Un’indagine
condotta sul sistema educativo della Scozia rivela che gli
istituti sono impreparati di fronte al numero crescente di
alunni immigrati – Sono ormai ottanta le lingue di
provenienza degli studenti che arrivano dall’estero, per
la maggior parte dalla Polonia – L’insufficiente
padronanza dell’inglese rende più difficile il loro
percorso scolastico, perché mancano le risorse necessarie
a favorire un rapido ambientamento linguistico – E così
i ragazzi si sentono trascurati e emarginati
L’Ispettorato
britannico dell’istruzione ha svolto, nel sistema
educativo scozzese, un’indagine sull’accoglienza e sul
rendimento scolastico degli alunni provenienti dalle
famiglie immigrate. I risultati rivelano una situazione ben
lontana dall’essere soddisfacente. Di fronte all’aumento
costante e progressivo della componente straniera, gli
istituti non sono attrezzati per affrontare la sfida,
l’insufficienza di risorse a disposizione impedisce agli
organici di colmare le lacune di molti alunni, che per
conseguenza restano troppo a lungo svantaggiati dal fatto di
non padroneggiare abbastanza la lingua inglese.
Sono poche, fa
sapere l’Ispettorato, le scuole che si sono messe in
condizione di agevolare un rapido ambientamento dei ragazzi
stranieri, fino ad avere lo stesso senso di appartenenza
all’istituzione scolastica dei loro compagni scozzesi.
Nella maggior parte dei casi, l’handicap di partenza si
ripercuote su un numero eccessivo di anni scolastici, e quel
che è peggio comporta pesanti conseguenze psicologiche:
sensi di frustrazione e una condizione di isolamento che
tendono a sopravvivere anche dopo che il problema tecnico
della comunicazione linguistica è stato risolto.
In quasi tutti i
distretti scolastici la percentuale di alunni provenienti
dalle famiglie di recente immigrazione è aumentata fino in
certi casi al raddoppio. La più rappresentata fra le
nazionalità di provenienza è la polacca, seguono quelle
tradizionali dai Paesi dell’ex impero britannico a
cominciare da India, Pakistan, Bangladesh. La maggior parte
dei nuovi arrivati nelle classi scozzesi ha confidato ai
ricercatori dell’Ispettorato che i loro insegnanti hanno
aspettative ridotte nei loro riguardi: si sentono dunque
sottostimati, e anche se la cosa è spiegabile attraverso le
deficienze linguistiche, questa sfiducia preconcetta finisce
con l’avere di per sé conseguenze negative in termini di
autostima e rispetto dell’istituzione scolastica. Inoltre
i ragazzi lamentano il fatto che gli viene impedito di
comunicare con i connazionali a scuola usando la
lingua-madre: un divieto che, sia pure motivato da
un’ottima intenzione, quella di fargli imparare
rapidamente l’inglese, li priva di quel senso d’identità
al quale, evidentemente, non possono e non dovrebbero
rinunciare.
L’indagine
nelle scuole di Scozia si riferisce a un fenomeno che
ovviamente coinvolge non soltanto le altre parti del Regno
Unito ma tutte le società occidentali, ugualmente investite
dagli intensi flussi migratori di questi anni. È una sfida
epocale, che non riguarda soltanto i ragazzi immigrati ma
tutto l’insieme della scuola. Le indagini comparate PISA,
condotte dall’OCSE in molte parti del mondo, confermano
sistematicamente che ai vertici delle classifiche
internazionali si collocano quei Paesi, come la Finlandia,
la Corea, il Giappone, nei quali la società, e di
conseguenza la scuola, presentano la più alta compattezza
etnica e linguistica. Sono invece svantaggiati Paesi come
gli Stati Uniti, o la Germania, o la Francia, o appunto il
Regno Unito, ormai da tempo e più o meno velocemente
avviati sui binari della multiculturalità.
Il problema
riguarda evidentemente anche l’Italia, dove è aggravato
da una crescente intolleranza, a volte venata di xenofobia,
da parte di settori dell’opinione pubblica, che dalle
famiglie si trasferisce meccanicamente nelle aule
scolastiche. Poiché la tendenza prevedibile ci parla di
un’accentuazione del fenomeno, è bene che si corra ai
ripari: la stessa internazionalità del problema permette di
affrontarlo su una scala affrancata da anguste visioni
provinciali. Mentre la sua evidente potenzialità in fatto
di promozione didattica, attraverso il confronto delle
culture, delle lingue, dei costumi, ci dà la possibilità
di cogliere i frutti di quello che in America chiamano melting
pot, il crogiuolo da cui nasce la società di domani.
r.f.l.
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