azioni del soggetto durante la giornata, i suoi pensieri relativamente a questa o quella questione, le sue emozioni, perfino. Si assiste alla costituzione di una nuova, allargata, intimità, che si articola nella condivisione di canzoni, parole, immagini, cause pubbliche. Questo è molto incoraggiante e sufficiente a demolire la visione diffusa e riduttiva di una gioventù chiusa in se stessa e refrattaria al dialogo e alla coesione per degli ideali.

Il primo argomento opponibile a questa tesi è quello della banalità che spesso caratterizza l’esposizione delle cause, degli ideali condivisi. Ma questo non è qualcosa le cui radici siano da ricercarsi nella rete o nei suoi processi, quanto in tutto ciò che precede la “bacheca”: nelle falle dell’istruzione e della cultura, intesa nel suo senso più ampio.

Si potrà poi opporre una discussione riguardo al grado di realismo dei “profili” personali costruiti dai soggetti nel social network. Vi è in effetti la possibilità di gestire con una certa libertà l’immagine di sé da dare agli altri.

Ricordiamo però che la connessione in rete è il più delle volte integrata col mondo della vita quotidiana; è infatti emerso da ricerche sociologiche, come per esempio quelle degli studiosi Lampe, Eleison e Steinfield, che l’utilizzo di Facebook come mezzo di approfondimento di relazioni nate nell’ambito di una “realtà fisica” è molto più frequente di quello che lo rende strumento di conoscenze ex-novo.
E che non sia un importante passo di consapevolezza, quello di costituire materialmente un’immagine di sé da porgere alla società, tramite l’organizzazione della pagina personale? Non può forse essere un importante momento di coscienza di sé, in un’epoca in cui tutto tende ad essere così mutevole e sfuggente?

Che il grande successo di Facebook e dei social network in genere sia da ricercarsi anche nella possibilità che offrono di avere uno spazio “sicuro” (che si oppone alla rapidità e all’instabilità che caratterizzano il possesso di spazi fisici), personale, democraticamente accessibile a un’enorme fetta di popolazione?

Non è forse ciò che fa ogni artista, rappresentare se stesso, non pretendiamo forse di trovare nell’arte la più intima essenza del suo ideatore, non fa forse parte, anche l’organizzazione della pagina personale in rete, del magnifico processo di democratizzazione dell’arte che è attualmente in corso? Non è anche interessante, sotto il profilo comunitario nella prospettiva delle necessarie, crescenti, dimensioni politiche sovrannazionali, l’esistenza di un luogo virtuale comune a persone che abitano in zone e situazioni molto diverse, in cui ci sia spazio per la personalità dell’individuo? Non è un'interessante forma di globalizzazione che non annienta la personalità?

                                                          Laura Venturi 
                                         

    


                                                  

 
 

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